A chi giova una Sentenza del genere?

«Sono tanti i punti di questa Sentenza che lasciano increduli e che a pochi giorni dal nuovo anno scolastico, apre le porte al rischio di legittimare tagli importanti delle ore di assistenza agli alunni con disabilità, fornendo un appiglio giurisprudenziale che sembra “coprire le spalle” a quanti non avevano ancora programmato le relative spese, distratti magari dall’incombenza ben più allettante di sagre e feste patronali estive»: lo scrive tra l’altro Daniela Zavaglia in questa analisi “in punta di diritto” di quella recente Sentenza del Consiglio di Stato che tanto sta facendo discutere

Alunno con disabilità di spalle che alza la manoLa recente Sentenza del Consiglio di Stato n. 7089 del 12 agosto scorso ha generato un moto di indignazione in quanti si occupano di disabilità e, in particolare, di garanzie dei diritti degli alunni con disabilità. La furia delle argomentazioni del supremo organo di giustizia amministrativa su princìpi dati ormai come radicati e incontrovertibili suscita quasi un senso di incredulità… È davvero possibile che stia dicendo queste cose?
Senza voler scendere nei dettagli della questione che ha dato origine al ricorso (rigettato dal TAR in primo grado e successivamente rigettato anche dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato), lo stupore nasce dal fatto che questa pronuncia appare completamente isolata rispetto all’orientamento dello stesso Consiglio di Stato, nonché più ancora rispetto a quelle che sono ormai colonne portanti del sistema di inclusione scolastica, come costruite negli anni dalla Corte Costituzionale, nel rispetto della Costituzione, della normativa nazionale, europea ed internazionale.

Il primo principio messo in discussione è la vincolatività del PEI (Piano Educativo Individualizzato), che secondo quanto affermato in questa Sentenza avrebbe valore di mera «proposta non vincolante» per l’ente locale chiamato a decidere circa il numero di ore da assegnare all’alunno/a per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione.
Contro una tale affermazione, si oppone quanto affermato dallo stesso Consiglio di Stato nella “storica” Sentenza 2023/17 in cui veniva offerta una ricostruzione puntuale e rigorosa della normativa sull’inclusione scolastica, nonché delle varie fasi del procedimento amministrativo e delle responsabilità in capo all’amministrazione scolastica (per le ore di sostegno) e agli enti locali (per le ore di assistenza). Occorre precisare subito, infatti, che proprio il Consiglio di Stato, in premessa delle sue argomentazioni, poneva sullo stesso piano gli obblighi in capo all’amministrazione scolastica e all’ente locale per quanto di rispettiva competenza e nel rispetto di quanto previsto nel PEI a favore degli alunni con disabilità. E ciò partendo dalla considerazione fondamentale che: «I princìpi costituzionali […] [articoli 2, 3, 34 primo comma e 38 terzo comma della Costituzione, N.d.A.] impongono di dare una lettura sistematica alle disposizioni sulla tutela degli alunni disabili […] nel senso che le posizioni degli alunni disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria».
Quest’argomentazione contrasta con la “dicotomia” sostenuta oggi dagli stessi giudici di Palazzo Spada nella Sentenza che qui si esamina, secondo cui la volontà del Legislatore (cui il giudice dovrebbe attenersi) sarebbe di considerare separatamente le norme che disciplinano l’assegnazione delle ore di sostegno didattico da quelle relative alle ore di assistenza.
Sul punto è opportuno ricordare quanto sostenuto più volte anche dalla Corte Costituzionale, secondo cui sul tema della condizione giuridica della persona con disabilità «confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e che, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato dall’interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela» (Corte Costituzionale, Sentenza 215/87).
Pertanto, proprio in un’ottica sistematica delle norme vigenti in materia, non si comprende perché il PEI debba considerarsi vincolante per il dirigente scolastico, come sostenuto dalla Corte Costituzionale nella Sentenza 80/10, che ha riconosciuto la possibilità di assumere insegnanti “in deroga” pur di rispettare la quantificazione delle ore per il sostegno previste nel PEI, e non debba ritenersi egualmente vincolante per l’ente locale – sempre in un’ottica di coerenza normativa e sistematica – quanto alle ore relative all’assistenza alla comunicazione e all’autonomia.

Venendo alla questione del carattere vincolante del PEI, negato oggi dal Consiglio di Stato, si ricorda quanto sostenuto dallo stesso Consiglio nella citata Sentenza 2023/17, in cui affermava (ragionamento che deve ritenersi pienamente valido anche per l’attuale disciplina di cui al Decreto Legislativo 66/17 e successive modifiche e integrazioni) che il nomen iuris [qualificazione giuridica di un determinato atto o fatto, N.d.,R.] di «proposta», usato dal Legislatore a proposito di quanto contenuto nel PEI, non significhi che questa sia priva di valore vincolante, rendendo così possibile che altre autorità – sprovviste di specifiche competenze professionali in materia di disabilità – possano esercitare un “potere riduttivo nel merito”, riducendo le ore ivi assegnate. Il termine “proposta” sta solo ad indicare che si tratta di atti interni ad un procedimento che deve ancora concludersi con un provvedimento finale, che dovrebbe essere meramente ricognitivo di quanto contenuto nel PEI.
Nessuna disposizione ha attribuito agli Uffici Scolastici o agli Enti Locali il potere di sottoporre ad un riesame “nel merito” le proposte del PEI, per la redazione del quale il Legislatore ha previsto la formazione di un Gruppo di Lavoro pluriqualificato, che unisce la famiglia, i docenti, gli eventuali esperti interni o esterni, l’unità multidisciplinare: come potrebbe un dirigente di un Ufficio Scolastico o un dipendente dell’Ufficio Comunale intervenire su questi aspetti, modificandoli in peius [in peggio, N.d.R.], senza conoscere la storia, i bisogni, le aspettative e le difficoltà di quella specifica persona? Su quali basi potrebbe operare delle scelte se non esclusivamente basandosi su riscontri di bilancio?
Ma a ciò si oppone quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella memorabile Sentenza 275/16 secondo cui: «È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». La stessa Corte Costituzionale coerentemente rifiuta la tesi «secondo cui ogni diritto, anche quelli incomprimibili della fattispecie in esame, debbano essere sempre e comunque assoggettati ad un vaglio di sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili». E ciò per la semplice ragione che «la sostenibilità non può essere verificata all’interno di risorse promiscuamente stanziate attraverso complessivi riferimenti numerici. Se ciò può essere consentito in relazione a spese correnti di natura facoltativa, diverso è il caso di servizi che influiscono direttamente sulla condizione giuridica del disabile aspirante alla frequenza e al sostegno nella scuola». Il pericolo concreto è infatti quello di rendere «generico ed indefinito il finanziamento destinato a servizi afferenti a diritti meritevoli di particolare tutela, rendendo possibile […] che le risorse disponibili siano destinate a spese facoltative piuttosto che a garantire l’attuazione di tali diritti».
Si deve dunque ritenere che nella concreta programmazione delle spese da parte di un ente locale, esista e debba essere rispettata una scala di priorità nell’assegnazione delle risorse disponibili. Ciò al fine di scongiurare il rischio che la garanzia di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati sia resa di fatto aleatoria e incerta, se non addirittura sacrificata, per lasciare spazio ad esigenze che non meritano la medesima tutela in quanto non riferite a diritti inviolabili della persona.
Né può essere condiviso – sempre secondo la Corte Costituzionale – l’argomento secondo cui, ove non fosse previsto il limite delle somme iscritte in bilancio, si rischierebbe una violazione dell’articolo 81 della Costituzione per carenza di copertura finanziaria: «È di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio», in quanto, secondo il ragionamento seguito dalla Corte nel caso concreto, nessuno squilibrio è possibile se viene effettuata una corretta pianificazione e programmazione delle spese a partire dall’anno precedente. «Proprio la previa redazione del piano di assistenza testimonia l’inverosimiglianza dell’ipotesi di squilibrio di bilancio che è viceversa eziologicamente collegabile all’uso promiscuo delle risorse». Sappiamo invece che purtroppo raramente viene posta in essere dagli enti locali una tempestiva attività di programmazione specifica delle spese relative ai servizi di assistenza e trasporto scolastico, di loro competenza.

Contrariamente dunque all’orientamento succitato della giurisprudenza costituzionale (nello stesso senso, si veda anche la Sentenza della Corte Costituzionale 83/19), nella recente Sentenza qui in esame il Consiglio di Stato, pur riconoscendo la natura di diritto fondamentale del diritto all’istruzione e all’inclusione degli alunni con disabilità, ritiene che tale diritto non sia incondizionato, ma vada contemperato con i vincoli di finanza pubblica degli enti locali. A sostegno delle proprie argomentazioni invoca il «principio dell’accomodamento ragionevole» di cui all’articolo 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, sostenendo che tale principio riguardi «quel complesso di modifiche e di adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo» a carico degli enti locali.
Ma anche in questo caso, il Consiglio di Stato non sembra centrare la ratio che ispira la Convenzione ONU. È sempre l’interpretazione sistematica dell’intero quadro normativo in cui è inserita una norma la chiave per comprendere il principio in essa contenuto. Ed è chiaro che nella Convenzione ONU l’ago della bilancia penda sempre a favore della persona con disabilità, che permane come l’orizzonte ultimo di ogni valutazione. L’accomodamento ragionevole è in sua funzione, non in funzione dell’amministrazione, è un percorso indicato per adeguare il sistema alle esigenze e ai bisogni della persona con disabilità in condizioni di pari opportunità. La considerazione delle risorse finanziarie disponibili va fatta in relazione alla ragionevolezza dell’accomodamento richiesto, in ragione dunque della sua funzione e della sua capacità di agevolare il percorso educativo, personale e/o sociale della persona, piuttosto che in ragione del sacrificio economico dell’ente. Non va inteso come un “veniamoci incontro a metà strada”, ma come l’adozione di tutte quelle misure di adeguamento necessarie per mettere la persona con disabilità in condizione di poter usufruire di un servizio, di poter svolgere una mansione, di raggiungere un risultato, come ad esempio tutti gli adeguamenti ritenuti “ragionevolmente” necessari sul luogo di lavoro per rendere l’ambiente adeguato alle esigenze del lavoratore con riferimento alla sua specifica disabilità. Se spostiamo l’ago della bilancia a favore dell’amministrazione, è evidente che qualunque richiesta di accomodamento ragionevole corre il rischio di essere valutata arbitrariamente come sproporzionata o eccessiva per le finanze pubbliche.

Che non sia questa la ratio della Convenzione ONU lo si desume chiaramente anche dalla scelta del verbo “fornire”. L’articolo 24, comma 2, lettera c della Convenzione stessa, a proposito delle misure necessarie per rendere effettivo il diritto all’istruzione della persona con disabilità, richiede infatti agli Stati parti che «venga fornito un accomodamento ragionevole in funzione dei bisogni di ciascuno»; e al successivo comma 5 dispone che «gli Stati Parti garantiscono che le persone con disabilità possano avere accesso all’istruzione secondaria superiore, alla formazione professionale, all’istruzione per adulti ed all’apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita senza discriminazioni e su base di uguaglianza con gli altri. A questo scopo, gli Stati Parti garantiscono che sia fornito alle persone con disabilità un accomodamento ragionevole». È lo Stato che deve fornire un accomodamento, ossia un adeguamento che sia ritenuto ragionevole, cioè necessario, efficace ed appropriato in funzione dei bisogni della persona con disabilità, al fine di metterla realmente nelle condizioni di godere ed esercitare pienamente i suoi diritti fondamentali.

Sono tanti i punti di questa Sentenza che lasciano increduli. Davvero non si comprende il perché di sconvolgere e rimettere in discussione quei pochi punti fermi che le famiglie e le persone con disabilità avevano raggiunto in decenni di battaglie. Pochi punti fermi, che quotidianamente bisogna comunque far valere, per quanti ne hanno le possibilità economiche davanti ad un giudice, per quanti non ne hanno soccombendo e accontentandosi di briciole spacciate per grandi concessioni, anziché di diritti. Viene da chiedersi: cui prodest [a chi giova, N.d.R.]?
A pochi giorni dall’avvio del nuovo anno scolastico, questa pronuncia apre le porte al rischio di legittimare tagli importanti delle ore di assistenza, fornendo un appiglio giurisprudenziale che sembra appunto “coprire le spalle” a quanti non avevano ancora programmato le spese in questione, distratti magari dall’incombenza ben più allettante di sagre e feste patronali estive. Si perdoni il sarcasmo, ma spesso è quello che accade, perché manca quella pianificazione annuale che la Corte Costituzionale indica come modalità operativa che permette di scongiurare improvvisi e inaspettati squilibri di bilancio che portano a dichiarare l’impossibilità di adeguarsi alle proposte del PEI.

Il Consiglio di Stato nega la fondatezza di diverse questioni, come la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 5, del Decreto Legislativo 66/17, nella parte in cui prevede «nei limiti delle risorse disponibili», che obiettivamente si pone in contrasto con la Costituzione (si veda  quanto sopra riportato a proposito della prevalenza del diritto incomprimibile della persona con disabilità sul bilancio e non viceversa: Corte Costituzionale, Sentenze 275/16 e 83/19; Consiglio di Stato, Sentenza 2023/17). Così come non riconosce rilevanza a quei motivi di appello che sostengono il contrasto con la normativa europea o internazionale.
Eppure – con tutto il rispetto verso la diversa interpretazione del Consiglio di Stato – quei contrasti esistono e i rischi pure. La Sentenza in esame, pur ribadendo l’importanza del diritto all’inclusione scolastica, introduce un elemento di flessibilità nell’assegnazione delle risorse per l’assistenza scolastica, riconoscendo agli enti locali un potere discrezionale che rischia di generare a cascata una serie di possibili conseguenze.
Il rischio principale è di snaturare il diritto fondamentale all’istruzione e all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, riducendolo al rango di interesse, suscettibile così di essere modulato e/o sacrificato nel bilanciamento con altri interessi ritenuti più meritevoli di tutela sulla base di scelte arbitrarie dell’amministratore di turno.
Inoltre, la flessibilità così riconosciuta agli enti locali potrebbe portare a disparità di trattamento tra gli studenti con disabilità, a seconda delle risorse finanziarie disponibili nei diversi territori.

Se un aspetto positivo vogliamo trovare in questa pronuncia, è l’avere reso evidente la necessità di un intervento tempestivo del Legislatore che conferisca stabilità alla figura dell’assistente alla comunicazione e all’autonomia all’interno del sistema scolastico. E questo probabilmente non potrà avvenire lasciandone la gestione agli enti locali, e non solo per motivazioni di ordine economico, ma anche per ragioni che attengono alla professionalità necessaria per ricoprire questo ruolo. Sarebbe infatti auspicabile che il Legislatore inquadrasse formalmente tale figura all’interno del personale della scuola, ove è chiamata ad operare, garantendone così la stabilità lavorativa, la copertura finanziaria uniforme in tutto il territorio nazionale, nonché la formazione necessaria. Perché la disabilità richiede competenza, nella didattica come nell’assistenza.

La Ministra per le Disabilità ha dichiarato di non condividere questa Sentenza. La speranza, in attesa di un intervento opportuno del Legislatore, resta sempre la penna della Corte Costituzionale, adita in uno dei tanti ricorsi pendenti in materia presso i nostri tribunali. Ma in fondo già tutte le pronunce sopra citate esistono e dettano princìpi che devono ritenersi pienamente vigenti e non controvertibili.
Intanto, non ci resta che confidare nel buon senso e nella responsabilità dei nostri amministratori locali, nelle cui mani è il prezioso potere/dovere di garantire dignità a chi non aspetta altro che di essere valorizzato e rispettato come persona, oltre la disabilità.

Presidente dell’Associazione Per Noi e Dopo di Noi. 

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