Parlando con amici intorno alla querelle che si è creata per la parte dedicata all’inclusione scolastica nel Decreto Legge 71/24 del 31 maggio scorso, qualcuno mi ha chiesto: «Ma tu cosa faresti nell’immediato a fronte della criticità puntualmente denunciata dal ministro Valditara in Parlamento in modo così circostanziato?». A questa domanda mi piacerebbe rispondere dicendo che farei così e così… ma la verità è che non so cosa farei, e non invidio coloro che sono comunque chiamati a dare una risposta. Tuttavia, come spesso mi è capitato, quando non sapevo quale fosse la cosa giusta da fare, mi è stato di aiuto sapere quello che sicuramente non andava fatto, perché lo ritenevo una cosa sbagliata. Tale contezza, anche se non mi ha aiutato a risolvere il problema, quanto meno mi ha impedito di peggiorarlo.
Ebbene, quel Decreto Legge è sbagliato e per questo non dovrebbe essere convertito in legge, perché non solo non risolve nella sostanza il problema quantitativo del reperimento e dell’allocazione degli insegnanti di sostegno laddove ce n’è bisogno (a tal riguardo, forse, il reperimento nelle Regioni del Nord di alloggi con affitti calmierati sarebbe più utile!…), ma, con soli 30 Crediti Formativi, non assicura nemmeno la competenza minima necessaria per affrontare i BES (Bisogni Educativi Speciali).
Ci sono àmbiti dove si può adottare il criterio della gradualità, applicando il principio del “meglio che nulla”. Ad esempio, se dovessimo sfamare delle persone e non fossimo in grado di assicurare loro un pasto completo, potremmo iniziare col garantire una buona colazione, per arrivare gradualmente a soddisfare completamente le loro necessità alimentari. Quell’iniziale pasto, sebbene frugale e incompleto, sicuramente non li danneggerebbe. Ma il criterio della gradualità non vale per tutte le circostanze. Se infatti un chirurgo non conosce sufficientemente il proprio “mestiere”, con il suo poco sapere non assicura un po’ di guarigione all’ammalato, perché la sua imperizia può condurre il paziente alla morte.
Non altrettanto si può dire di un insegnante. Infatti, se quest’ultimo, ad esempio, non conosce gli strumenti dispensativi e compensativi da adottare per gli alunni con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), oppure non conosce come contenere l’aggressività di un alunno iperattivo o non sa distogliere un alunno autistico da un interesse “assorbente”, le conseguenze per tali alunni non sono certo così drastiche come nel precedente esempio, perché l’imperizia dell’insegnante non mette a rischio la vita degli allievi che gli sono stati affidati. E tuttavia, parafrasando Giuseppe Pontiggia, la mancata competenza di questi insegnanti contribuisce a compromettere la “seconda nascita” di questi alunni con BES… e questo, in fondo, è un po’ morire. È una morte civile, la morte di chi è condannato a vivere come un’ombra in mezzo agli altri.
Considerazione conclusiva a margine. Nel 2016 uscì il film Lettere da Berlino. Era la storia di due genitori tedeschi, Otto e Anna Quangel, che avevano perso il loro unico figlio arruolato nella Wehrmacht, caduto a Parigi durante l’invasione della Francia da parte delle truppe tedesche. Convinti antinazisti, decisero che fosse giunto il momento di fare qualcosa per risvegliare la coscienza dei tedeschi e cominciarono a scrivere cartoline che disseminavano in punti strategici della città. Non avevano la certezza che sarebbero state lette e, qualora lo fossero state, non avevano la certezza che avrebbero prodotto il cambiamento da loro desiderato. Tuttavia lo fecero ugualmente perché nutrivano la speranza che quel cambiamento potesse accadere.
Perciò… continuiamo a mandare “lettere da Berlino”!