Da anni il nostro sistema scolastico garantisce il diritto all’istruzione anche agli alunni che non possono frequentare la scuola a causa di specifiche patologie, e il servizio offerto è generalmente più che soddisfacente (consiglio al riguardo il recente volume Quando la scuola è di casa, a cura di Tiziana Catenazzo, Mimesis Edizioni). Anche in questo campo non possiamo certo dire che tutto funziona benissimo ovunque, ma spiace constatare che a volte le criticità derivano, purtroppo, da incomprensibili rigidità amministrative: le risorse ci sono, le competenze professionali pure, potrebbe andare tutto bene… ma così non è.
Questa testimonianza di una mamma, inviata qualche giorno fa al gruppo Facebook Normativa Inclusione, descrive una situazione che non possiamo che definire assurda, con un servizio domiciliare che dà ottimi risultati, ma deve limitarsi a un’ora al giorno, nonostante l’insegnante sia stata assunta per quella bambina con orario completo: «Sono la mamma di una bambina con disabilità che si accinge a frequentare il terzo anno di scuola dell’infanzia. Ha un gravissimo deficit al sistema immunitario che le impedisce di frequentare e abbiamo dovuto scegliere la scuola domiciliare. Per lei sono state chieste e assegnate ogni anno 25 ore di sostegno, ma, per disposizioni della scuola, l’insegnante può incontrarla solo un’ora al giorno, quindi 5 ore alla settimana in tutto. All’inizio ci andava anche bene, considerando la fragilità della bambina che probabilmente non avrebbe resistito a più di un’ora di attività didattiche, ma adesso è cresciuta e, proprio grazie alla scuola e alle sue eccellenti insegnanti, ha fatto tanti progressi ed è ormai evidente a tutti che 5 ore settimanali, quasi un “contentino”, non bastano più. La neuropsichiatra infantile che la segue dice che servirebbero almeno 15 ore, tre al giorno, ma a scuola ci dicono che è impossibile perché in base alla normativa ha già il massimo. Davvero è così? Cosa possiamo fare?».
Non è la prima volta che mi vengono segnalate situazioni di questo tipo, per cui penso che l’argomento meriti una riflessione generale.
Il riferimento normativo che accenna a una quantificazione delle ore a domicilio si trova nelle Linee di Indirizzo Nazionali sulla scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare, pubblicate dal Ministero dell’Istruzione nel 2019, che effettivamente, a pagina 9, parla di 4/5 ore settimanali alla scuola primaria (neppure accenna a quella dell’infanzia), ma anche ben specificando che il limite non è assolutamente vincolante: «Quanto detto è indicativo e deve essere stabilito in base ai bisogni formativi, d’istruzione, di cura e di riabilitazione del malato».
In sostanza sono da considerare due ordini di criteri: da un lato i bisogni formativi e di istruzione, dall’altro le condizioni di salute dell’alunno, il tempo libero da terapie, la sua resistenza e l’effettiva possibilità di dedicarsi ad attività di tipo scolastico. La quantificazione delle ore è inoltre connessa all’assegnazione delle risorse perché in genere a casa dell’alunno si recano gli insegnanti di classe che vanno retribuiti a parte e che, avendo già un orario completo di insegnamento a scuola, possono dedicare a quello a domicilio solo poche ore alla settimana.
La situazione cambia notevolmente se l’alunno in istruzione domiciliare è un alunno con disabilità al quale sono state assegnate delle ore di sostegno. Il progetto dovrà puntare il più possibile sulla sua inclusione con tutta la classe, insegnanti e compagni, quindi, ma è evidente che la risorsa sostegno, già disponibile e a volte anche per un numero considerevole di ore settimanali, svolgerà un ruolo importante sia a domicilio che a scuola, facendo da ponte tra l’alunno distante e il contesto classe.
Al riguardo le Linee di Indirizzo dicono, sempre a pagina 9: «Per gli alunni con disabilità certificata ex lege 104/92, impossibilitati a frequentare la scuola, l’istruzione domiciliare potrà essere garantita dall’insegnante di sostegno, assegnato in coerenza con il progetto individuale e il piano educativo individualizzato (PEI).» Ma come può essere “in coerenza” con il PEI un progetto di istruzione domiciliare che impedisce all’insegnante di sostegno di incontrare il bambino per più di un’ora al giorno, nonostante per realizzare il progetto di inclusione il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione) abbia chiesto, e ottenuto, un posto di sostegno completo e si possa quindi prolungare l’orario a domicilio senza spendere un euro in più?
È opportuno però ricordare, tra i riferimenti normativi, anche l’articolo 16 del Decreto Legislativo 66/17, modificato nel 2019 con l’aggiunta del comma 2-bis, che dice: «Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le modalità di svolgimento del servizio dei docenti per il sostegno didattico impegnati in attività di istruzione domiciliare».
Questo previsto Decreto Ministeriale, come molti altri annunciati dal Decreto 66/17, purtroppo non ha mai visto la luce ed è un vero peccato perché le tante rigidità che si riscontrano nell’applicazione delle norme sull’istruzione domiciliare dimostrano che sarebbe veramente necessario dare delle indicazioni puntuali, flessibili e responsabili sull’impiego dei docenti di sostegno, evitando pericolosi meccanismi di delega («Se a casa va solo lui, se ne occupa solo l’insegnante di sostegno»), ma anche rispettando i diritti dei lavoratori e definendo come agire in situazioni particolari, ad esempio se l’insegnante di sostegno non dispone di mezzo proprio o se il domicilio dell’alunno è lontano dalla scuola, come succede spesso alle superiori.
Va valorizzata l’autonomia scolastica perché la scuola può benissimo definire da sola dei percorsi flessibili, in base al DPR 275/99 (articolo 4), quando non sono necessarie risorse specifiche, come nel caso già visto dell’impiego degli insegnanti di sostegno, ma anche introducendo solo modalità di interazione a distanza che in certi casi consentono di mantenere efficacemente, e con costi pressoché nulli, i contatti con gli alunni che, per i più svariati motivi, non possono frequentare in presenza.
Non si vede perché tutto quello che abbiamo imparato nel periodo del Covid, e abbiamo visto che funziona, non possa essere usato, se serve, anche ora che l’emergenza è finita.