Diritti e qualità di vita: una strada tutta in salita

La storia raccontata da Fabio Ragaini del Gruppo Solidarietà, riguardante M., divenuto teraplegico a 73 anni, dà piena sostanza alle parole dello stesso Ragaini, quando afferma: «Senza un radicale cambiamento di approccio, da parte sia degli operatori che delle dirigenze dei servizi, è difficile immaginare tempi migliori. Senza la presenza del Gruppo Solidarietà, infatti, la storia di M. sarebbe stata quella di una delle tante persone confinate a casa con totale autogestione dell’assistenza e della cura. In un contesto “culturale” come quello attuale, il cammino da fare è lungo ed in salita»

Arturo Nathan, "Solitudine", 1930, Museo Revoltella, Trieste

Arturo Nathan, “Solitudine”, 1930, Museo Revoltella, Trieste

Questa intervista è iniziata nello scorso mese di giugno, periodo nel quale la vicenda di seguito narrata sembrava si fosse definita, per essere pubblicata nel nuovo numero della rivista «Appunti sulle politiche sociali» (rivista del Gruppo Solidarietà). Visti i ritardi nell’attuazione e considerata l’uscita a settembre della pubblicazione, è stata poi tenuta in stand by. A seguito delle evoluzioni, è stata poi rivista ai primi di settembre e il 18 del mese chiusa. Considerato che contemporaneamente alla chiusura ci sono state ulteriori novità, il testo è stato di nuovo rivisto e definitivamente chiuso il 23 settembre. La versione definitiva, in una forma più estesa, verrà pubblicata nel numero 3/2024 di «Appunti sulle politiche sociali», in uscita nel mese di ottobre (intervista a cura di Giuseppe Alberti).

Da diversi mesi, il Gruppo Solidarietà si sta occupando della situazione di M., con la quale il Gruppo stesso è venuto in contatto. Ci puoi descrivere di quale situazione si tratta e quali sono attualmente le sue necessità?
«M. ha 74 anni, operaio in pensione, e abita in un Comune della Provincia di Ancona, Ambito Territoriale Sociale 9 e Distretto di Jesi. A novembre 2022 è caduto da una scala, nel campo attiguo alla sua abitazione, e ha riportato una lesione midollare a livello C4 con conseguente tetraplegia.
Nel giugno 2023, a ridosso della dimissione dall’Unità Spinale, ha contattato il Gruppo Solidarietà, nella mia persona, per avere alcune informazioni. Alcuni giorni dopo il suo rientro a casa, mi sono recato nella sua abitazione. Aveva organizzato l’assistenza con la presenza di un operatore sociosanitario per 7 ore al giorno sull’intera settimana. M. vive con la moglie. Una situazione di quella complessità non poteva non avere il sostegno dei servizi. Il rischio evidente era quello, a parte qualche intervento prestazionale (riabilitazione domiciliare, cambio catetere, analisi ecc.), di una gestione completamente privata dell’assistenza e della cura. Dopo una prima fase in cui il Gruppo ha fornito informazioni per l’attivazione di alcuni interventi sociosanitari domiciliari, si è concordato di chiedere all’ASP (Azienda Pubblica di Servizi) Ambito 9, che gestisce i servizi sociali per conto dei Comuni del territorio, e al Distretto Sanitario di Jesi (AST-Azienda Sanitaria Territoriale Ancona), l’attivazione della presa in carico, del progetto personalizzato e la formulazione del piano assistenziale integrato. Passaggio propedeutico all’attivazione di sostegni adeguati volti a “poter assicurare la permanenza a domicilio ed il mantenimento di adeguata qualità di vita”. La famiglia ha inviato la lettera il 18 agosto 2023. 13 mesi fa è iniziata una storia che sembrava avesse raggiunto una sua adeguata soluzione a maggio 2024 e che invece ad oggi (18 settembre 2024) è ben lontana dalla soluzione (n.b.: il 19 settembre, si veda sotto, ha poi avuto una accelerazione)».

Con le norme del settore sociosanitario, quali sono gli interventi cui M. avrebbe diritto e come è organizzata la presa in carico di situazioni come queste nel nostro territorio? Come hai trovato la preparazione degli Enti preposti, riguardo l’approccio di gestione di situazioni così delicate? Vuoi indicare quali fasi, secondo te, risultano adeguate e quali invece seriamente carenti?
«Prima di risponderti vorrei evidenziare cosa significa nella nostra Regione e nel nostro territorio diventare, come in questo caso, tetraplegici dopo i 65 anni. Vado velocemente e schematicamente; rimandando, per un maggior dettaglio, agli approfondimenti in nota.
Con gli interventi del Fondo Nazionale Non Autosufficienze, M. può accedere alla disabilità gravissima (assegno mensile che non ha quota fissa e che nelle ultime annualità è di poco superiore ai 300 euro). Non può accedere alla “Vita indipendente” (quota massima 1.100 euro mensili che da qualche anno è stata aperta anche agli ultrasessantacinquenni), perché la “graduatoria” è bloccata e non ci sono nuove immissioni. Ricordiamo che per i malati di SLA (sclerosi laterale amiotrofica) è previsto un sostegno regionale di tipo economico, finanziato con fondi sanitari, di 833 euro o 1.000 euro (senza o con tracheotomia).
Per quanto riguarda i servizi territoriali, se avesse avuto meno di 65 anni, avrebbe potuto accedere al servizio di aiuto alla persona (che non prevede compartecipazione), con una dotazione oraria definita dal progetto redatto dall’Unità Multidisciplinare e poi finanziato dal Comune (che non automaticamente rispetta quelle indicazioni). Avendo più di 65 anni rientra nell’area anziani e l’accesso è legato all’ISEE. Poi, anche in questo caso, il Comune avrebbe definito l’entità della dotazione oraria. Ad ogni modo, con il suo reddito (ISEE superiore a 20.000 euro) avrebbe potuto accedere al servizio solo pagandolo per intero. Va ricordato che Il suo Comune, fino al 2023, non ha utilizzato la quota del Fondo non Autosufficienza con vincolo di destinazione per il SAD (Servizio di Assistenza Domiciliare). Ma più in generale, se hai meno di 65 anni puoi chiedere l’attivazione dell’Unità Multidisciplinare Disabilità, che dovrà fare la valutazione e definire quello che chiamiamo “piano individualizzato”. Se sfori i 65 anni le cose sono molto meno lineari.
Aggiungo, come informazione, che per una persona nelle condizioni di M. un ricovero permanente, che non sarebbe neanche facile trovare in tempi brevi, ha un costo giornaliero non inferiore a 180 euro al giorno, a completo carico della Sanità. E aggiungo ancora che una buona gestione dell’assistenza a casa previene danni secondari, che spesso sono causa di ricoveri ospedalieri.
Chiedi “come è organizzata la presa in carico per situazioni come queste”? Diciamo che, nella sostanza, non è organizzata. Se una persona chiede un intervento per il quale l’ISEE non è criterio di inclusione/esclusione, ad esempio l’assegno di cura per ultrasessantacinquenni non autosufficienti, si attiva una valutazione da parte dell’assistente sociale dell’Ambito, con possibilità di coinvolgimento dell’Unità Valutativa Anziani. Così come se un anziano non autosufficiente chiede un “inserimento residenziale”, si attiva l’Unità Valutativa Distrettuale ai fini dell’accesso. Ma, nel nostro caso, la richiesta è stata di “attivazione della presa in carico, del progetto personalizzato e la formulazione del piano assistenziale integrato”. E qui il “sistema integrato” ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. La richiesta è stata: quali sostegni attivare al fine di poter assicurare la permanenza a domicilio di M. ed il mantenimento di adeguata qualità di vita? Che significa: prima vediamo insieme quali sono le esigenze e poi come possiamo rispondervi. Con la messa in crisi dell’impostazione attuale: ho questo con queste regole. Puoi prendere quello che l’attuale offerta con la sua regolamentazione ti consente. Quello in cui rientri. L’atto primo, ovvero la valutazione di quello che serve, quello di cui hai necessità, è in subordine. Ti viene dato un vestito da indossare senza aver prima preso le misure.
Detto questo, dopo diversi solleciti del Gruppo Solidarietà, si arriva alla “visita domiciliare” congiunta il 30 novembre 2023 e successivamente il 22 febbraio 2024, data in cui si delinea in modo formale il Piano assistenziale. Sono passati intanto sette mesi dalla richiesta del 18 agosto».

In questa fase il confronto tra la famiglia e il Gruppo Solidarietà rispetto alle condizioni di M. porta alla definizione di alcune proposte. Quali?
«Dopo la “visita” del 30 novembre, il Gruppo, in accordo con la famiglia, chiede, ai fini della formulazione del progetto personalizzato, un incontro congiunto con l’ASP ATS 9 e con il Distretto Sanitario. Incontro che non si realizza prima della seconda “visita” del 22 febbraio, ma che si formalizza con alcune comunicazioni. Cosa viene chiesto? Che l’AST assuma, ai sensi della normativa sui LEA (Decreto del Presidente del Consiglio del 12 gennaio 2017), il 50% del costo dell’assistenza tutelare (che sarebbe del 100% se si ricoverasse in una struttura adeguata alle condizioni di M.). Come detto, attualmente M. viene assistito da un operatore sociosanitario per 7 ore al giorno per 7 volte a settimana. Il costo mensile è di poco inferiore a 2.000 euro. Successivamente alla visita del 22 febbraio, l’AST comunica alla famiglia l’impegno di garantire un operatore per 7 ore settimanali (pari alle ore di riposo dell’operatore socio sanitario). Si tratterebbe, nel caso, di una copertura pari a circa il 15% dell’assistenza prestata. Il Gruppo, sempre su mandato di M., chiede che venga assunto anche parte dell’onere sostenuto dalla famiglia nelle altre 42 ore settimanali. Occorre, infatti, creare le condizioni affinché l’operatore socio sanitario privato continui il suo lavoro, sostenendo al contempo la famiglia nelle spese sostenute (quota sanitaria dell’assistenza tutelare). Tale richiesta è motivata dal fatto che il servizio prestato è molto apprezzato da M. e ha determinato un miglioramento importante della sua qualità di vita. I mesi successivi si caratterizzano per l’ennesimo periodo di silenzio senza comunicazioni formali. Finalmente il 7 maggio si arriva ad un incontro in presenza con i direttori del Distretto e dell’ASP, nel quale si ridiscutono le modalità di sostegno, avendo come riferimento la normativa sui LEA. L’AST, in maniera formale, assume l’impegno di coprire il 50% del costo, che attualmente grava per intero sulla famiglia, dell’assistenza tutelare. Tanto che, successivamente, viene anche contattato ai fini della fatturazione l’operatore socio sanitario che presta servizio. A conti fatti, l’onere a carico di AST è pari a circa 1,30 h di assistenza tutelare al giorno (circa 950 euro mese)».

La situazione, però, continua a rimanere bloccata…
«Esatto. Ricomincia il silenzio. Scriviamo di nuovo. Sembra ci siano nuovi ostacoli di tipo amministrativo, ma non ci sono comunicazioni formali. Fino a quando il 7 agosto si svolge una riunione interna all’Azienda Sanitaria che ritiene che quanto pattuito (assunzione del 50% del costo della spesa dell’operatore socio sanitario) non si possa realizzare, perché si tratterebbe di una forma di assistenza indiretta che l’Azienda Sanitaria ritiene di non poter assumere. Il sostegno deve trovare altre modalità organizzative. È intanto passato un anno dalla richiesta da parte della famiglia.
Arrivato settembre senza avere ricevuto comunicazioni, il Gruppo Solidarietà scrive il 17 del mese alla Regione Marche (e per conoscenza ai soggetti istituzionale locali), presentando la situazione. Dopo avere fatto la cronistoria degli eventi chiede “un intervento al fine di sbloccare una inaccettabile situazione. Intervento volto a garantire gli interventi di assistenza tutelare di cui, secondo le vigenti norme, M. ha necessità e diritto”. Il giorno dopo, 18 settembre, la Regione chiede ad AST e ASP ATS 9 una “sollecita presa in carico”. Il giorno successivo (19 settembre), improvvisamente l’AST si sveglia dal torpore e comunica formalmente che oltre all’assistenza infermieristica e riabilitativa già garantita, fornirà, in via diretta, anche 1,30 ora di assistenza tutelare su 6 giorni a settimana (pari a circa il 20% dell’assistenza tutelare che viene prestata così come rilevata anche nel PAI (Piano Assistenziale Individualizzato)».

Giunti a questo punto quali considerazioni ti senti di trarre?
«Mi permetto intanto, una prima considerazione riguardante il Gruppo Solidarietà. Seguire situazioni come queste non accontentandosi delle non risposte e dei dinieghi, richiede un impegno estremamente gravoso (incontri, studio, preparazione di lettere ecc.) per un’organizzazione di volontariato come la nostra. Un lavoro che le Istituzioni, ed è una gravissima responsabilità, cercano di rendere impossibile. Si capisce perché le famiglie se vogliono andare avanti sono costrette a ricorrere a dei legali, con i costi che ne conseguono. Per altro, come in questo caso, devono, non è scontato, padroneggiare la materia. Aggiungo che, spesso si tratta di un lavoro, della cui importanza (oltre che della fatica che richiede) non si ha piena consapevolezza. Serve ad aprire, o forse meglio, sfondare delle porte che altri troveranno in futuro sbloccate. Una situazione individuale, apre la strada a risposte che riguardano la collettività.
Sul ruolo delle Istituzioni il commento lo lascio a chi ha avuto la pazienza di leggere la storia. Sottolineo il comportamento dell’AST di Ancona. A fronte di mesi di tombale silenzio, arriva una comunicazione della Regione e avviene l’immediato risveglio. L’AST risponde immediatamente, seppure inadeguamente, alle esigenze di M. a seguito della sollecitazione della Regione. Ma quelle esigenze prima non erano presenti?
Prima di un’ultima considerazione vorrei tornare sulla supposta impossibilità da parte dell’AST di assicurare il servizio attraverso la cosiddetta forma indiretta”. Ci troviamo davanti ad una situazione in cui la necessità di assistenza tutelare è stata accertata; la famiglia di ritorno dal ricovero ospedaliero si è organizzata anche con una specifica professionalità. L’assistenza è alquanto soddisfacente, in pochi mesi alcune “funzioni” hanno avuto un importante miglioramento con risvolti importanti per la qualità di vita di M. È/era o no importante sostenere tale condizione? Se sì, le possibilità si cercano e si esplorano. Riprendo, in questo senso, parte della lettera da noi inviata all’AST lo scorso 9 agosto: “Il progetto personalizzato, deve o no aver cura di promuovere e garantire qualità di vita delle persona? Infine, la valutazione degli esiti di un intervento è un tema che ci si pone? Sono domande che ci poniamo e speriamo vorrete porvi anche voi, nella consapevolezza che la norma deve essere utilizzata per servire l’uomo. Se questo è l’assunto, forse, la lettura della normativa LEA, agganciata al progetto sulla persona e alla qualità di vita, aiuta a trovare possibili percorsi, non ostacoli o chiusure”.
Chiudo con un’ultima considerazione. Questa storia ci conferma ancora di più che senza un radicale cambiamento di approccio, da parte sia degli operatori che delle dirigenze, è difficile immaginare tempi migliori. Senza la nostra presenza, la storia di M. sarebbe stata quella di una delle tante persone confinate a casa con totale autogestione dell’assistenza e della cura. Una delle tante persone sconosciute ai servizi. E per conoscenza, non intendo l’erogazione di qualche prestazione domiciliare (cambio catetere, analisi, fisioterapia), intendo quella che chiamiamo presa in carico”. Un sistema dei servizi che non ti lascia solo, che è presente, su cui puoi contare. Nessuno avrebbe fatto una valutazione multidisciplinare, nessuno avrebbe fatto un Piano di Assistenza Individuale (PAI).  C’è dunque un problema a monte (le dirigenze) e un problema valle (la consapevolezza degli operatori).
In un contesto “culturale” di questo tipo, il cammino da fare è lungo ed in salita. Ed è opportuno evitare di illudersi che parole nuove (“progetto di vita”, “budget di progetto”) cambino prassi consolidate. Nella consapevolezza che non si può mettere vino nuovi in otri vecchi».

La presente intervista, realizzata nell’àmbito del Gruppo Solidarietà, viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione. L’occasione è anche propizia per ricordare, come abbiamo scritto in altra parte del giornale, che proprio domani, 28 settembre, il Gruppo Solidarietà celebrerà con un evento i propri 45 anni di attività.

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo