Elisa è una bimba con tetraparesi spastica che ama profondamente la vita. Non cammina, ha una cognizione estremamente ridotta, non parla, non mangia per bocca ed è cieca. L’appuntamento con la mamma, Mariella Meli, capita casualmente nel giorno del suo nono compleanno: «I medici ci avevano detto che Elisa aveva una prospettiva di vita di 3 anni. Per i primi anni non riuscivamo a festeggiare il suo compleanno. Oggi viviamo con gioia ogni giorno come se fosse l’ultimo».
La sua nascita, come sempre accade con l’arrivo di un bimbo o di una bimba con disabilità, ha rotto diversi equilibri familiari. Ma mentre è semplice provare a immaginare quali possano essere state le sfide per i suoi genitori, meno scontato è provare a immedesimarsi nella vita e negli stati d’animo di un bambino. Parliamo del fratello maggiore Leonardo che oggi ha 12 anni.
Respira da sempre in casa l’aria convulsa che necessariamente comporta una condizione rara come quella della sorella: la paura della perdita, lo stress dei ricoveri e delle terapie, la stanchezza dell’assistenza continua. Quando si parla di famiglie di persone con disabilità, ci si dimentica spesso di quanto la dimensione dei sibling [termine inglese che caratterizza i fratelli e le sorelle di persone con disabilità, N.d.R.] sia diversa e unica rispetto a quella dei genitori. Troppo poco ci si interroga sugli effetti nel breve e nel lungo termine sulla loro vita, sul loro stato d’animo. Sarà perché il mondo dei bambini è sempre un piccolo mistero fatato per gli occhi adulti che cercano di interpretarne i segnali, a volte riuscendoci e a volte meno.
Leonardo suona il violino per sua sorella. Quando Elisa è arrivata a casa, si è approcciato da subito con grande libertà «e noi glielo abbiamo permesso», spiega la madre. «I fratelli vivono un’esperienza lontana da quella dei genitori. Nella letteratura scientifica questo aspetto è venuto fuori solo da poco tempo. Si tendeva prima a identificare il loro vissuto con quello dei genitori su base oggettiva, quindi sulla disabilità stessa. Mancava però la visione soggettiva dei bambini che è fondamentale, considerando soprattutto che l’esperienza con la disabilità per loro arriva nell’età della formazione della propria identità».
Durante i primi due anni di vita, Elisa ha subito diciassette ricoveri: «Io e mio marito – ricorda Meli – facevamo in modo che Leonardo non restasse mai da solo, che ci fosse sempre uno di noi con lui. Con il tempo Leonardo ha iniziato a fare domande, a chiedere se la sorella avrebbe mai parlato o camminato, e a non ricevere da lei quello che si aspettava. Ha così imparato a instaurare una relazione comunicativa diversa da quella che i suoi amichetti avevano con gli altri fratelli, una relazione non verbale. Leonardo ha sempre avuto un filtro più genuino rispetto al nostro e questo ci ha permesso di osservare Elisa dal suo punto di vista. Leonardo ha imparato a capire la sorella prima di noi, grazie a un approccio libero da un’eccessiva protezione».
Dall’accettazione della disabilità, Leonardo è poi passato a una fase di accudimento e di orgoglio nei confronti della sorella. Quando si è sentito pronto, «ci ha chiesto di portarla alle feste della scuola. Quando i suoi compagni l’hanno conosciuta, è stato lui a raccontare il caso clinico di Elisa, a spiegare come comunicare con lei, come funzionassero i sensi di sua sorella, ponendo sempre l’accento sulle abilità di Elisa e mai sulla disabilità. È stata una grande lezione per tutti gli adulti».
Con la pre-adolescenza le cose hanno iniziato a cambiare: «È come se fosse cresciuto in fretta e poi fosse tornato indietro. Leonardo si è responsabilizzato in maniera autonoma in tutto molto velocemente, ma adesso richiama l’attenzione di quando era piccolo. Ha bisogno di sentirsi ancora piccolo».
Per Mariella e il marito la loro storia familiare è stata una fonte di ispirazione per due volte. Hanno fondato l’Associazione Famiglie Disabili Lombarde, nata allo scopo di prestare consulenza legale alle famiglie delle persone con disabilità. «Con la nascita di Elisa ci siamo resi conto che nel campo dei diritti c’è ancora poca informazione. Abbiamo creato l’Associazione nel tentativo di non far sentire sole le famiglie di fronte alla burocrazia».
Nel corso del tempo l’Associazione ha chiamato attorno a sé centinaia di famiglie sparse su tutto il territorio lombardo: «Abbiamo lavorato moltissimo su questo progetto, forse troppo. Non ci aspettavamo infatti che un giorno Leonardo ci chiedesse di parlarci e che ci dicesse “bello che aiutate tutte le famiglie dell’Associazione, ma avete dimenticato di avere una vostra famiglia”. Ci siamo resi conto che nostro figlio reclamava il suo tempo esclusivo. È cambiata così la nostra prospettiva».
Da quel giorno Leonardo viaggia da solo con i suoi genitori: «Andare via di casa serve, è il tempo in cui siamo dedicati interamente a lui. Portare via una bambina con una disabilità così complessa crea uno stress che Leonardo percepisce. È necessario che la vacanza sia un momento di serenità anche per lui».
Da qui, la seconda ispirazione: il Progetto Charlie, promosso da Famiglie Disabili e dedicato interamente ai sibling e al loro “tempo esclusivo”. L’obiettivo è mostrare ai genitori che i fratelli hanno bisogno di spazio e tempo solo per loro. L’Associazione si propone quindi di organizzare una giornata intera per i genitori e i fratelli, garantendo un’assistenza domiciliare pediatrica e infermieristica al bambino con disabilità, così come le visite conoscitive, per fare in modo che il personale venga messo a conoscenza di tutte le esigenze dei bambini prima dell’assenza dei genitori.
«Spesso i sibling rinunciano spontaneamente al loro tempo quando nasce il fratello o la sorella con disabilità, ma è importante che in un momento successivo il disequilibrio venga recuperato».
Charlie era la figlia di una famiglia di fondatori dell’Associazione, scomparsa prematuramente e a cui il progetto è dedicato: «I nostri figli sono cresciuti insieme. Charlie aveva un fratello, Pietro, con cui Leonardo si è immedesimato quando la bambina ci ha lasciati. Credo che Leonardo pensi a una prospettiva in cui sua sorella potrebbe non esserci più, ma fa fatica a esprimerlo. È grato per la scelta che facciamo quando ci dedichiamo a lui, perché tra breve non ci chiederà più del tempo da trascorrere insieme. Ora, in quello spazio, che è solo suo, dedicargli un tempo di qualità rimette equilibrio a uno squilibrio di tempo quantitativo che la disabilità di Elisa necessariamente richiede».