Il Tribunale di Torino “sfida” il Consiglio di Stato?

di Salvatore Nocera
Ha fatto molto parlare quella Sentenza del Consiglio di Stato che ha negato l’esistenza del diritto degli alunni/alunne con disabilità all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione, in disaccordo con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, ma anche con proprie precedenti Sentenze. A risollevare ora dal disorientamento il mondo associativo delle persone con disabilità è arrivata un’Ordinanza del Tribunale Civile di Torino che potrebbe anche far sorgere un conflitto giurisprudenziale, da risolvere necessariamente per la certezza del diritto

Martelletto del giudiceHa fatto molto parlare, anche su queste pagine, la Sentenza del Consiglio di Stato 7089/24, perché ha negato l’esistenza del diritto degli alunni/alunne con disabilità all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione; si tratta infatti, per il Consiglio di Stato stesso, di un semplice interesse legittimo, e quindi condizionato alla disponibilità di bilancio dei Comuni. Inoltre, la medesima Sentenza ha dichiarato che il numero delle ore di assistenza indicate nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) elaborato dal GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione) non sia vincolante e che pertanto il Comune può disattenderlo.
Tale pronunciamento ha sollevato un notevole numero di osservazioni critiche, anche perché in disaccordo con una costante giurisprudenza sia della Corte di Cassazione che della Corte Costituzionale, ma anche di precedenti sentenze dello stesso Consiglio di Stato.

A risollevare dal disorientamento il mondo associativo delle persone con disabilità è sopravvenuta ora un’Ordinanza del Tribunale Civile di Torino che, di fronte al diniego del Comune torinese di assegnare tutte le ore richieste di assistenza (36) in Lingua dei Segni per tutte le ore di scuola di un alunno sordo segnante, ha accolto il ricorso della famiglia.
Il ricorso era fondato sulla richiesta di accertamento della discriminazione subita dall’alunno sordo segnante e il Tribunale ha immediatamente accolto l’istanza sospensiva del provvedimento di diniego, ordinando al Comune di provvedere immediatamente alla richiesta di cessazione della discriminazione che poneva il minore «affetto da disabilità sensoriale gravissima, in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni normodotati».
Nella successiva udienza di merito la Corte ha chiarito che sussistevano i requisiti del fumus boni iuris (“ragionevoli elementi di diritto”) e del periculum in mora (“danno per il ritardo nell’attuazione del provvedimento impugnato”), due requisiti fondamentali, questi, perché si possa accogliere un’istanza di provvedimento cautelare ancor prima che venga decisa una Sentenza nel merito.
Quanto al fumus boni iuris il Tribunale, disattendendo l’orientamento del Consiglio di Stato contenuto nella Sentenza 7089/24 invocata dal Comune, ha sostenuto che non si possono porre limiti al nucleo essenziale del diritto allo studio, neppure per la parte concernente l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione, dal momento che la Corte Costituzionale, con la Sentenza 275/16, ha stabilito che non possono essere i vincoli di bilancio a condizionare il diritto allo studio, ma è invece questo che deve condizionare i contenuti del bilancio. Infatti, «il limite delle risorse disponibili (articolo 3 del Decreto Legislativo 66/17) non coincide con il limite delle risorse assegnate a un certo servizio (nel caso di specie, il servizio disabilità sensoriali), aspetto su cui ha argomentato il Comune di Torino, omettendo, invece, di dimostrare di non poter accedere ad altri fondi per garantire l’assistenza richiesta dalla parte ricorrente».
E ancora, il Tribunale ha stabilito che «sussiste altresì il requisito del periculum in mora, tenuto conto che è in atto una violazione di diritti fondamentali della persona».
Quanto all’obiezione del Comune fondata sulla Sentenza 7089/24 del Consiglio di Stato, circa il carattere non vincolante del numero delle ore di assistenza indicate nel PEI, la Corte ha stabilito che «la Suprema Corte di Cassazione, nelle sentenze sopra citate in materia di giurisdizione (cfr. Cass. Su 1870/2020; Cass. Su 25101/2019; Cass. Su 9966/2017; Cass. Su 25011/2014), ha pure affermato l’impossibilità per gli enti tenuti all’applicazione del Pei di procedere a modifiche, incorrendo altrimenti nella compressione di un diritto fondamentale, integrante discriminazione».
In proposito, il Tribunale ha sostenuto che il termine «proposte» del numero di ore deve intendersi come «atti interni al procedimento» di assegnazione delle ore definitive.
In conseguenza della soccombenza, il Tribunale, disapplicando immediatamente il provvedimento del Comune, lo ha condannato alle spese e al risarcimento del danno consistente nella «somma di € 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di cui al decreto del 16/09/2024, a decorrere dal settimo giorno successivo alla comunicazione della presente ordinanza».

Questa decisione, opposta a quella precedente del Consiglio di Stato, come quest’ultima susciterà probabilmente anch’essa un’ampia discussione. Però, per le famiglie che si vedono ridurre, e talora di molto, il numero delle ore di assistenza per l’autonomia e la comunicazione, è un forte supporto per contrastare l’ondata riduttiva suscitata dal pronunciamento del Consiglio di Stato.
Ovviamente, chi si vedesse ridurre il numero di ore di assistenza all’autonomia e alla comunicazione motivate solo da problemi di bilancio, potrà ricorrere al Tribunale Civile per discriminazione e avrà la quasi certezza di vedersi accogliere la propria richiesta. Infatti, anche se i comuni appellassero e poi ricorressero in Cassazione, si troverebbero a cozzare contro il muro della consolidata giurisprudenza della stessa Suprema Corte, rafforzata da quella della Corte Costituzionale.
Se poi eccezionalmente il ricorso di un Comune dovesse avere definitivamente esito negativo da parte della Cassazione, sorgerebbe un palese conflitto giurisprudenziale tra le due supreme magistrature di legittimità che andrebbe necessariamente risolto per la certezza del diritto.

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