Quando quelle famiglie potranno di nuovo sperare in un futuro migliore per i figli?

«Continuiamo a lottare – scrive Claudia Marsillio, presidente dell’AIAS di Trieeste, prendendo spunto da alcun frasi pronunciate alla recente 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia – perché le persone con disabilità ex ospiti del Centro di Educazione Motoria e le altre con disabilità gravi da esiti di diverse patologie si trovano ancora in Centri Diurni non adatti a loro o, peggio ancora, sono sempre a casa, senza i servizi loro necessari. Se e quando i nuclei familiari di persone con disabilità grave/gravissima potranno sperare di nuovo in un futuro migliore per i loro figli?»

Particolare di volto di donna con espressione severaAlcune considerazioni culturali su quello che ho sentito alla televisione e letto sul quotidiano «Il Piccolo» rispetto all’inaugurazione della recente 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia, tenutasi a Trieste, sul tema Al cuore della Democrazia. Partecipare tra storia e futuro.
Le frasi che mi hanno fatto riflettere sono quelle dette dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella («Camminare insieme»), dall’arcivescovo di Catania monsignor Luigi Renna («Vera integrazione» e «serve recuperare il senso della partecipazione»), da Papa Francesco («Agire insieme è meglio» e «la democrazia richiede partecipazione… rischiare il confronto… il rischio è il terreno fecondo su cui germoglia la libertà…») e dal presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga («Nel luogo del dialogo», «Benvenuto, dunque, Santo Padre… grazie di ricordarci sempre il valore della vita umana, regolata sul piano dei doveri e dei diritti di tutti…» e «Dobbiamo tutti interrogarci… per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella vita politica…»).

Sono Claudia Marsillio, mamma di una persona con disabilità di 44 anni, affetta da paralisi cerebrale infantile dalla nascita e sono la presidente dell’AIAS di Trieste, che dal 1957 si occupa di persone con disabilità e delle loro famiglie. Ho pensato alle frasi citate come riferite alla disabilità, soprattutto a quella che dipende totalmente dalla famiglia, e al 1974 quando l’ho conosciuta, prima che nascesse mio figlio (1980).
Avevo frequentato un “Corso ortofrenico” per diventare insegnante di sostegno e nell’anno scolastico 1974/75 ho avuto un incarico scolastico presso il Centro di Educazione Motoria (d’ora in poi semplicemente CEM) di Trieste, gestito dall’AIAS giuliana, che ospitava all’interno tre classi, in accordo con la scuola elementare rionale. L’anno successivo ci sarebbero stati i primi inserimenti scolastici e sono iniziati convegni, incontri informativi, dibattiti, ma soprattutto c’era un’atmosfera di partecipazione, di voglia di mettersi in gioco, di iniziare ad accettare scolasticamente anche persone con disabilità che non avrebbero mai imparato a leggere, scrivere e far di conto, ma che avrebbero vissuto parte della giornata, non solo in famiglia, ma con bambini e adulti “normali”.
I bambini/ragazzi/adolescenti, conoscendo le difficoltà e vivendole in prima persona, avrebbero imparato a convivere con persone con capacità diverse dalle loro: una crescita culturale che li avrebbe resi adulti consapevoli perché appresa naturalmente e quotidianamente!
Certamente non tutto funzionava a dovere, ma avevamo tutti la speranza che le cose sarebbero migliorate.

Nel 1980 è nato mio figlio e sono ritornata con lui al CEM, gestito dal Comune di Trieste con un Comitato di cui faceva parte l’AIAS di Trieste, per fare, assieme a lui e imparare, sedute giornaliere di fisioterapia. Ho dovuto abbandonare il mio lavoro, essendo molto pesanti le notti con mio figlio che mi avrebbero impedito di svolgere al meglio il mio lavoro di insegnante.
Quando mio figlio ha iniziato a frequentare la scuola materna e, successivamente, le elementari e le medie, ho percepito una routine di lavoro che si appiattiva sempre più: venivano messe in evidenza soltanto tutte le difficoltà e si comprendeva con sempre più fatica il valore culturale dell’esperienza scolastica. Mio figlio, dopo la scuola, è stato inserito al CEM. Quando poi alcuni servizi sono passati all’Azienda Sanitaria – con la nascita dei Distretti -, le persone con disabilità hanno iniziato ad avere meno servizi e per il CEM si è avviato un percorso difficile. Noi famiglie avevamo sempre la speranza e la fiducia che tutto sarebbe migliorato, perché nonostante il calo dei servizi, le persone con disabilità al CEM disponevano ancora di servizi più mirati e della possibilità di una vita di qualità: era un servizio pubblico/privato/famiglie.
Purtroppo, ci siamo fidati una volta di troppo, quando, nel 2007, alla festa per il cinquantesimo anniversario dell’AIAS di Trieste, l’Assessore al Sociale del Comune ci anticipò che avrebbero dovuto fare dei lavori di manutenzione nell’edificio e che avrebbero spostato le persone con disabilità in un altro sito, per poi reinserirle nel Comprensorio di Villa Haggiconsta, particolarmente adatto all’integrazione. Nel 2008, quindi, fidandoci delle parole dell’Assessore, abbiamo accettato gli spostamenti e, da allora, stiamo lottando perché le promesse vengano mantenute.
Oggi, 2024, il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, dopo averci illuso, comunicandoci all’inizio dello scorso anno che ci avrebbe ricevuto prima possibile, non ha più risposto ai nostri solleciti di incontro.

Continuiamo dunque a lottare perché le persone con disabilità ex ospiti del CEM e le altre con disabilità gravi da esiti di diverse patologie si trovano ancora in Centri Diurni non adatti a loro in quanto solo socioeducativi; quindi, carenti nel servizio assistenziale e ri/abilitativo o, peggio ancora, sono sempre a casa, e non hanno i servizi loro necessari per una buona qualità di vita.
Cinquant’anni fa i nuclei familiari di persone con disabilità grave/gravissima da esiti di qualsiasi patologia, speravano in un futuro migliore, oggi, cinquant’anni dopo, queste famiglie si chiedono se e quando potranno sperare di nuovo in un futuro migliore per i loro figli, se oggi:
– «Camminare insieme» vuol dire non avere riscontro da parte delle Istituzioni preposte.
– Se «Vera integrazione» e «serve recuperare il senso della partecipazione» significa isolare le persone con disabilità grave/gravissima perché la società non ha ancora imparato ad accettarle veramente.
– Se «Agire insieme è meglio» e «la democrazia richiede partecipazione… rischiare il confronto… il rischio è il terreno fecondo su cui germoglia la libertà…» vuol dire non avere alcun riscontro per un “confronto”, nonostante richieste e solleciti, dal Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia.
– Se «Nel luogo del dialogo», «Benvenuto, dunque, Santo Padre… grazie di ricordarci sempre il valore della vita umana, regolata sul piano dei doveri e dei diritti di tutti…» e «Dobbiamo tutti interrogarci… per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella vita politica…» significa dedicarsi ad alcune patologie e ignorare le richieste di collaborazione nell’interesse anche delle persone con grave/gravissima disabilità.

Colgo quindi questo momento e quelle dichiarazioni, per ricordare al Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia la nostra richiesta di incontro per il ripristino dei servizi, tolti alle persone con disabilità con promesse mai mantenute, che aveva avuto questo riscontro: «16/02/2023: risposta segreteria presidente fvg: gentili, confermando la ricezione della vostra richiesta per un incontro, comunichiamo che il presidente ne ha preso visione e che vi contatteremo prima possibile. cordialmente». Ebbene, siamo ancora in attesa!
E mi scuso per queste tristi riflessioni, ma che. purtroppo, corrispondono ad una triste realtà culturale!

Presidente dell’Associazione AIAS di Trieste.

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