Il 29 ottobre scorso [come segnalato anche su queste pagine, N.d.R.] è stato presentato il libro Insieme per l’inclusione scolastica. Imparare a lavorare in gruppo e in rete (Edizioni Progetto Cultura), curato da chi firma il presente contributo, presso Spazio 7, libreria tra le più belle di Roma, situata in un posto magico tra Largo Argentina e Campo de’ Fiori e cara ai fondatori del Gruppo di Lavoro Interscolastico per l’Inclusione (GLII), che ha promosso il libro, perché occupa parte del palazzo dove, nel 1784, nacque la prima scuola per sordi in Italia e dove insegnò Tommaso Silvestri.
Il GLII è un gruppo di lavoro nato per supportare le molteplici azioni del CTS (Centro Territoriale per il Supporto) e Scuola Polo Provinciale per l’inclusione Edmondo De Amicis-Cattaneo di Roma, che ha sede nell’omonimo Istituto di Istruzione Superiore, tra l’altro punto di riferimento per l’inclusione degli alunni sordi della Capitale e della rete nazionale dei Centri Territoriali di Supporto.
Ad aprire l’incontro è stata la professoressa Lucia de Anna, che ha scritto la prefazione del libro presentato, e che ha ricordato il grande maestro Andrea Canevaro, ispiratore per tutti, che ci ha trasmesso l’importanza del lavorare insieme per rispondere al «bisogno di appartenenza di tutti nella scuola e nella società», citando Charles Gardou: «La società non è club a cui si deve pagare la tessera per non essere esclusi» (La société inclusive, 2012).
«L’importanza di lavorare insieme – ha affermato de Anna -, viene approfondita in questo libro attraverso analisi che si fondano su osservazioni, comunicazioni e valutazioni, nonché su riflessioni scientifiche, incontrando non solo la comunità scolastica, che comprende anche i genitori, ma anche la comunità locale che dovrebbe sempre offrire il suo sostegno ai temi dell’educazione e dell’inclusione. Il passato non va dimenticato, è importante per farci riflettere su quello che è stato fatto fin dagli Anni Settanta del Novecento e che ha permesso all’Italia di essere il primo Paese a costruire modelli di integrazione e inclusione».
«Uno degli aspetti che a tutt’oggi sono ancora oggetto di discussione – ha proseguito – è la formazione degli insegnanti di sostegno, ma, come si evince anche dai contributi dei diversi autori del libro, se la scuola non si “forma” o “trasforma” coinvolgendo anche gli insegnanti curricolari, i dirigenti scolastici e il personale non docente, non potrà mai riuscire a creare il clima inclusivo necessario per tutti e a fornire una buona educazione e apprendimento in funzione delle diverse abilità e potenzialità».
A riassumere poi a grandi linee quanto contenuto nel testo è stata una di coloro che firmano il presente contributo [Primarosa Bosio], sottolineando che «nonostante i tempi lunghi di gestazione, la numerosità degli autori (ventisei) e l’eterogeneità dei diversi contributi, l’architettura complessiva è chiara e coerente ed evidenzia la presenza di una cultura professionale sull’inclusione che ha profonde radici, testimoniate dai coautori “storici” Andrea Canevaro, Lucia de Anna, Raffaele Iosa, Pasquale Moliterni, e che viene agita nelle pratiche quotidiane (il GLII, Gruppo di Lavoro Interscolastico per l’Inclusione, i CTS, CTI, Scuole polo), con solidi rapporti con le altre Istituzioni del territorio (Patti Territoriali) e sviluppandosi in nuove direzioni (l’importanza strategica della relazione, le potenzialità dei linguaggi informatici, la valenza formativa dell’autovalutazione)».
«Nello specifico, per far funzionare bene i gruppi servono:
– la condivisione di alcuni valori filosofici e pedagogici: la scuola come laboratorio della relazione tra “diversi” e presidio di democrazia, gli educatori come organizzatori di contesti inclusivi che rispondano ad una richiesta, ormai universale, di appartenenza (capitolo 1);
– l’applicazione di metodologie (Cooperative Learning, Team-Teaching e Co-Teaching) ritenute particolarmente adatte a sviluppare nel gruppo aspetti inclusivi, sperimentandone direttamente e scientificamente l’efficacia (capitolo 2);
– l’attenzione agli aspetti emotivi e relazionali, solitamente sottovalutati, che influiscono pesantemente sulle dinamiche dei gruppi e nelle situazioni di conflitto (capitolo 3);
– il ricorso a sostegni, organizzativi e digitali, che creano le condizioni perché il gruppo possa funzionare: risorse informatiche, ruolo strategico del dirigente (capitolo 4);
– la costruzione di alleanze con le altre Istituzioni del territorio, avendo cura delle modalità con cui si interagisce con gruppi che hanno diverse finalità e peculiari linguaggi (capitolo 5);
– l’opportunità di prevedere modalità di autovalutazione dell’organizzazione, in questo caso della filiera ministeriale (Uffici del Ministero dell’Istruzione e del Merito, Uffici Scolastici sul territorio) e degli organismi di supporto previsti dalle norme (Osservatorio Nazionale sull’Inclusione, GLIR, CTS, CTI, Scuole Polo; capitolo 6)».
Di seguito l’elenco, in ordine alfabetico, degli autori presenti nel volume: Ersilia Bosco, Primarosa Bosio, Rosaria Brocato, Andrea Canevaro, Paola Cei Martini, Anna Cunia, Gigliola Cutonilli, Lucia de Anna, Fernanda Fazio, Lucia Ferlino, Giuseppe Fusacchia, Francesco Fusillo, Raffaele Iosa, Maria Rosaria Mallo, Michele Minenna, Pasquale Moliterni, Francesco Morgante, Giancarlo Onger, Stefania Pisano, Patrizia Ruggiero, Maria Teodolinda Saturno, Maria Teresa Sigari, Lisetta Silini, Caterina Striano, Nicola Striano, Salvatore Vitiello.
Ha preso poi la parola il preside Giuseppe Fusacchia, affermando che «dobbiamo lavorare sui presupposti culturali del contesto, di tutto il nostro contesto a più livelli».
Nel suo contributo presente nel libro, Fusacchia propone «un approccio “ecologico” all’inclusione scolastica, nel quale le azioni inclusive dirette al singolo studente siano supportate da una costante attenzione al contesto scolastico, in tutte le sue dimensioni. L’approccio inclusivo non può limitarsi a singole aree o settori di intervento dedicati (l’integrazione degli alunni con disabilità, il bullismo, ecc.), ma deve permeare tutte le azioni della scuola; deve costituire il “punto di vista” condiviso all’interno della scuola sulle relazioni educative e sui processi che si svolgono all’interno e all’esterno. Si tratta di “pensare inclusivamente” tutti gli aspetti del funzionamento della scuola, anche quelli apparentemente più lontani dalla relazione docente/alunno: gli aspetti comunicativi, organizzativi, gestionali, finanziari, ecc. Se ad esempio la scuola lavora intenzionalmente a costruire modalità di rapporto con le famiglie (tutte le famiglie della scuola, non solo quelle degli alunni con BES [Bisogni Educativi Speciali, N.d.R.]) che permettano una adeguata circolazione e scambio di informazioni e opinioni, avrà la possibilità di condividere il proprio approccio inclusivo e di ottenere nel tempo un “capitale di fiducia” che potrà spendere a fronte di situazioni anche molto difficili; viceversa, se tale aspetto non viene adeguatamente presidiato, si troverà ad affrontare prevedibili reazioni di rifiuto e di esclusione».
Fusacchia propone dunque «una lettura di questi livelli di “inclusivizzazione” del contesto secondo una logica che procede per cerchi concentrici, a partire dalla relazione docente/alunno fino alla relazione tra la scuola e il suo contesto territoriale e alle relazioni interistituzionali. In sintesi, gli interventi intenzionali di “inclusivizzazione” del contesto fungono da “facilitatori” (per usare la terminologia ICF [Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.]), mentre una scarsa attenzione a questi aspetti di contesto costituisce una “barriera”, invisibile ma molto efficace, al successo degli interventi di inclusione sul singolo studente».
Il professor Pasquale Moliterni ha poi esordito sostenendo che «l’inclusione è un costrutto di contesti, un “contesto di contesti” che richiede la capacità di gestire la complessità che ne deriva e che richiede soprattutto la disponibilità a fare rete, a intrecciare azioni, comportamenti e atteggiamenti per il bene di ogni persona, nessuna esclusa».
«L’inclusione – ha poi sottolineato – ha dentro di sé una complessità che richiede che ciascuno di noi sappia andare oltre il proprio punto di vista – personale, sociale, scientifico e culturale – per intrecciarsi con quello altrui, al fine di tendere al benessere generale e al bene comune. Si tratta di una capacità che deve trasformarsi in competenza e che, quindi, deve essere oggetto di formazione, deve riguardare docenti ed operatori scolastici e, dunque, anche i dirigenti scolastici. Deve essere una formazione che non faccia apprendere solo tecniche e metodologie, ma, altresì, la capacità di mettersi in gioco, abbandonando il proprio punto di vista per imparare a interagire e riconoscere anche quello degli altri, facendo integrazione tra il sé e l’altro, nella reciproca valorizzazione. D’altra parte, nessuno di noi potrebbe crescere e svilupparsi in contesti piatti; sono la differenza e la diversità che ci sollecitano a esperire quel qualcosa che ci fa conoscere sempre più noi stessi, ci fa essere sempre migliori e ci fa apprezzare la bellezza variegata del mondo. Questo ci fa comprendere ancora una volta la negatività della proposizione di contesti chiusi e delle cosiddette “popolazioni speciali”, che negano il principio stesso dell’inclusione».
«Il dirigente – ha proseguito – è un volano catalizzatore di tale processo, perché dovrebbe aiutarne l’evoluzione positiva gestendo la complessità, cioè il fare rete, a cominciare dalla valorizzazione dei docenti che possano coadiuvarlo nella promozione dell’efficacia dei vari contesti scolastici e, in modo sempre più diffuso, di tutte le professionalità presenti nella scuola e nel territorio». In altre parole, «la dirigenza scolastica deve svolgere un’opera di servizio in favore dello sviluppo del processo di inclusione attraverso un contesto scolastico che sappia essere ogni giorno più inclusivo e promuovere altresì la logica dell’inclusione nel più vasto contesto sociale e civico, perché il territorio sappia essere più attento ai bisogni e ai problemi degli alunni anche con disabilità e delle loro famiglie, divenendo comunità educata e educativa».
«Ma perché ciò possa accadere – ha concluso – va curata la formazione dei dirigenti scolastici non solo sul piano amministrativo, ma soprattutto su quello pedagogico e educazionale, perché possano essere in grado di organizzare i contesti scolastici in forma educativa, inclusiva e partecipata. Ciò, tuttavia, sta mancando. L’ultimo piano di formazione generalizzata dei dirigenti scolastici con attenzione alle competenze prima richiamate risale infatti al 1999/2000!».
Nel successivo intervento, la dottoressa Ersilia Bosco, presidente dell’Associazione Suoni e Immagini per Vivere, ha messo in evidenza come la relazione, essenziale per la vita di ogni essere vivente, «sia motore pulsante di ogni apprendimento. Per consentire la costruzione di buone relazioni con e nel gruppo classe, è indispensabile che esso possa rispecchiarsi nelle buone relazioni del gruppo dei docenti». Per costruire pertanto relazioni «sufficientemente buone» (Carla Melazzini, Insegnare al principe di Danimarca, pagina 206, Sellerio, 2011) alcuni elementi essenziali sono il tempo, un linguaggio comprensibile, la reciprocità per evitare ogni tentazione alla delega. La finalità condivisa dei docenti tutti, particolarmente nel rapporto “sufficientemente buono” con gli studenti che presentano disabilità, sarà offrire/costruire strumenti per arrivare all’autonomia.
«Se divento invisibile per Giovanni, l’alunno con disabilità cui sono stata assegnata, allora ho raggiunto il mio obiettivo», come ha ben sintetizzato un’insegnante che ha partecipato al corso sulle emozioni tenuto online da Bosco (pagina 132 di Insieme per l’inclusione scolastica). La stessa Bosco ha anche sottolineato la necessità di prevedere per tutti gli insegnanti momenti di socializzazione delle esperienze, di scambio e arricchimento reciproco «per supportarci e, perché no, sopportarci a vicenda».
Ha quindi chiesto la parola il dottor Salvatore Nocera, salutato da un lungo e commovente applauso dei presenti, per portare il saluto della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) nella quale è presidente del Comitato dei Garanti.
Nel complimentarsi per il volume collettaneo, «che ha concretamente attuato il lavoro di gruppo e di rete proposto al mondo della scuola», Nocera ha affermato che «questo volume sostanzia la documentazione delle riflessioni maturate nel Gruppo sulla necessità pedagogica di tale proposta, che coinvolga anche le famiglie e gli altri operatori. È quindi un contributo alla “cultura della documentazione pedagogico-didattica” tanto sollecitata da Andrea Canevaro».
Ha concluso richiamando «l’utilità degli Accordi di Programma, espressamente previsti dall’articolo 13, comma 1, lettera a), della Legge 104/92, come supporto giuridico al lavoro in rete di quanti realizzano il progetto inclusivo».
L’evento, molto partecipato, è stato arricchito dalla lettura di alcuni brani del libro da parte di Elena Tomei, attrice poliedrica, e da Guendalina Casa, insegnante di sostegno e curricolare e cantante lirica, che ha concluso l’incontro con la romanza ’A vucchella (testo di Gabriele D’Annunzio, musica di Francesco Paolo Tosti, 1904).
Curatori del libro “Insieme per l’inclusione scolastica. Imparare a lavorare in gruppo e in rete”.
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