In un recente intervento su queste stesse pagine (Disabilità ovvero il riconoscimento dell’appartenenza ad un’unica umanitàv), Giovanni Merlo ha segnalato e commentato un articolo pubblicato nel Quaderno 4170 della rivista «La Civiltà Cattolica», dove Justin Glyn riprende e approfondisce quanto aveva già affermato nel saggio tradotto e commentato nel libro A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità.
Nell’incipit di quest’ultimo articolo Glyn scrive: «Che cosa significa dire che Cristo è umano e che l’uomo è fatto a immagine di Dio? Se le nostre risposte a queste domande si basano sulle capacità fisiche e mentali, escluderemo automaticamente le persone disabili, in quanto aberrazioni bisognose di cura».
Anche al di fuori dello specifico contesto in cui Glyn discute, non v’è dubbio che l’essere umano non può essere ridotto alle sue capacità fisiche e mentali. Queste non ci dicono tutto di una persona. L’essere umano è molto di più: possiede un’interiorità e sentimenti, prescindendo dai quali lo si riduce esclusivamente ad una “macchina biologica”.
Merlo nel suo commento riprende anche ciò che Matteo Schianchi ha più volte ricordato: «Ancora oggi, nonostante tutto, le persone con disabilità (in particolare quelle che necessitano di un forte sostegno) sono considerate e soprattutto trattate come “inferiori”, proprio in ragione delle loro compromissione e menomazioni».
Dato che una menomazione riguarda solo il funzionamento della persona, il problema dell’inferiorizzazione credo che derivi soprattutto proprio da una valutazione parziale basata su ciò che è immediatamente percepibile. Quando la conoscenza si ferma lì, probabilmente il problema non ha soluzione. La conoscenza dev’essere necessariamente approfondita, accostandosi a tutto quel mondo interiore appartenente alla persona, un mondo che per altro neppure si può immaginare, se non lo si è già riconosciuto in se stessi.
Cose, queste, che dovrebbero essere scontate. Tuttavia, la maggior parte delle persone vive costantemente di fretta, senza concedersi le necessarie pause di riflessione. Al fare si intercalano raramente o addirittura mai momenti di riflessione sulla propria esistenza (quando di esistenza si può parlare) in cui acquistare consapevolezza dei propri vissuti e di sé.
Ma che spazio possono trovare considerazioni di questo genere? Poco o nessuno, se non in una minoranza di persone che hanno a cuore l’inclusione o, meglio, sperano in un progresso in cui il concetto stesso di inclusione possa essere superato da una convivenza soldale che non esclude nessuno, sostenuta da una società disposta a rimuovere tutte le cause che producono esclusione.
Una società necessariamente molto diversa da quella attuale, dove la maggioranza delle persone è vittima, per lo più inconsapevole, di un sistema che ci vuole mantenere proprio così come siamo. Un sistema che per la sua stessa natura non può che ostacolare una presa di coscienza di come stanno veramente le cose.
Nella colonnina a destra dell’articolo presente a questo link (Articoli correlati), sono presenti tutti i contributi già pubblicati in «Superando.it», che hanno preso spunto dal libro A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità.