Davvero non esistono sport impossibili per le persone con disabilità! Si pensa che alcune discipline non si possano adattare neppure con qualche accorgimento, ma la storia di Francesco Morale, un uomo di 38 anni che vive a Melito di Napoli, e del suo maestro Simone Faraco, ci insegna che non è così.
Francesco è vicecampione italiano di parakarate, ovvero il karate praticato da atleti con disabilità. Sì, proprio il karate, l’arte marziale più conosciuta, spettacolare a vedersi, che tuttavia richiede qualità poco appariscenti come costanza, umiltà, perseveranza, rispetto e dedizione.
Le arti marziali non si basano sull’essere meglio dell’avversario, ma sull’essere il meglio di noi stessi. Da questo punto di vista ha molto da offrire alle persone con disabilità, in quanto migliora le capacità senso-percettive e consente di acquisire maggiore conoscenza e coscienza del proprio corpo. Da non dimenticare, poi, nemmeno l’aspetto della socializzazione e del miglioramento dell’autostima.
Per Francesco il karate è stato una folgorazione, ma all’inizio ha incontrato qualche resistenza nell’ambiente sportivo: «Questa passione è nata la prima volta che ho visto un film di Bruce Lee. Da lì, giorno dopo giorno, mi sono appassionato sempre di più e ho deciso di provarci. Insieme a mia madre e a mio cugino che già praticava arti marziali mi sono messo alla ricerca di un maestro disposto ad insegnarmi. Abbiamo ricevuto così tanti no! Vedendomi con questa patologia, la tetraparesi spastica, rifiutavano, dicendo che non sarei stato in grado di imparare».
Va detto che anche tra gli addetti ai lavori il parakarate non è molto conosciuto. Simone Faraco, il maestro di Francesco, è una felice eccezione: «Mi sono avvicinato al mondo del parakarate già durante le mie prime esperienze d’insegnamento – spiega -, dove mi sono confrontato con un ragazzino con la sindrome dello spettro autistico. Sono riuscito ad integrarlo nel gruppo di piccoli praticanti, ottenendo dei cambiamenti considerevoli sotto l’aspetto comportamentale, è stata un’esperienza che mi ha arricchito molto».
La sensibilità e la professionalità di Simone, tre anni fa hanno incontrato il contagioso entusiasmo di Francesco. È quest’ultimo che ce lo racconta: «Non avevo mai sentito parlare di karate praticato da persone con disabilità. Un giorno ho chiesto a mio cognato Matteo di cercare su Internet una scuola nei pressi del mio paese e ci imbattemmo nella Scuola di Karate ASD Workout, presso il GaLu Sport Center di Melito. Ho fatto telefonare e ha risposto Simone. Mio cognato gli ha spiegato la mia disabilità e il maestro ha detto di andare il giorno successivo in palestra per parlarne a tu per tu. Ero contentissimo!». Le tue emozioni durante quel primo incontro? «Appena ho visto Simone, già dal primo impatto, ho avuto fiducia. Abbiamo parlato per molto tempo delle mie problematiche, lui mi ha risposto che si poteva fare».
Si può dire che Francesco e Simone siano due pionieri; il parakarate, infatti, è una disciplina relativamente “giovane”, non ancora ammessa alle Paralimpiadi. Soltanto nel 2006 è diventata una parte integrata a pieno titolo nella WKF (World Karate Federation), che l’anno stesso ha creato una commissione ad hoc per svilupparla e promuoverla.
Nel 2012, la prima esibizione pubblica dimostrativa nel corso dei Campionati Mondiali di Karate a Parigi, nel 2014 i primi Campionati del Mondo ufficiali a Brema (Germania).
Poi nel 2015 la svolta: la WKF è stata riconosciuta dall’IPC, il Comitato Internazionale Paralimpico e da allora la partecipazione è cresciuta costantemente, se è vero che ai Campionati italiani 2023 erano in gara in 59, provenienti da 25 Società Sportive e suddivisi in varie categorie in base al tipo di disabilità.
È stata quella la competizione che ha messo la medaglia d’argento al collo di Francesco Morale che ancora stenta a credere di avere ottenuto questo successo: «Quando sono diventato vicecampione italiano non ci credevo, quindi non so esprimere la mia emozione! È stata un’immensa gioia perché ho raggiunto un traguardo che non mi sarei mai aspettato!».
Segui altri atleti con disabilità? – chiediamo a Simone – E qual è lo stato dell’arte di questa disciplina in Italia?: «Ad oggi seguo Francesco e un altro ragazzo con disabilità intellettiva. Siamo affiliati alla FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) che si muove molto bene nel fare promozione e formazione per i propri tecnici, i numeri sono in crescita».
Addentriamoci ora nel regolamento. Innanzitutto va detto che nelle competizioni di parakarate non è previsto il kumite, ovvero il combattimento reale, ma soltanto il kata, un esercizio individuale composto da una serie di movimenti che simulano un combattimento contro avversari immaginari, sostenuto dal corretto uso della respirazione e della contrazione addominale. Alcune Federazioni Paralimpiche, come quella francese, stanno introducendo il kumite ed è già eseguito in alcune gare di organizzazioni diverse dalla WFK.
Il kata eseguito da Francesco e dagli altri atleti italiani è l’essenza del karate, quello che ne fa una disciplina di profondo rispetto dell’avversario; non a caso ogni kata inizia e si conclude con un inchino. A supporto dei partecipanti, durante le gare è consentito l’utilizzo di ausili ortopedici performanti, per questo si possono vedere anche persone in sedia a rotelle che magari normalmente non si muovono in carrozzina, ma nel corso di una competizione non possono stare a lungo in piedi.
Nella valutazione finale i giudici tengono conto di tre criteri, conformità, abilità tecniche e abilità atletiche; non viene espresso un parere sulle peculiarità oggettivamente impossibili per alcuni atleti, ad esempio per ciechi e ipovedenti non viene ovviamente valutato lo sguardo che deve avere il karateka. Per tenere meglio in considerazione le caratteristiche di ogni atleta, al momento dell’iscrizione alla gara, viene fornita una relazione medica.
Studi scientifici dimostrano i benefìci delle arti marziali per lo sviluppo delle capacità cognitive e motorie, aiutando a controllare le reazioni aggressive e consentendo di entrare in diretto contatto con i propri limiti e le proprie capacità. Lo rimarca Simone: «La nostra disciplina può fare da traino attraverso la pratica, mediante l’utilizzo di una metodologia adattata. Il lavoro sinergico tra maestro e atleti definisce un percorso specifico per ogni karateka con disabilità, con obiettivi a breve, medio e lungo termine, al fine di portare un risultato positivo sia sotto l’aspetto psico-fisico sia sotto l’aspetto dell’inclusione sociale». Il cammino compiuto da Francesco è la dimostrazione di quanto sia vero: i suoi progressi, infatti, sono evidenti, confrontando i video delle prime volte sul materassino, di fronte a Simone che spiega e incita, con quelli della gara che lo ha incoronato vicecampione italiano, dove è più sicuro, concentrato. «Ho iniziato con piccoli gesti fino ad apprendere pian piano i movimenti per abituare il mio corpo ad una nuova cosa. Le difficoltà nel praticare questo sport per me sono tantissime, perché la tetraparesi spastica non mi permette di gestire bene i movimenti del corpo, quindi mi sforzo moltissimo e so quando le cose le faccio bene e quando no, perché Simone lo nota, dato che è anche un posturologo e mi tratta come un allievo “normale”, ovvero se sbaglio lui mi rimprovera».
Un rapporto alla pari, di fiducia e sostegno, come dev’essere tra maestro e allievo, nel quale entrambi danno e ricevono. Lo conferma Simone, ricordando le sensazioni provate quando Francesco ha portato a casa il meritato secondo posto ai Campionati Italiani: «Dopo tanti anni di sacrifici, quando ho visto Francesco sul podio è stata un’emozione indescrivibile. Ho pensato a quando i primi giorni di allenamento riusciva a stento nella coordinazione di alcuni movimenti semplici, vedendolo sul podio dei Campionati Italiani mi ha riempito il cuore di gioia ed orgoglio».
Ma cosa ti regala l’esperienza come istruttore di parakarate? «Ogni giorno che salgo sul materassino mi spinge a dedicarmi sempre al massimo nei confronti di persone che mi vedono come un punto di riferimento e come un esempio da seguire. Sento un forte senso di responsabilità e dedizione verso tutti i praticanti che mi seguono».
Ma i due non si fermano qui, vogliono infatti regalare le stesse soddisfazioni ad altre persone con disabilità e si stanno attivando per organizzare un corso di parakarate a Melito di Napoli. «Per adesso siamo alla ricerca di praticanti pronti a mettersi in gioco al fine di realizzare una bella realtà in un territorio difficile come il nostro», dice Simone guardando oltre, anche alla zona in cui vivono che avrebbe bisogno di nuove opportunità di aggregazione.
Le arti marziali non sono calci e pugni, per questo l’aggettivo “marziale” è preceduto dalla parola “arte”, perché si dà forma a ciò che ognuno ha dentro. Simone lo sa, Francesco l’ha capito la prima volta che ha guardato un film di Bruce Lee; difatti il suo sogno nel cassetto è quello di fare del parakarate il suo lavoro e un giorno, chissà, realizzare un film dedicato a questa disciplina. «Il karate – dice – mi ha regalato una ragione in più, mi ha aiutato e stimolato ad andare avanti e a superare qualsiasi difficoltà, mi dà forza e speranza per portare avanti il mio sogno».