Passa anche dalla cooperazione inclusiva un nuovo approccio alla disabilità

Giovani esperti in cooperazione, con e senza disabilità, crescono: nell’àmbito del recente Festival della Cooperazione Internazionale a Ostuni (Brindisi), grande attenzione è stata riservata alla prima scuola di formazione professionale mediterranea per la cooperazione inclusiva con persone con e senza disabilità (progetto “DICoo1 – Disabilità, Inclusione, Cooperazione”). Ne abbiamo parlato con Giampiero Griffo, presidente della RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), l’alleanza promotrice di tale progetto

Festival della Cooperazione Internazionale 2024 di Ostuni (Brindisi)

Un collage di immagini riguardanti il recente Festival della Cooperazione Internazionale di Ostuni (Brindisi)

Giovani esperti in cooperazione, con e senza disabilità, crescono: nell’àmbito del recente Festival della Cooperazione Internazionale a Ostuni (Brindisi) (se ne legga la nostra presentazione), grande attenzione è stata riservata alla prima scuola di formazione professionale mediterranea per la cooperazione inclusiva con persone con e senza disabilità (progetto DICoo1 – Disabilità, Inclusione, Cooperazione).
Abbiamo intervistato Giampiero Griffo, presidente della RIDS* (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), promotrice di tale progetto.

Perché c’è bisogno di una scuola di formazione? Non basta l’articolo 32 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità che prevede che «la cooperazione internazionale, compresi i programmi internazionali di sviluppo, includa le persone con disabilità e sia a loro accessibile»?
«No, purtroppo, non basta. Partiamo dal fatto che la RIDS lavora in una forma diversa dalle altre cooperazioni internazionali, nel senso che valorizziamo capacità e competenze delle stesse persone con disabilità dei Paesi dove operiamo. Questo significa che abbiamo sviluppato una serie di strumenti che danno alle persone con disabilità la possibilità di essere persone non più oggetto di intervento deciso da altri, ma soggetto del cambiamento.
Da qui la necessità di dar vita ad una scuola che forma 24 persone, prevalentemente persone con disabilità di quattro Paesi mediterranei, Italia, Croazia, Marocco e Tunisia: diventeranno “esperti junior” nell’ambito della cooperazione, saranno loro stessi gli esperti che parteciperanno ai progetti della RIDS.
Nel progetto DICoo1 si è evidenziato come le persone che hanno partecipato possono avere tutte le competenze per poter essere esperti. L’abbiamo visto ai vari livelli, perché hanno partecipato persone con disabilità motoria, sensoriale e queste persone hanno dimostrato, con una serie di ricerche e di storie di vita valorizzate durante il Festival della Cooperazione Internazionale, che hanno capito bene di cosa si parla e sanno trattare questi temi nella maniera appropriata».

Quali sono le principali competenze che deve avere un esperto nel campo della cooperazione inclusiva?
«All’interno delle dinamiche di cooperazione, uno degli elementi più importanti è quello di avere competenze sul tema della disabilità: attualmente la gran parte delle Organizzazioni Non Governative o dei progetti che si occupano di cooperazione internazionale, che identificano il target delle persone con disabilità, si approccia con una dimensione prevalentemente medica, sanitaria. Si interviene sulla riabilitazione ma non sull’abilitazione. La Convenzione ONU ha cambiato questo paradigma e ha sancito che le persone con disabilità sono tali non perché hanno una limitazione funzionale, ma perché nell’interazione con la società le barriere, gli ostacoli e le discriminazioni che si frappongono alla loro partecipazione, impediscono loro di diventare cittadini come gli altri. È una dimensione completamente diversa che richiede prima di tutto competenze.
Poi ci sono le altre competenze legate ai temi specifici, alla salute, all’educazione, all’impiego, al tempo libero, allo sport, ma è l’approccio di base che manca nella gran parte dei casi nella formazione delle persone che fanno cooperazione».

Avere i diritti delle persone con disabilità come fil rouge della progettazione è l’approccio da adottare: nella pratica, a che punto siamo, se guardiamo l’attuale quadro della cooperazione internazionale attraverso la lente dell’inclusione?
«Negli ultimi anni ci sono stati dei processi, degli avanzamenti. La Convenzione ONU ha generato, nelle politiche nazionali e internazionali, un’attenzione diversa alle persone con disabilità. Oggi finalmente riusciamo ad avere dei dati statistici di quanto la cooperazione si occupi di queste persone, abbiamo una serie di attività internazionali. Pensiamo ad esempio al Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030, che si occupa di emergenza e include le persone con disabilità. Fino all’altro ieri le escludeva; in Italia, durante la pandemia, una Società Scientifica [SIAARTI-Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, N.d.R.] disse di non includere le persone con disabilità grave, come gli anziani, molto anziani, nel triage, perché era quello che si faceva prima.
L’emergenza è uno dei temi più importanti, vista la crescita di eventi catastrofici, ma il tema riguarda anche altre politiche che hanno un impatto rilevante e che devono tenere presente che le persone con disabilità sono titolari di diritti, non solamente di bisogni. Le persone con disabilità sono cittadini come gli altri, il che significa che gli interventi non devono essere speciali, ma devono essere ordinari.
Non sto dicendo, quindi, che gli interventi siano sbagliati, ma l’approccio culturale impedisce di vedere come le persone con disabilità dovrebbero essere trattate per poter partecipare come gli altri e beneficiare dello sviluppo delle politiche generali sull’impiego, sull’educazione, sullo sviluppo economico».

Perché tutte le persone con disabilità, anche del nostro Paese, devono guardare con attenzione e interesse a questi temi?
«La disabilità è una costruzione sociale, è la società crea barriere, ostacoli e discriminazioni da millenni che vanno superate, come dice la Convenzione. Non è un caso che nell’ultima pandemia il sistema di welfare protettivo si sia dimostrato incapace di proteggere queste persone. La gran parte dei sistemi di valutazione in tutti i Paesi del mondo si basa sulla condizione di salute della persona attraverso percentuali. In realtà questo sistema non descrive niente della persona, dice solo che ha quella limitazione che produce un certo tipo di effetto sanitario.
Oggi si continua a ragionare sempre per interventi speciali e limitati, ovvero le prime risorse ad essere tagliate quando entra in crisi una società. E così noi ci ritroviamo sempre ad essere gli ultimi e non diventiamo mai i primi. Il problema è essere come gli altri cittadini nelle politiche generali delle varie realtà». (Carmela Cioffi)

*La RIDS è un’alleanza strategica avviata nel 2011 da due organizzazioni non governative, l’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) ed EducAid, insieme a due organizzazioni di persone con disabilità, quali DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), alle quali si è aggiunto successivamente l’OVCI-La Nostra Famiglia (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale), con l’obiettivo di occuparsi di cooperazione allo sviluppo delle persone con disabilità in àmbito internazionale.

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo