I primi prototipi montati in un garage e poi un sogno pionieristico, un po’ come quello che fu dei fondatori di Apple: Paolo Badano, persona in sedia a rotelle per un banale incidente automobilistico oggi rilancia la sua Genny, l’avveniristica carrozzina autobilanciante che dispone di due ruote parallele e riesce a stare in equilibrio da sola grazie a milioni di movimenti infinitesimali al secondo. Le novità della nuova Genny Zero sono molte e la spingono verso un futuro di micromobilità per tutti. Scopriamo perché.
La storia di Genny è oramai assai lunga e travagliata.
«La sua e la mia storia è lunga. Potrei scriverci un libro. Avevamo sviluppato la prima versione di Genny sulla piattaforma del Segway [un mezzo di trasporto costituito da due ruote parallele autobilanciate, tra le quali è montata una pedana per l’alloggiamento del conducente, N.d.R.). Avevo stretto un accordo che è durato molti anni e prevedeva lo sviluppo in campo medicale della tecnologia autobilanciante. Gli americani mi fornivano la loro base sopra cui potevo costruire la seduta per la sedia a rotelle. Così è nata la Genny. Ma non potevo intervenire sull’elettronica e questo creava problemi. Gran parte del lavoro è stato normativo più che tecnologico: gestivo metà della carrozzina, tutta la parte della seduta per cui avevo fatto alcuni brevetti – dall’ergonomia al sistema di aggancio delle sicurezze – ma poi tutta la parte “motoristica” era appannaggio degli americani».
Norme e standard, beh un conto è fare un sistema di trasporto e un altro è fare una carrozzina…
«Ho lavorato anni per inserire una sedia a due ruote autobilanciante nella normativa sanitaria europea che prevedeva carrozzine a tre ruote, a quattro ruote, a sei ruote, coi cingoli, ma non su due ruote autobilancianti. Ho dovuto codificare anche un nuovo modello: i dispositivi medicali di questo tipo si dividono in Active wheelchair (le carrozzine manuali) e Power wheelchair (sedie a rotelle elettriche). Ho creato un nuovo acronimo che è APV (Active Power Wheelchair). La Genny è a motore, ma è anche attiva perché si muove con il basculamento del corpo e offre, di fatto, una neuroriabilitazione dell’equilibrio».
In Italia?
«Ho “speso” molti anni lavorando con l’INAIL. A Budrio (Bologna) con l’ingegner Sacchetti. Fino ad arrivare a un disciplinare, una Medical Guideline che andasse a identificare chi era in grado di utilizzarla e con quale disabilità e chi no».
Tutto è cambiato con la vendita di Segway?
«Sì. Nel 2016. Segway è stata venduta ai cinesi di Ninebot. Sono dovuto andare in Cina a conoscere Mister Gao che era, ed è ancora, l’amministratore delegato che mi disse “abbiamo comprato Segway per farlo diventare un giocattolo”. Poco spazio per il lato sanitario. Dal suo punto di vista aveva ragione. Mi disse: “Ci vorremmo quotare in borsa per il valore di un miliardo di dollari. E oggi, Ninebot vale i due miliardi di dollari”, quindi direi che il suo obiettivo è stato raggiunto. Hanno tenuto il brand Segway e vendono monocicli e monopattini. Di autobilanciante ormai c’è ben poco».
Quindi?
«Non proseguendo l’accordo con Segway veniva a mancare la base: in pratica avevo una struttura senza un motore e, nel 2018, ho deciso di farmi l’autobilanciante in casa. Decisione azzardata, lo so. Ma ci sono riuscito anche grazie al contributo del gruppo Wullschleger. Segway aveva lavorato 25 anni e speso 100 milioni di dollari per realizzare la piattaforma tecnologica e il sistema di autobilanciamento. E io non avevo quei capitali e quel tempo. Inoltre, è una tecnologia complicata: devi inserire tante ridondanze che impediscono, in caso di rottura, di cadere. Ho la fortuna di vivere vicino alla Lombardia e di conoscere tantissimi imprenditori che mi hanno aiutato. Poi c’è stato il Covid che ha mostrato come la Cina sia un’opportunità ma anche un limite, perché quando poi succede qualcosa non hai pezzi, non hai l’approvvigionamento, non hai niente. E gli imprenditori hanno ricominciato a produrre in Italia e a pensare a progetti italiani. Anche nel campo della mobilità, dove stiamo vivendo un cambio epocale che vede l’abbandono del motore endotermico per altre forme di propulsione. E Genny è una sperimentazione molto interessante per loro».
Genny è sì un prodotto medicale, ma potrebbe avere un futuro di mobilità per tutti?
«La mia megalomania mi ha sempre portato a pensare che un mezzo in cui stai seduto comodo, autobilanciante, elettrico, maneggevole, potesse sfociare anche in qualcosa di più rispetto al mondo della disabilità. La nuova Genny è molto distante dalla classica sedia a rotelle. E questo è stato reso possibile grazie al design. Ho trovato i partner giusti come Plenitude, che ha sposato questa mia filosofia di trasporto, e insieme a loro stiamo portando avanti questa idea. Abbiamo inoltre creato una supply chain [“catena di approvvigionamento”, N.d.R.] totalmente Made in Italy, collaborando con Radici Group e Acerbis (che fornisce componenti, per esempio, a Ducati e BMW) per la messa a punto di numerose parti strutturali ed estetiche del mezzo. In particolare, Radici Group ha fornito i suoi tecnopolimeri ad altissime prestazioni e ha supportato tutta la progettazione attraverso il suo Engineering Service, con l’obiettivo di sostituire le parti in metallo dei primissimi prototipi di Genny Zero con i propri materiali per renderla più leggera, riducendo di 30 chili il peso rispetto alla vecchia versione, garantendo allo stesso tempo le caratteristiche di resistenza, sicurezza ed estetica richieste dall’applicazione».
A che peso è arrivato? E come ha fatto?
«Circa 65 chili e si potrebbe scendere ancora. Ci stanno lavorando 10 ingegneri. Il motore, poi, è unico al mondo. È molto piccolo, ma ha un cavallo e mezzo, fa 80 volt. Tu vedi un solo pezzo, ma in realtà sono due motori, uno dentro l’altro perché ha due avvolgimenti: metà elettronica comanda una parte del motore, l’altra elettronica comanda l’altra metà del motore. Se si rompe uno dei due circuiti, l’altro interviene e quindi si evita di cadere».
La precedente versione aveva una criticità nella modalità di caricamento.
«Sto lavorando sul carico e scarico sull’auto. Deve avvenire in modo moderno e dinamico. Cosa serve oggi? Io devo andare al posto guida, fare il trasferimento e poi chiudere la porta. Non mi devo preoccupare del carico e scarico della macchina. È Genny che deve caricarsi da sola, poi scendere e tornare da me quando ne ho bisogno».
Altre novità?
«Abbiamo fatto un sistema di smorzamento degli urti, un sistema ammortizzante. Abbiamo lavorato sulla seduta per la quale abbiamo acquisito un brevetto per un sedile in gommapiuma e memory da una società del gruppo Stellantis. Abbiamo inserito un sistema frenante a pulsante. Schiacciando il tasto la Genny si inclina verso il posteriore e frena. Abbiamo pensato a batterie estraibili per poterle sostituite in pochi secondi. Abbiamo fissato sui 20 chilometri più o meno l’autonomia, ma se si deve percorrere più strada si inseriscono le batterie di scorta. Abbiamo cercato una soluzione per le situazioni limite, ovvero la possibilità che si rompa, per fare in modo che Genny si fermi e rimanga in equilibrio».
Mobilità per tutti?
«Genny Zero è un mezzo per le nostre città. Ha delle caratteristiche uniche nel campo della micromobilità. La principale? Vi faccio ridere: è la velocità minima. Tutti mi chiedono quanto va veloce, ma nessuno mi fa, invece, la domanda più importante: quanto può andare piano? Nella micromobilità c’è una velocità di equilibrio. Tutti i mezzi a due ruote hanno una velocità di equilibrio che è superiore ai 5 chilometri all’ora, incompatibili con l’uso nelle aree pedonali. Pensi al rischio di incrociare in un pedone. Genny, invece, ha una velocità minima pari a zero. Posso avanzare quasi millimetricamente senza cadere. Ideale per districarsi tra la folla».
E il futuro cosa ci riserva?
«Già oggi ogni Genny è geolocalizzata, ha un sistema GPS integrato e una scheda telefonica collegata alla rete per scaricare dati in tempo reale. È evidente che, in un prossimo futuro sarà possibile impostare da remoto una velocità di sicurezza in alcune aree. Se si trova in Piazza Duomo a Milano, per esempio, possiamo imporre una velocità massima di 3 chilometri all’ora, per evitare di investire pedoni. Inoltre, si gira su se stessa, mentre altri mezzi hanno bisogno di molto più spazio».
Prima o poi si guiderà da sola?
«Sì, non puoi pensare di mettere una guida autonoma sul monopattino o su una bicicletta, ma sull’autobilanciante sì. Un domani potrai prenotare una Genny via app e lei ti raggiungerà. Poi, quando hai finito il tuo giro, lei tornerà da sola alla base».
A chi sarà adatta?
«“Siediti e cammina” era lo slogan che avevo usato in passato e sta prendendo forma. Con il professor Molteni di Villa Beretta stiamo cercando di capire con studi dedicati quali sono i limiti reali. Paraplegie, tetraplegie, emiplegia… vedremo».
Qual è il mercato e il costo?
«Il mercato potenziale è enorme, si vendono 20 milioni di sedie a rotelle nel mondo all’anno. Sto facendo un lotto di mille pezzi, una preserie, e nel momento della produzione vera e propria il prezzo potrà scendere ancora. In questo momento noi costiamo 13.950 euro. In Italia poi si può accedere a un contributo pari a 6.000-7.000 euro. È evidente che il mio intento sia quello di scendere sotto i 10.000 euro. Punto ad arrivare tra i 7.000 e gli 8.000 euro».
Ma Genny Zero è già disponibile?
«È distribuita da Ottobock, mentre nel mondo della micromobilità dobbiamo lavorare ancora un po’. Al momento sto collaborando con Pininfarina. A oggi Genny Zero va benissimo per la disabilità e per una persona di 60 o 70 anni. Avendo un’entrata frontale, evita quello spostamento che fai per salire su una bicicletta o su una moto che magari una persona anziana non riesce a fare».
Nella colonnina a fianco del presente contributo (Articoli correlati), i vari testi da noi dedicati in questi anni a Paolo Badano e a Genny.