“Non buttate la vita in un secondo”: parola di Emiliano Malagoli

A causa di un grave incidente stradale, Emiliano Malagoli ha perso la gamba destra e compromesso seriamente anche la sinistra, ma la sua grande passione per le moto lo ha riportato in sella a una due ruote e a fondare l’Associazione Di.Di.-Diversamente Disabili, che organizza il Campionato Italiano di Motociclismo Paralimpico. Da anni, inoltre, anima il progetto di educazione stradale “Non buttate la vita in un secondo”, che lo ha già portato ad incontrare 10.000 ragazzi di 100 scuole italiane, convinto che il dialogo e la sensibilizzazione sulla guida responsabile possano davvero salvare la vita

Incontro di Emiliano Malagoli in una scuola

Uno degli incontri nelle scuole di Emiliano Malagoli

Emiliano Malagoli, toscano, è figura già ben nota a chi legge Superando con assiduità, in quanto fondatore dell’Associazione Di.Di.-Diversamente Disabili che ormai dal 2014 promuove il Campionato Italiano di motociclismo paralimpico, giunto quest’anno alla sua undicesima edizione e che il nostro giornale segue sin dagli inizi.
La storia di Malagoli è quella di un ragazzo con la passione per la moto, che trascorre la vita come quella di tante altre persone, tra sport, lavoro, amici e famiglia, finché nel 2011 è vittima di un grave incidente stradale, in seguito al quale perde la gamba destra e compromette seriamente anche la sinistra. Una vita, dunque, tutta da riorganizzare, dove però vuole che la moto sia ancora presente, nonostante tutto. E così, pur tra tante difficoltà, Emiliano riesce a realizzare il sogno di tornare in sella alle due ruote, fondando, come detto, l’Associazione Di.Di, con la convinzione che, come lui, tanti altri possano farcela.
Ma non sono solo, dà vita anche al progetto di educazione stradale denominato Non buttate la vita in un secondo, rivolto agli studenti di tutta Italia, con la convinzione che il dialogo e la sensibilizzazione verso la guida responsabile possano salvare davvero la vita.

Emiliano, da dove nasce l’idea di voler parlare ai ragazzi delle scuole di educazione stradale?
«Dopo quello che mi è accaduto proprio mentre ero alla guida della moto, spiegare ai ragazzi i pericoli che possiamo incontrare in strada è diventato un modo per dare un significato diverso alla mia seconda vita».

E cioè?
«Se quello che mi è accaduto può fare da monito ai giovani, l’aver perso una gamba acquista un significato positivo. Nel mio piccolo poter essere la scintilla per riflettere, e magari per salvare una vita, è la cosa più soddisfacente che possa fare».

Il progetto ormai va avanti da diversi anni. Fino ad oggi quanti ragazzi ha incontrato?
«In questi anni, tra incontri online e in presenza, abbiamo incontrato oltre 10.000 ragazzi di oltre 100 scuole italiane. Oltre al supporto di Octo Telematics, che sostiene anche il Campionato Italiano di Motociclismo Paralimpico, con me c’è Omar Bortolacelli, un ragazzo di Bologna divenuto paraplegico in seguito ad un’incidente in ambulanza mentre faceva servizio. Disabilità e storie diverse che riescono comunque a far riflettere i ragazzi».

Quali reazioni hanno sentendo le vostre storie?
«Oltre a rimanere sempre molto colpiti, capiscono che ciò che ti salva dal pericolo non è la bravura, ma la capacità di saperlo prevenire. Basta davvero poco per combinare l’irreparabile».

Nelle scuole vanno anche poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco a fare educazione stradale. Cosa vi distingue da loro?
«La cosa che più ci distingue è proprio quello che abbiamo vissuto, perché possiamo testimoniare davvero quali siano le conseguenze di una guida non responsabile. Non servono video nel nostro caso, è sufficiente il nostro racconto».

Il fatto di essere un pilota la aiuta in questo percorso?
«Sì, perché dimostra che l’incidente può capitare anche a chi è esperto nella guida. Paradossalmente siamo più sicuri noi piloti a 300 all’ora che a 50 all’ora in strada, perché la pista è davvero un luogo sicuro dove sfogarsi e provare l’ebbrezza della velocità e perché non ci sono auto e moto che vengono nel senso di marcia opposto. Non ci sono nemmeno altri ostacoli come muri, alberi. L’abbigliamento che indossiamo, inoltre, è adeguato e ci sono sempre dottori e ambulanze pronti ad intervenire».

Tornando all’incontro con i ragazzi. Qual è la domanda più frequente?
«“Perché ti è successo?” e la risposta è sempre la stessa: “Perché non pensavo potesse accadere proprio a me!”. È proprio questa, infatti, la causa di moltissimi incidenti, perché pensi sempre che certe cose accadano sempre gli altri e guidi con leggerezza, convinto del fatto che non potrà succederti nulla».

Quale messaggio vuole lasciare a chi leggerà questa intervista?
«Da giovane mi sentivo figo a fare cose pericolose. Sapevo di essere bravo alla guida e mi cimentavo in azioni per cui oggi, con il senno di poi, mi considero davvero stupido. Sapete invece chi è davvero il ragazzo figo? Quello che la sera rientra a casa senza problemi prendendosi cura delle persone che ha a bordo!». (S.B.)

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo