Il coraggio e la profondita dell’arte di Adele Ceraudo (“Lady Bic”)

Dal 4 al 13 ottobre, presso il Palazzo Broletto di Pavia, nell’àmbito del “Microfestival delle cose umane” e in vista della Giornata Internazionale della Salute Mentale, vi sarà una mostra che presenterà al pubblico alcune delle opere pittoriche più intime e potenti di Adele Ceraudo che, per via della tecnica usata per realizzare le sue opere, è conosciuta anche come “Lady Bic”. Un’artista che con il suo lavoro non solo esplora l’arte visiva, ma affronta anche questioni sociali ed esistenziali con un coraggio e con una profondità difficili da trovare nel panorama artistico contemporaneo

Opera di Adele Ceraudo

Una delle opere di Adele Ceraudo che saranno in mostra a Pavia

Dal 4 al 13 ottobre, presso il Palazzo Broletto di Pavia, si terrà una mostra straordinaria che presenterà al pubblico alcune delle opere pittoriche più intime e potenti di Adele Ceraudo che, per via della tecnica usata per realizzare le sue opere, è conosciuta anche come “Lady Bic”. Il tutto nell’àmbito del Microfestival delle cose umane, dedicato all’essenza dell’umanità, per celebrare emozioni e sensazioni: l’arte dell’esperienza umana, ossia dieci giorni di esposizioni, incontri e performance, in occasione della Giornata Internazionale della Salute Mentale del 10 ottobre prossimo.
Un’iniziativa culturale, dunque, e un’opportunità preziosa per immergersi nel mondo artistico e personale dell’artista calabrese, che negli ultimi anni ha affrontato e raccontato attraverso l’arte tematiche fortemente legate alla sua esperienza emotiva e mentale.

In un mondo che spesso ignora le fragilità dell’anima, quella di Adele emerge come una voce potente e autentica.  Da artista poliedrica e persona profondamente sensibile, affronta il suo disturbo bipolare con una sincerità disarmante, trasformando il dolore e le lotte personali in opere d’arte che parlano di umanità e vulnerabilità. La sua storia è segnata da una lotta contro le dipendenze, un percorso che l’ha portata a esplorare non solo la sua esistenza terrena, ma anche il desiderio di una vita alternativa, lontana dalle sofferenze quotidiane. La sua visione artistica e la ricerca di un equilibrio tra luce e oscurità, invitano a riflettere su come l’arte possa essere un mezzo di guarigione e di rinascita.
La mostra di Pavia prende le mosse dalla sua precedente esposizione intitolata Follia, in cui Ceraudo esplora il concetto di squilibrio psichico e l’intricata relazione tra l’individuo e le sue vulnerabilità. Le opere esposte affrontano questioni come le dipendenze, le chiusure emotive, l’empatia estrema e la solitudine, ma anche la rinascita, la luce e la ritrovata vitalità.
Questi dipinti non sono solo immagini statiche, ma veri e propri racconti visivi che indagano stati d’animo complessi, riflettendo l’intenso percorso interiore vissuto dall’artista negli ultimi sei anni. Ogni opera diventa quindi testimonianza vivente di una ricerca espressiva profonda, un linguaggio pittorico che utilizza la penna a sfera come strumento principale, creando così trame visive di grande impatto e delicatezza.

Come ha vissuto, Adele, il processo di trasformazione del dolore e della solitudine in arte visiva? C’è stato un momento in cui ha percepito una rinascita attraverso il suo lavoro?
«Ho iniziato a disegnare fin da quando ero una bambina. Già prima di iniziare la scuola, le mie opere rappresentavano corpi mutilati e sanguinanti. Crescendo, questo stile è diventato una vera e propria espressione di ciò che sono, del mio corpo e del mio stato d’animo. Le mie creazioni, realizzate con la penna a sfera, che è la tecnica che prediligo, non solo hanno una loro armonia estetica, ma portano con sé un carico di amarezza toccante, quasi straziante. C’è stato, tuttavia, un momento cruciale nella mia vita che ha segnato la mia rinascita, riflettendosi inevitabilmente nelle mie opere. Quando mi è stato diagnosticato il disturbo bipolare, ho finalmente trovato una spiegazione ai miei continui sbalzi d’umore. Questa diagnosi ha rappresentato una svolta fondamentale, non solo per la mia vita personale, ma anche per il mio percorso artistico».

Oltre all’esposizione delle opere, l’iniziativa si arricchisce con la proiezione del cortometraggio Io non sono pazza, scritto e interpretato dalla stessa Adele Ceraudo e diretto dal celebre regista Duccio Forzano, noto per la sua capacità di muoversi tra televisione, teatro e cinema con grande sensibilità e precisione. Un cortometraggio, questo, che si inserisce in un filone narrativo e artistico che, pur affrontando temi difficili e dolorosi, lo fa con una poetica intensa e rispettosa di chi ne è protagonista.
Io non sono pazza racconta le vite di donne “alienate”, spesso invisibili, ai margini della società, vittime di crudeltà e di ingiustizie indicibili. Attraverso immagini forti ma allo stesso tempo delicate, esso dà voce a queste storie dimenticate, accompagnato da un tessuto sonoro avvolgente e dalla lettura, a più voci, delle lettere mai spedite che queste donne scrivevano ai propri familiari.
È un’opera che riesce a combinare la forza del racconto sociale con un’estetica cinematografica potente, mantenendo sempre al centro l’empatia e il rispetto per i soggetti rappresentati.

Nel suo cortometraggio, Adele, ha scelto di raccontare le storie delle donne dimenticate dalla società. Cosa l’ha spinta ad affrontare questo tema e in che modo spera che questo lavoro possa sensibilizzare il pubblico?
«L’ho fatto grazie al contributo significativo alla realizzazione del cortometraggio venuto da una persona che ha aiutato a recuperare le lettere conservate nell’archivio dell’ex manicomio provinciale di Udine, materiale che ha ispirato il regista Duccio Forzano. Quest’ultimo, infatti, ha deciso di far leggere queste testimonianze toccanti a diversi attori, dando vita ad un insieme di voci che si intrecciano, con un suggestivo sottofondo che fa da colonna sonora all’intera ambientazione.
È sufficiente osservare queste scene, per comprendere che quei luoghi di reclusione, dove probabilmente sarei stata rinchiusa anch’io se fossi vissuta in quegli anni, non dovrebbero più avere ragione di esistere».

L’intera iniziativa si pone quindi non solo come evento artistico, ma anche come riflessione sulla condizione umana, sulle fragilità e le forze che convivono in ciascuno di noi. L’intento di Adele Ceraudo, infatti, è quello di mettere in luce realtà difficili, ma anche di dare spazio alla speranza e alla rinascita, invitando il pubblico a confrontarsi con queste tematiche attraverso l’arte e la narrazione visiva.
Gli orari di apertura della mostra di Pavia sono stati pensati per permettere a tutti di godere delle opere esposte e della proiezione del cortometraggio. Da lunedì a giovedì sarà dunque possibile visitare lo spazio dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18, mentre nel weekend, da venerdì a domenica, l’orario si estenderà dalle 10 alle 20, offrendo così maggiore accessibilità a chi desidera vivere un’esperienza immersiva in questo percorso artistico unico, un’iniziativa che rappresenta un’occasione rara per scoprire un’artista che con il suo lavoro non solo esplora l’arte visiva, ma affronta anche questioni sociali ed esistenziali con un coraggio e con una profondità difficili da trovare nel panorama artistico contemporaneo.

Giornalista pubblicista e avvocato.

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