Giovanni Merlo apre il proprio commento [pubblicato su queste pagine, N.d.R.] all’ultimo articolo di Justin Glyn dal titolo Disabilità e incarnazione, pubblicato sul numero di «La Civiltà Cattolica» del 16 marzo scorso, osservando come queste riflessioni siano passate sostanzialmente inosservate. La cosa non stupisce totalmente, dato che il rapporto tra le persone con disabilità e la religione è da sempre molto complesso, per la predominanza, all’interno della tradizione cristiana, della narrazione negativa della disabilità.
Da un lato, nei testi sacri la disabilità è spesso presentata come una punizione divina per un peccato individuale o un’occasione per Dio di rivelare la sua onnipotenza attraverso guarigioni miracolose. Dall’altro, nella Chiesa come istituzione è fortemente radicato un atteggiamento caritatevole nei confronti dei fratelli e delle sorelle “più sfortunati”, che segna l’inferiorizzazione delle persone con disabilità, senza tralasciare il fatto che la presenza di una condizione di disabilità è percepita come una barriera per l’accesso a determinati ruoli (di potere). Inevitabile, dunque, che sussista nei confronti della religione cristiana e della Chiesa come istituzione una certa diffidenza.
Il testo di Glyn dice però altro, perché parla di “liberazione” dei corpi e dei soggetti e di un’inclusione originaria, del ribaltamento di un canone e del sovvertimento di un ordine. Si tratta, a ben vedere, di una delle tappe più recenti del cammino compiuto dalle cosiddette “teologie della liberazione della disabilità”, che si inseriscono – adottando appunto l’angolo prospettico delle persone con disabilità – tra le cosiddette “teologie della liberazione” in senso generale, accomunate dalla percezione di una contraddizione latente nei testi sacri e nella tradizione tramandata (tanto afferente alla pratica religiosa, quanto relativa all’interpretazione).
Nella maggior parte dei casi, questa contraddizione è resa evidente dalla presenza di situazioni di discriminazione o di ingiustizia. Le teologie della liberazione forniscono pertanto interpretazioni alternative, teologicamente consistenti, che si propongono appunto di “liberare” coloro che risultano oppressi all’interno delle pratiche religiose più diffuse (Teresa Forcades, La teologia femminista nella storia, 2015, p. 22), e dunque di contribuire a realizzare la giustizia già su questa Terra.
A partire dagli Anni Novanta del Novecento, è stata messa in discussione anche la narrazione più consolidata della disabilità, che ha giustificato l’oppressione e l’emarginazione delle persone con disabilità tanto all’interno della riflessione teologica, quanto nelle comunità religiose. La teologia della liberazione disabile – in particolar modo cristiana – può essere definita, infatti, come un tentativo di comprendere e interpretare la Parola del Padre e del Figlio con un’attenzione specifica alle persone con disabilità. Attraverso l’affermazione di più significati teologici ascrivibili alla disabilità, queste teorie si propongono di affrancare le persone con disabilità dal confinamento simbolico e pratico a lungo sofferto all’interno del contesto religioso.
Nel corso degli anni sono state proposte immagini di Dio “alternative” rispetto a quelle consuete, lontane cioè da quell’idea di onnipotenza e assenza di limiti alla quale la tradizione cristiana ci ha abituati: si è suggerito che il Dio che non mostra indifferenza né stigmatizza le persone con disabilità sia “accessibile”, “interdipendente” o “con dei limiti”, che presenti una disabilità motoria, sia sordo, cieco, zoppo, o abbia la sindrome di Down (anche se non si è ipotizzato che possa presentare disabilità cognitive). Anche le persone con disabilità, insomma, sono immagini di Dio: Dio non le ha create come deficitarie, ma A Sua immagine.
All’interno di questo filone di studi, un posto di grande rilievo è occupato da due teologhe, Nancy Eiesland e Deborah Creamer, che hanno insistito sulla necessità e sulla possibilità anche teorica di includere i corpi (plurali) delle persone con disabilità nel corpo di Cristo, valorizzando aspetti quali l’universalità del limite e della vulnerabilità umane. In queste prospettive, che molto devono anche all’elaborazione teorica sul genere, in particolar modo femminista, la disabilità non è solo “riscattata” dai margini del fenomeno religioso, ma costituisce la condizione di possibilità primaria per la comprensione di Dio.
La scelta di Glyn di riflettere sulla relazione tra disabilità e religione cristiana (e, ancor più nello specifico, cattolica) è dunque quanto mai opportuna, perché va oltre la – pur importantissima – denuncia dei meccanismi di esclusione e di discriminazione che sono all’opera nel contesto religioso e muove in una direzione ancor più radicale, aprendo “spazi di possibilità” per le persone con disabilità.
Come rivela la nascita della teologia della liberazione disabile, si tratta di un impegno di lungo corso, anche se non molto conosciuto. Ed è un impegno che, anche alla luce di quanto osservato su queste stesse pagine da Simona Lancioni (La Chiesa e la disabilità: una riflessione sul piano politico), proprio in commento alle riflessioni di Merlo e Glyn, appare ancora quanto mai necessario, se l’obiettivo è quello di garantire l’eguale riconoscimento e i diritti delle persone con disabilità e il loro “diritto di presenza” in ogni ambito della vita, compresa anche la sfera religiosa.
Sui temi qui trattati segnaliamo un ulteriore testo di approfondimento di Maria Giulia Bernardini, intitolato A Sua immagine. Sul contributo di Eiesland e Creamer al rapporto tra disabilità, cristianità e limite, pubblicato dalla rivista «AG-About Gender» (vol. 5, n. 10, anno 2016, pagine 15-36), liberamente scaricabile a questo link.
Nella colonnina a destra dell’articolo presente a questo link (Articoli correlati), sono presenti tutti i contributi già pubblicati in «Superando.it», che hanno preso spunto dal libro A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.