Nell’abitacolo la radio passa a tutto volume le hit del momento. La macchina viaggia, mentre Enrico Mignolo e Giovanni ballano felici, come se il loro fosse un viaggio on the road da cui aspettarsi mille avventure. In realtà sono solo pochi chilometri, quelli che separano la casa di famiglie dalle attività quotidiane. Eppure, lo spirito dell’avventura emerge con forza dai video che Enrico pubblica periodicamente sulla propria pagina Facebook che documentano questo rapporto speciale tra padre e figlio. Sarà che un figlio con autismo ti trascina a forza dentro mondi che non pensavi neanche esistessero e, una volta dentro, puoi solo cercare di galleggiare prima di imparare a nuotare.
Giovanni ha un fratello gemello, Francesco, e una sorella di appena 18 mesi più piccola, Emma; oggi hanno 13 e 12 anni. Vivono con la famiglia nella loro città natale, a Vibo Valentia. I primi campanelli di allarme per i genitori hanno iniziato a suonare proprio osservando la crescita dei tre figli coetanei. A 4 anni circa, è arrivata la diagnosi di autismo. Il papà Enrico racconta che da quel momento «è iniziato per me e mia moglie un percorso di consapevolezza e conoscenza. È stato fondamentale attraversarlo, anche se doloroso, perché è lì che abbiamo capito che Giovanni è nato così e non poteva cambiare. Ma noi sì, dovevamo cambiare approccio».
L’intervento dei professionisti al momento della diagnosi è fondamentale, ma non sempre corretto: «Capita ancora – spiega – che l’autismo venga presentato come privazione di futuro per le famiglie, come qualcosa che limita le tue azioni. Questo crea una cicatrice che spinge i genitori a focalizzarsi troppo sulla diagnosi, li lascia credere che da quel momento il loro sarà un ruolo esclusivamente di cura e che tra loro e il figlio si instaurerà un rapporto a senso unico, un dare senza nulla pretendere. Ecco allora che il contesto sociale, politico e istituzionale in cui si muovono le famiglie diventa fondamentale per il futuro dei figli».
L’Associazione Io Autentico (Qualità di Vita per le Persone con Autismo), di cui Mignolo è presidente, nasce da un gruppo di famiglie proprio allo scopo di intervenire sul contesto, migliorarlo e far in modo che la comunità conosca l’autismo, imparando anche a prendersene cura. A oggi conta circa settanta famiglie del territorio vibonese e calabrese. «Il confronto con loro ci è servito molto, non solo per indirizzare al meglio Giovanni nella sua vita, ma soprattutto per raffrontare i contesti diversi e individuare, dove possibile, delle aree di intervento specifiche». Una di queste riguarda il Progetto di Vita Individuale, ciò che è nato proprio dall’esperienza diretta di Enrico.
Sin dal 2000 le persone con autismo hanno diritto al proprio Progetto di Vita Individuale. Si tratta di uno strumento pensato per garantire un percorso che risponda alle esigenze specifiche di ciascun individuo in base ai suoi bisogni. Prevede la presa in carico del Servizio Sanitario Nazionale con la partecipazione del Comune.
«È noto che in Calabria i servizi sanitari siano carenti e che pertanto è difficilissimo essere presi in carico», spiega Mignolo. Che racconta la lunga odissea che ha portato, dopo tanti anni, al riconoscimento, da parte del Comune di Vibo Valentia, del Progetto di Vita Individuale di Giovanni.
Tutto è iniziato nell’agosto 2019, quando è stata presentata la domanda. Nel caso di un ragazzo con una disabilità complessa e trasversale come l’autismo, le spese da sostenere sono tante, «ma per noi non è mai stata una questione economica, bensì una battaglia di riconoscimento di un diritto e dell’identità di nostro figlio. Essere presi in carico dai servizi sanitari pubblici, infatti, vuol dire avere una storia clinica che resta agli atti, attraverso la quale poter presentare Giovanni ovunque per qualunque necessità emerga in futuro».
L’Azienda Sanitaria, dunque, non ha mai replicato alla richiesta di Enrico, mentre il Comune «ha dato delle risposte evasive». Sono trascorsi circa tre anni, nel corso dei quali l’Associazione Io Autentico ha fornito, grazie ai fondi raccolti con il 5 per mille, corsi specifici per formare le figure professionali necessarie allo sviluppo di un Progetto di Vita Individuale scientificamente valido. «L’attesa è stata umiliante, ma è anche stata uno stimolo ad andare avanti». È stato quindi presentato il ricorso al TAR, vinto nel febbraio 2022, con la condanna del Comune di Vibo Valentia a predisporre il Progetto di Vita Indipendente di Giovanni e a prenderlo in carico presso l’Azienda Sanitaria. «Abbiamo deciso di non fermarci qui perché volevamo che la Sentenza del TAR venisse blindata». Così è seguita una richiesta di danni per Giovanni, che è stata liquidata in misura minore, e l’udienza al Consiglio di Stato. «Ancora una volta – racconta Mignolo – non eravamo interessati ai soldi, bensì a chiarire definitivamente che il Comune di residenza di un cittadino ha il dovere di farsi carico, laddove la famiglia o l’interessato stesso ne faccia richiesta, della sua condizione, non solo da un punto di vista economico, ma soprattutto nell’erogazione dei servizi, disponendo ad esempio dei professionisti adatti, risparmiando alle famiglie l’umiliazione di doverli cercare in autonomia, spesso non riuscendoci. Noi, ad esempio, abbiamo avuto molta difficoltà a trovare un assistente uomo che mi sostituisse negli spogliatoi della piscina che frequenta Giovanni, perché non è giusto che a 13 anni, in piena pubertà, sia ancora sua madre ad accompagnarlo. Questo vuol dire avere rispetto della persona. Mio figlio Giovanni mi ha insegnato cos’è la dignità».
Intervenire sui contesti vuol dire intervenire anzitutto sulle famiglie, fare in modo che «l’arrivo di un figlio autistico non pregiudichi interamente il proprio percorso di vita. Non vuol dire non volersi occupare dei propri figli, bensì voler fare i genitori e basta: portarli a mangiare il gelato, a passeggiare, a correre con la bicicletta, rimproverarli, pretendere qualcosa da loro. Ma per poter essere genitori abbiamo bisogno di essere sostenuti in altri aspetti della loro vita». Le risorse esistono, così come gli strumenti, «manca la conoscenza e la volontà da parte degli Enti Pubblici ad aprirsi a percorsi nuovi» per la crescita sociale e civile dell’intera collettività. Che è in grado di aver cura dei concittadini con disabilità, a patto di essere guidata. Ecco perché Io Autentico ha fatto della formazione professionale, del sostegno alle famiglie e della cultura civica la propria missione sociale, affinché la “presa in carico” dei cittadini più fragili possa nel futuro diventare davvero collettiva.