Qualche settimana fa, D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza, una delle reti nazionali che gestiscono Centri antiviolenza e Case rifugio, ha presentato il proprio nuovo Report annuale con i dati relativi all’attività svolta nel 2023, a cura di Paola Sdao e Sigrid Pisanu (il rapporto è liberamente scaricabile a questo link). Abbiamo dunque analizzato tale elaborato per vedere come sia stato trattato il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità.
La Rete D.i.Re. si compone di 87 organizzazioni distribuite sul territorio nazionale, coprendo tutte le Regioni ad eccezione del Molise. Tali organizzazioni gestiscono 117 Centri antiviolenza, 66 Case rifugio e 218 Sportelli antiviolenza. Le rilevazioni dei dati contenuti nel Report sono state effettuate con un questionario a cui hanno risposto 112 Centri antiviolenza gestiti dalle organizzazioni di D.i.Re. (dunque le informazioni contenute nel testo in esame fanno riferimento esclusivamente a questo campione).
Il documento fotografa una realtà in crescita: «Nell’anno 2023 sono state accolte complessivamente 23.085 donne di cui 16.453 sono donne “nuove”. Numeri decisamente più elevati in entrambi i casi rispetto all’anno precedente: in particolare, sono state accolte in più 2.374 donne in totale (incremento dell’11,5%) e 2.165 donne “nuove” (incremento pari al 15%)» (pagina 5).
Entrando nel merito della trattazione del tema della disabilità, un primo riferimento ad essa si trova nel paragrafo intitolato Case rifugio e reti territoriali. «I Centri della rete sono quasi tutti accessibili (84% circa) a donne con disabilità motoria. Erano l’80% dei casi nel 2022» (pagina 9; grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni). Nel testo, tuttavia, non è spiegato chi ha verificato tale accessibilità, si tratta di un’autocertificazione, oppure nella rilevazione sono state coinvolte le organizzazioni di persone con disabilità? E in quest’ultimo caso, quali?
Nel paragrafo denominato Cosa offrono i Centri, individuiamo un approccio intersezionale nell’erogazione dei servizi di consulenza alle donne immigrate non in regola (offerti dal 66,1% dei Centri), dei servizi per donne straniere (54,5%), e di quelli per le donne vittime di tratta (14,3%). Riconosciamo certamente che le donne immigrate e straniere sono esposte a discriminazione e violenza sulla base di almeno due fattori di rischio (la mancanza di cittadinanza e il genere di appartenenza), e altrettanto si può dire per le donne vittime di tratta (esposte a violenza per l’assoggettamento a reti criminali e, ancora una volta, per il genere di appartenenza). Dunque è corretto e apprezzabile che le loro istanze specifiche trovino risposte altrettanto specifiche nella Rete D.i.Re., giacché un servizio “standardizzato” si rivelerebbe inadeguato ad affrontare la complessità che caratterizza i percorsi di queste donne. E tuttavia nel Report non troviamo nessun servizio specifico per le donne con disabilità, anch’esse esposte a discriminazione multipla sulla base del genere e della disabilità.
Sappiamo che il coordinamento di D.i.Re ha curato il Rapporto Ombra delle Organizzazioni femminili italiane per il GREVIO, l’organo indipendente preposto a verificare l’attuazione della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la Legge 77/13). E sappiamo anche che il Rapporto Ombra in questione (disponibile, in inglese, a questo link) ha recepito gli elementi più significativi del Rapporto Ombra elaborato dal FID (Forum Italiano sulla Disabilità), anch’esso trasmesso al GREVIO (disponibile in italiano a questo link). Cosa per cui abbiamo già espresso il nostro apprezzamento su queste stesse pagine. Dunque, constatando che D.i.Re. conosce benissimo le difficoltà sperimentate dalle donne con disabilità vittime di violenza, vorremmo capire meglio in che modo viene affrontata la specificità di queste donne. Lo chiediamo perché, come accennato, nel Report non ci sono informazioni in merito.
Un intero capitolo del Report è dedicato poi a tracciare il profilo delle Donne accolte. Quasi la metà di esse, nel 2023, ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni, mentre sono pochissime le minori (0,7%). Il 69% sono italiane, il 26% straniere. Quasi una donna su tre (tra disoccupate, casalinghe e studentesse) non ha un lavoro retribuito né un reddito. Sempre in merito alle caratteristiche delle donne accolte è specificato poi che esse «non hanno alcun tipo di disagio e/o dipendenza nella maggioranza dei casi (69%) e, rispetto all’anno precedente, la percentuale risulta 10 punti in più. Soltanto il 5% delle donne presenta qualche problema di dipendenza o disagio psichiatrico. Il dato non rilevato per questo tipo di informazioni è molto alto ed è dovuto ad una difficoltà da parte dei Centri a rilevarlo, legata alla riservatezza delle informazioni condivise dalla donna. Tuttavia, registriamo per questo dato un decremento significativo progressivo di 5-6 punti percentuali» (pagina 24).
Riguardo a queste informazioni, osserviamo che le donne con dipendenze e quelle con disagio psichiatrico sono tra quelle escluse da una larga maggioranza delle Case rifugio che hanno adottato criteri di esclusione dall’accoglienza delle ospiti (il 92,2% nel 2022, fonte: ISTAT, Le Case rifugio e le strutture residenziali non specializzate per le vittime di violenza – Anno 2022, pubblicato il 19 aprile 2024; se ne vedano in particolare le Tavole 16 e 17 del file con i dati sulle Case rifugio disponibile a questo link). Se dunque consideriamo che le Case rifugio sono spesso gestite dai Centri antiviolenza, possiamo ipotizzare che le difficoltà riscontrate a rilevare tale dato da parte dei Centri, e anche il significativo decremento progressivo del dato stesso, siano imputabili alla paura di queste donne di venire respinte dal Sistema per la Protezione delle donne vittime di violenza.
Tuttavia, nel capitolo non sono riportati nemmeno i dati relativi alle donne con altri tipi di disabilità: quella motoria e quelle sensoriali (visiva e uditiva). Sarebbe importante averli perché senza dati abbiamo difficoltà a descrivere in modo puntuale il fenomeno della violenza, e dunque ad elaborare e proporre politiche mirate per loro.
Recentemente abbiamo osservato come, nel rapporto di ricerca dell’ISTAT dedicato al Sistema per la Protezione delle donne vittime di violenza in Italia, le donne con disabilità siano state quasi completamente ignorate. Ora, analizzando il Report annuale di D.i.Re., non possiamo certo dire che siano protagoniste. Ma non è il protagonismo quello che le donne con disabilità vanno cercando, si accontenterebbero di esserci con le loro specificità, al pari delle altre donne, perché una cosa è abbastanza chiara: quando le loro specificità non vengono considerate esplicitamente, il Sistema antiviolenza – tutto, non solo D.i.Re. – non è capace di farsi carico delle loro esigenze, e questo fatalmente si traduce in discriminazione. E il fatto che questa discriminazione sia compiuta in buonafede (ipotizziamo che sia così), non la rende meno grave e dolorosa per chi la subisce.
Ringraziamo Donata Columbro per la segnalazione.