È passato abbastanza inosservato l’ultimo articolo di Justin Glyn, pubblicato con il titolo Disabilità e incarnazione nel numero di «La Civiltà Cattolica» dello scorso 16 marzo. Si tratta di una riflessione che merita di essere letta e ripresa, perché riprende e approfondisce quanto già affermato da Glyn nel suo saggio “Us” not “Them”. Disability and Catholic Theology and Social Teaching (“Noi”, non “loro”. Disabilità, teologia e dottrina sociale cattolica), da noi tradotto e commentato nel libro A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità [a cura di Alberto Fontana e Giovanni Merlo, La Vita Felice, 2022. Se ne legga anche la nostra presentazione, N.d.R.].
Come più volte ricorda Matteo Schianchi, ancora oggi, nonostante tutto, le persone con disabilità (in particolare quelle che necessitano di un forte sostegno) sono considerate e soprattutto trattate come “inferiori”, proprio in ragione delle loro compromissione e menomazioni.
Glyn ci ricorda che tra le radici profonde che spiegano questo drammatico fenomeno culturale e sociale, dobbiamo anche considerare la convinzione, radicata e di antica memoria, «secondo la quale la disabilità, e il deterioramento cognitivo in particolare, è un guasto dell’immagine divina». Se non si affronta questo nodo, i processi cosiddetti inclusivi che riguardano la Chiesa rischiano di limitarsi ad «allentare un po’ la guardia ai cancelli per consentire l’ingresso anche ad altri disabili (loro)».
L’obiettivo, ancora lontano da raggiungere, è quello di considerare le varie menomazioni che colpiscono gli esseri umani come aspetti di ciò che significa essere umani. In questo contesto «il fatto stesso di aprirsi all’“inclusione” delle persone disabili nel Corpo di Cristo sarebbe non meno stravagante che proporre di “includere” i portatori di capelli rossi o i mancini o i quarantaduenni».
Il cuore della riflessione di Glyn si concentra quindi sull’immagine di Dio a cui, secondo la Genesi, l’uomo, maschio e femmina, sarebbe stato creato. «La nostra storia dell’immagine di Dio è stata infatti raccontata in termini di capacità di “fare” […]. Esiste tuttavia un’immagine di Dio, altrettanto antica […] che la vede risiedere […] nella capacità di amare e di essere in comunione». In questa visione «la possibilità della santità è aperta a ciascuno secondo le proprie capacità».
Glyn analizza anche la figura di Gesù, esprimendo la convinzione che «Il Dio disabile, in altre parole, non era presente solo sulla croce, ma anche già nella mangiatoia».
Anche nel contesto della Chiesa Cattolica, quindi, la spinta all’inclusione, per essere autentica e portare a buoni frutti, non può essere generata da sentimenti e atteggiamenti caritatevoli o ispirati al principio della tolleranza, ma al riconoscimento dell’appartenenza ad un’unica umanità che quindi «richiede l’inclusione di tutti e non abbiamo bisogno di parlare di “ospitalità” o “inclusione di” un “altro” disabile». Per questo motivo la teologia della disabilità dovrebbe offrire il suo contributo per nominare le aree di esclusione e di diseguaglianza all’interno e all’esterno della Chiesa.
Un percorso di riflessione che, per strade differenti ma non così distanti, è analogo a quello in corso nel mondo associativo: la costruzione di una società inclusiva richiede, sempre più, di essere attenti e impegnati ad identificare e denunciare le condizioni di discriminazione e a chiedere la rimozione delle barriere di diversa natura che impediscono – ad alcune persone tra cui quelle con disabilità – la partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri.
Direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente contributo è già apparso nel blog asuaimmagine.
Nella colonnina a destra dell’articolo presente a questo link (Articoli correlati), sono presenti tutti i contributi già pubblicati in «Superando.it», che hanno preso spunto dal libro A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità.
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