Svolta nella diagnosi e nel trattamento precoce dell’autismo? Non proprio!

«Quella notizia sull’autismo pubblicata recentemente dal quotidiano “la Repubblica” – dichiara il ricercatore David Vagni – sembra promettere mari e monti, suggerendo che presto potremmo essere in grado di diagnosticare l’autismo con una precisione straordinaria, grazie a un’innovativa intelligenza artificiale. Ma c’è un problema: la realtà è molto più complessa. Parlare dunque di “svolta” nella diagnosi dell’autismo, basandosi sui numeri espressi da quella ricerca, è quanto meno fuorviante». Una posizione, questa, condivisa dall’Associazione ANGSA e dalla Fondazione FIA

Giovane con disturbo dello spettro autistico

Un giovane con disturbo dello spettro autistico

Autismo, decifrato il codice genetico. Svolta nella diagnosi e nel trattamento precoce: un titolo, quello di un articolo pubblicato recentemente da «la Repubblica», che farebbe pensare a un vero momento-chiave nel trattamento dei disturbi dello spettro autistico. Ma è veramente così? Sembra proprio di no, a giudicare da quanto afferma David Vagni, ricercatore dell’IRIB (Istituto per la Ricerca e l’Innovazione Biomedica) del CNR: «In quell’articolo di “la Repubblica” – dichiara infatti – si parla di una “svolta” nella diagnosi precoce dell’autismo, basata su una nuova tecnologia sviluppata da un team di ricerca co-diretto da Gustavo K. Rohde. La notizia sembra promettere mari e monti, suggerendo che presto potremmo essere in grado di diagnosticare l’autismo con una precisione straordinaria, grazie a un’innovativa intelligenza artificiale. Ma c’è un problema: la realtà è molto più complessa. Il focus dello studio in questione, infatti, non è sul codice genetico dell’autismo, ma è sulla capacità di identificare specifiche mutazioni genetiche, come la delezione o la duplicazione nel cromosoma 16p11.2, utilizzando una tecnica di imaging cerebrale avanzata chiamata morfometria e basata sul trasporto (TBM). Tuttavia, le mutazioni rilevabili geneticamente rappresentano solo una piccola frazione dei casi di autismo (20% circa) e le mutazioni in 16p11.2 solo lo 0,5-1%. Per di più, tra le persone con la mutazione 16p11.2, solo il 20-30% è effettivamente autistico».
«Parlare dunque di “svolta” nella diagnosi dell’autismo basandosi su questi numeri – prosegue Vagni – è quanto meno fuorviante. Questo tipo di semplificazione mediatica non solo è impreciso, ma può essere dannoso. Trattare l’autismo come una condizione monolitica, riducendolo a una questione genetica risolvibile con un test, non rende giustizia alla complessità della condizione. L’autismo è una condizione altamente eterogenea, che si manifesta in modi molto diversi da persona a persona. Considerarlo quindi come una “condizione essenziale” legata a pochi marcatori genetici ignora questa diversità e, in ultima analisi, nuoce alle persone autistiche».
«È necessario fermare queste semplificazioni – conclude – e abbracciare una visione più completa e rispettosa dell’autismo, che riconosca la varietà di esperienze e bisogni delle persone autistiche».

La posizione del ricercatore è pienamente condivisa dall’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo), il cui presidente Giovanni Marino commenta che «la ricerca scientifica deve certamente continuare a progredire, ma non a scapito della verità e della comprensione umana».
Dal canto suo, Marco Bertelli della FIA (Fondazione Italiana per l’Autismo sottolinea come «l’unico dato interessante di quella ricerca sia la capacità dell’intelligenza artificiale di gestire perfettamente il confronto statistico di dettagli all’interno di una massa dati enorme, come quella che si associa a numerose immagini tridimensionali del sistema nervoso centrale e ai loro correlati genetici e comportamentali. In tal senso, i risultati di questo studio indicano che, se usata con saggezza e cautela, la capacità statistica dell’intelligenza artificiale può aiutarci in tempi rapidi a fare ordine nell’attuale eterogeneità delle condizioni raggruppate sotto la denominazione di disturbo dello spettro autistico e permettere di conseguenza diagnosi e interventi di precisione». (S.B.)

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