Parte il CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down) da una serrata critica alla Proposta di Legge concernente l’Istituzione della figura professionale dell’operatore per l’emotività, l’affettività e la sessualità delle persone con disabilità, approdata il 5 agosto scorso alla Commissione Affari Sociali della Camera (ad essa il nostro giornale ha già dedicato due diversi interventi, a questo e a questo link), per allargare poi il campo in generale al tema dell’affettività e della sessualità delle persone con disabilità.
«Quella Proposta di Legge – affermano innanzitutto dal CoorDown – appare purtroppo incerta sotto il profilo tecnico ed esito di una visione parziale, riduttiva e per molti versi pericolosa in termini culturali del tema dell’affettività e della sessualità delle persone con disabilità, a cui la nostra organizzazione dedica da anni attenzione e impegno. Si tratta infatti di un testo che riduce il campo ad un’improbabile prestazione sessuale preordinata, ignorando come la sessualità riguardi persone profondamente differenti e non un tipo standard (maschio con disabilità motoria), eludendo quindi il fatto che sussistano evidenti differenze di genere. Un testo, quindi, lontanissimo dalla nostra visione e da quella di molte altre organizzazioni, professionisti, persone e famiglie. Se è vero, quindi, che quella Proposta di Legge ha il merito di riaccendere i riflettori sul tema della disabilità e della sessualità, riteniamo però necessario riaffermare alcuni elementi, per inquadrare al meglio ponderate riflessioni e conseguenti azioni».
«Cultura, formazione, strumenti, accompagnamento – sottolineano in tal senso dal Coordinamento -: sono queste le parole chiave che possono garantire alcuni dei diritti di ognuno. Non si tratta perciò di un diritto al mero atto sessuale – momento personalissimo che non si può rinchiudere in una norma – quanto piuttosto del diritto a ricevere un’educazione affettiva sessuale comprensibile e adeguata alle proprie peculiarità. Questo vale per ogni adolescente e dunque anche per le persone con differenti disabilità. È il diritto a decidere se intraprendere relazioni affettive e sessuali, a scegliere il partner, a decidere responsabilmente se essere o meno attivi sessualmente. Il diritto, quindi, a ricercare una vita sessuale soddisfacente, sicura e piacevole, nonché il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, inclusa la prevenzione consapevole e accessibile. E infine, il diritto all’integrità fisica, che non è affatto scontato, visto l’ancora presente ricorso a trattamenti farmacologici che inibiscono forzosamente le pulsioni sessuali. Merita inoltre di essere ricordato che la sterilizzazione forzata, anche in Paesi “civilissimi”, non è poi così lontana nel tempo».
«Il primo ostacolo nel rendere effettivi questi diritti – spiega Antonella Falugiani, già presidente del CoorDown e oggi delegata in esso per il tema dell’affettività e della sessualità – è di natura culturale; sono cioè gli stereotipi, ancora persistenti nonostante tutto: considerare la persona con disabilità come “un eterno bambino”, asessuato o privo di stimoli; ricondurre le sue umane pulsioni fra i comportamenti-problema a cui rispondere con soluzioni “sanitarie” o di contenimento o più banalmente ignorandole. Sono ignorate le voci e i desideri delle persone con disabilità, e la necessità di superare il tabù che vuole la sessualità delle persone con disabilità esclusa dal discorso pubblico. Sono stereotipi trasversali e stratificati che influenzano anche moltissime famiglie, lasciandole disorientate, prive di strumenti e di supporti per affrontare al meglio la crescita e lo sviluppo dei propri figli e delle proprie figlie. È questa la prima urgenza che dovrebbe trovare una sponda anche normativa: favorire percorsi di formazione consolidati, ma anche con un affiancamento personalizzato per persone con disabilità e per le loro famiglie, che siano davvero corrispondenti alle esigenze di crescita e autodeterminazione».
«Gli ultimi dieci anni – ricordano per altro dal CoorDown – non sono trascorsi inutilmente: esistono infatti esperienze e buone prassi di formazione, sono maturate professionalità e diffusi approcci e conoscenze sui percorsi di educazione affettiva e sessuale. Le abbiamo perseguite noi, ma anche altre organizzazioni, pur con metodologie diverse, ma accomunate da visioni sovrapponibili. Se il Legislatore ha davvero a cuore questi temi può agire rafforzando questi modelli e mettendoli a sistema in modo da renderli fruibili davvero da tutti».
«Parallelamente – proseguono dal Coordinamento – è indispensabile consolidare una più diffusa formazione degli operatori e degli educatori, rafforzando i percorsi di aggiornamento, le occasioni formative, gli stessi piani di studio, per diffondere consapevolezza, conoscenze, condividere esperienze e soluzioni. In tal senso, la scuola può rappresentare un’occasione formidabile per educare tutti all’affettività e alla sessualità, ma per sfruttarla appieno, i momenti educativi devono essere adeguati ai linguaggi e alle particolarità di ognuno in modo da garantire uguali opportunità. Non mancano le Associazioni con esperienze rodate che possono mettersi a disposizione delle scuole che intendano perseguire queste strade».
«C’è un gran parlare di progetto di vita delle persone con disabilità – è la conclusione – complice anche la recentissima riforma in via di attuazione. Perseguire una transizione alla vita adulta e investirvi risorse senza considerare la dimensione affettiva e sessuale, senza educare a raggiungere una maturità affettiva, senza occuparsi delle emozioni e dell’immaginario personale, è una volontà destinata a prevedibili fallimenti di qualsiasi progetto di vita. È questo il momento storico più opportuno per raccogliere queste sfide e istanze, facendo tesoro di ciò che di positivo è stato sperimentato, puntando sulla consapevolezza, sulla formazione, ma anche sull’affiancamento pratico alle persone e alle famiglie». (S.B.)
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