Il fantastico in letteratura e il senso della vista

«“They” di Rudyard Kipling – scrive tra l’altro Cristiana Mameli – è un testo che dovrebbe essere menzionato anche per una prospettiva che appare innovativa sia per l’epoca in cui venne pubblicato (1904), sia, purtroppo, ancora oggi, a oltre un secolo di distanza. Nella società attuale, infatti, si tende ancora a considerare la disabilità come un limite e nient’altro, ma in “They” la giovane cieca incontrata dal protagonista è una persona indipendente, una proprietaria terriera che sa farsi rispettare, una figura che accudisce invece di essere accudita»

Copertina della prima edizione di "They" di Kipling

La copertina della prima edizione di “They”, racconto di Rudyard Kipling pubblicato nel 1904

Nella narrativa fantastica ciò che risulta impensabile e fuori da ogni logica si manifesta con forza, mettendo in crisi gli schemi con cui è organizzato il reale. I personaggi dei romanzi e racconti fantastici si trovano di fronte a una realtà che presenta più lati di quelli che avrebbero potuto immaginare. Tale confronto il più delle volte avviene tramite il canale della vista. In questo senso il fantastico, come scrive Silvia Albertazzi, «esalta e mette in discussione al tempo stesso il potere della vista» (Il punto su: La letteratura fantastica, a cura di Silvia Albertazzi,Roma, Laterza, 1995, pagina 67). I personaggi non credono ai loro occhi oppure scoprono aspetti di cui ignoravano l’esistenza tramite l’utilizzo di strumenti ottici come lenti, cannocchiali e specchi.
Tale potenziamento della capacità visiva corrisponde all’acquisizione di una nuova prospettiva, alla scoperta che non vi è soltanto la realtà nota. D’altra parte, rispetto a una simile scoperta i protagonisti delle storie si trovano spesso smarriti, e tale smarrimento davanti all’ignoto è non di rado rappresentato con l’impossibilità di vedere, che sia permanente – come nel caso della cecità – o dovuta a temporanee condizioni ambientali – ad esempio, una coltre di nebbia o l’oscurità del folto di un bosco. «Un’enfasi sull’invisibilità indica una delle tematiche centrali del fantastico: i problemi della facoltà di vedere. In una cultura che identifica il “reale” col “visibile” e dà il predominio alla vista su tutti gli altri sensi, l’irreale è ciò che è invisibile» (Rosemary Jackson, Il fantastico. La letteratura della trasgressione, Napoli, Pironti, 1981, pagina 42).

Il fantastico, che ha il proprio cardine nello stravolgimento della norma, se da un lato rivela la sua spettacolarità, consentendo ai personaggi di assistere a incredibili prodigi, dall’altro mette in discussione il primato della vista, lascia intuire l’esistenza di qualcosa di sconosciuto ai margini del nostro campo visivo concettuale. Perciò ricorrono spazi scuri, che si prestano al verificarsi di sorprese inquietanti, e personaggi che si trovano nella condizione di non vedere ciò che li circonda, di non riuscire a decifrare con sicurezza il contesto in cui devono agire.
Si consideri ad esempio il racconto di Rudyard Kipling intitolato They, pubblicato nel 1904. Nel testo, chiara sublimazione da parte dell’autore della perdita della figlioletta, avvenuta pochi anni prima, tra i personaggi c’è una donna non vedente, la quale, forse proprio per via della sua disabilità, possiede una capacità fuori dal comune.
Protagonista del racconto è un uomo che durante un giro in macchina nel Sussex smarrisce la strada e si ritrova ad attraversare una radura. Finisce così nei pressi di una casa abitata da una donna cieca e dal suo maggiordomo e, come gli sembra a giudicare dalle piccole figure che lo scrutano da una finestra e dalle voci che sente provenire dal cortile, da un gruppo di bambini. Nei mesi successivi l’uomo capiterà altre due volte nei dintorni del bosco e della casa, e alla fine comprenderà che quei luoghi sono una sorta di limbo, dove restano i bimbi deceduti. Come il maggiordomo e altri abitanti del villaggio vicino al bosco, il protagonista è in grado di vedere i bambini perché ha perso la figlia. Nel momento in cui, mentre sta prendendo un tè con la proprietaria della casa, sente una carezza sulla mano, un gesto che era solita fare la sua piccola, egli comprende la complessità della realtà che lo circonda, e decide di non fare più ritorno a quella casa, di andare avanti con la propria vita.

Se si pensa alla perdita subita dall’autore, il racconto risulta commovente ed efficace nel modo semplice in cui rappresenta l’elaborazione del lutto dovuto alla scomparsa di un figlio. In relazione all’uso che il fantastico fa del tema della vista, si può notare come la giovane cieca, pur non avendo provato un simile dolore, sia in grado di percepire i piccoli defunti. Li sente, e per loro ha fatto allestire una stanza dei giochi. L‘impossibilità di vedere la rende la persona più adatta a fare da tramite fra la realtà nota e ciò che c’è al di là, per vegliare sulle anime dei piccoli rimasti vicini ai loro cari. In una certa misura la donna risulta più recettiva ed empatica in virtù del senso che le manca.

They è un testo che viene ricordato per la delicatezza con cui l’autore ha rappresentato la propria sofferenza, ma dovrebbe essere menzionato anche per un altro aspetto. A emergere è una prospettiva che appare innovativa sia per l’epoca sia, purtroppo, ancora oggi, a oltre un secolo di distanza. Nella società attuale, infatti, si tende ancora a considerare la disabilità come un limite e nient’altro. Dato ciò, occorre sottolineare come in They la giovane cieca incontrata dal protagonista sia delineata quale una persona indipendente, una proprietaria terriera che sa farsi rispettare, una figura che accudisce invece di essere accudita, e che in virtù del suo “sesto senso” costituisce un punto di riferimento per la comunità. In tal modo, come il racconto di Kipling dimostra, il fantastico non smentisce la sua vocazione a mettere in discussione il pensiero dominante.

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