Si chiama Filomena Di Gennaro, la donna in sedia a rotelle protagonista dello spot e del video social che la Polizia di Stato e la Rai hanno presentato il 13 luglio, e che rientrano nell’àmbito di … questo non è amore, la campagna di comunicazione permanente della Polizia di Stato in tema di violenza di genere.
Da queste poche informazioni potremmo essere indotti a credere che si tratti di una campagna focalizzata sul tema della violenza contro le donne con disabilità, ma in realtà non è così perché Di Gennaro è divenuta disabile a seguito della violenza subita. I due filmati, entrambi sottotitolati, pur raccontando la stessa storia, hanno ambientazioni e stili comunicativi diversi.
Nello spot (della durata di mezzo minuto, visibile a questo link), che è stato prodotto in collaborazione con il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria – Servizio per la Comunicazione Istituzionale della Presidenza del Consiglio, e che è stato trasmesso sulle tre reti Rai e sui canali social Facebook, Instagram, X della Polizia di Stato dal 13 al 16 luglio, Di Gennaro si trova in una piazza col pavé; dietro di lei si intravedono altre persone che camminano, delle macchine, palazzi antichi; la donna guarda in camera poi si guarda intorno, l’inquadratura la riprende dalle spalle in su, la disabilità inizialmente non è mostrata, lei non parla, la sua storia è affidata alla sua stessa voce che però è proposta come voce narrante. «Aveva deciso che dovevo morire, non potevo lasciarlo dopo tanti anni», spiega. Lui la convince a incontrarlo un’ultima volta, lei accetta, ma lui le spara addosso otto colpi di pistola. Colpi che hanno avuto come conseguenza che lei da 18 anni vive su una sedia a rotelle. Avrebbe «voluto che qualcuno gli avesse fatto capire che questo non è amore», scandisce la voce, mentre dal primo piano, con uno stacco, l’inquadratura mostra la figura intera di Di Gennaro che si allontana di lato mentre lascia il campo all’hashtag #QUESTONONÈAMORE.
Il video social (della durata di 2.31 minuti, visibile a quest’altro link), è ambientato invece in casa di Di Gennaro e ne evidenzia l’autonomia all’interno dell’ambiente domestico; mentre il racconto si snoda, lei si sposta con naturalezza all’interno dell’appartamento, va in cucina a prepararsi un caffè utilizzando la macchinetta posta su un ripiano, quindi si accomoda al tavolo per sorseggiarlo. In un secondo momento riempie una pentola d’acqua, la mette sul fornello, cerca nell’armadio una busta di pasta e la apre con le forbici.
In questo filmato, alla voce narrante si alternano frasi che Di Gennaro esprime direttamente. Oltre al racconto dell’aggressione, aggiunge elementi sulla storia pregressa. Stava insieme al fidanzato da dieci anni, ma aveva deciso di lasciarlo perché lui voleva limitarne la libertà e aveva atteggiamenti controllanti, ma, scandisce, «questo non è amore». Racconta che ora si è rifatta una vita, «esiste anche l’amore che cura», spiega mentre la camera inquadra alcune foto che la ritraggono con l’attuale marito e tre bambini. Invita le persone che guardano il video a non rimanere indifferenti davanti a scene di violenza sulle donne, argomenta che chi ha paura di intervenire può chiamare le Forze dell’Ordine. Ripete più volte il concetto che «la violenza sulle donne riguarda tutti, uomini e donne». Il video si conclude con lei che sorride mentre è affaccendata in cucina e compare l’hashtag #QUESTONONÈAMORE.
«Mi sembra che riproducano un po’ il messaggio generale rispetto all’essere donna, ma non entrano nel merito delle cose che noi sappiamo, e che riguardano le donne con disabilità», commenta a caldo Silvia Cutrera, attivista con disabilità che, tra le altre cose, ha fatto anche parte del Gruppo di Lavoro sul tema della violenza contro le donne con disabilità costituito nell’àmbito dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità nel novembre 2023, e che ha concluso i suoi lavori il 9 luglio. Ed è vero che i due filmati presentano un’ambivalenza. Chi non sa niente di disabilità, infatti, potrebbe concludere che non vi siano sostanziali differenze tra la violenza subita da tutte le donne e quella subita dalle donne con disabilità. Soprattutto il video social, visivamente centrato sull’autonomia nell’ambiente domestico, suggerisce questo tipo di interpretazione. Mentre nella realtà le donne con disabilità, oltre ad essere più esposte alla violenza (esiste un’ampia letteratura scientifica che lo documenta), hanno solitamente minori possibilità di difesa rispetto alle altre donne, minore accesso alle informazioni sui temi della violenza e sui servizi antiviolenza, minore possibilità di essere credute, minore accesso ai diversi snodi della Rete antiviolenza per la presenza di barriere fisiche e percettive, ma anche per l’impreparazione del personale ecc. Quindi è fondamentale chiarire che in concreto le problematiche che devono affrontare le donne con disabilità sono spesso molto diverse e molto più complesse di quelle che solitamente devono affrontare le altre donne.
Posto questo, sottolineare che la violenza può essa stessa essere causa di disabilità è molto importante. Proprio su questo aspetto, nel 2017, avevamo intervistato Nadia Muscialini, psicologa, psicoanalista e saggista, tra le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere (l’intervista è disponibile a questo link). Dunque ben venga l’iniziativa della Polizia di Stato con le precisazioni esposte pocanzi.
Certo, rispetto a quando le donne con disabilità non figuravano nemmeno nella comunicazioni istituzionali in tema di violenza di genere, possiamo convenire che i due filmati – ma anche l’iniziativa Non sei sola, che ha avuto tra i testimonial la campionessa paralimpica Bebe Vio (se ne legga a questo link) – rappresentano certamente un passo avanti. Ora, tuttavia, sarebbe fondamentale che le Istituzioni rappresentassero e raccontassero anche la violenza sulle donne con disabilità, anche perché un altro degli aspetti che distingue queste donne rispetto alle altre è la costante invisibilizzazione delle loro istanze specifiche. (Simona Lancioni)
Ringraziamo Silvia Cutrera per la segnalazione.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minime modifiche dovute al diverso contenitore, per gentile concessione.