Se la violenza di genere incontra la disabilità

«La violenza contro le donne con disabilità – scrive Filippo Visentin – è una realtà complessa che richiede un intervento congiunto e specifico da parte delle Istituzioni, delle organizzazioni di tutela e della società civile. Solo attraverso una maggiore sensibilizzazione, una legislazione mirata e un’educazione capillare possiamo sperare di abbattere quelle barriere fisiche, psicologiche, ma soprattutto culturali, che troppe volte imprigionano queste donne, impedendo loro di vivere quella che invece dovrebbe essere un’esistenza di possibilità, ma soprattutto libera dalla violenza»

Foto di spalle a una donna in carrozzina in ombra davanti a una porta-finestra apertaLa violenza di genere è un dramma sociale, un fenomeno trasversale che in ogni parte del mondo può colpire donne di qualsiasi età, estrazione sociale ed economica, religione ed etnia.
In uno scenario di sopraffazione spesso radicato all’interno di dinamiche insidiose e sistemiche, la violenza verso le donne con disabilità rappresenta un fenomeno ancor più pervasivo e preoccupante, quando la situazione è quella di una doppia discriminazione delle vittime. Come descritto dalla giurista statunitense Kimberlé Crenshaw, infatti, che ha utilizzato il termine intersezione, queste donne si trovano metaforicamente «al centro di un incrocio», dove diverse strade di discriminazione convergono. Non solo esse sono esposte ai rischi della violenza di genere, ma la loro condizione di disabilità amplifica ulteriormente le possibilità di abuso.

A livello internazionale, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e la Convenzione di Istanbul per la prevenzione della violenza contro le donne [Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, 2011, N.d.R.] rappresentano riferimenti cruciali. Il contesto normativo italiano, tuttavia, non prevede ancora per le donne con disabilità vittime di violenza una legislazione in senso stretto, lasciando il compito di tutelarle alla legislazione generale sulla violenza di genere e alle norme a tutela delle persone con disabilità, scelta che molte volte non risponde in modo adeguato alle esigenze peculiari di queste donne.
«La mancanza di dati ufficiali disaggregati per genere, condizione sociale e disabilità – mi spiega l’amica Silvia Cutrera, già vicepresidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), nella quale è oggi responsabile del Gruppo Donne, e da sempre impegnata sul fronte dei diritti delle donne con disabilità, «rende ancora più difficile analizzare il fenomeno e predisporre interventi mirati».
Un documento presentato dalla FISH al CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) evidenzia inoltre come tra le donne con disabilità vittime di violenza, una percentuale significativa subisca abusi da parte di persone vicine, come familiari, partner o caregiver. Un aspetto fin troppo spesso sottovalutato, fatto di abusi che possono includere non solo se si parla di violenza fisica e sessuale, ma anche di forme più sottili di coercizione, come la manipolazione psicologica, il controllo economico o l’abuso farmacologico. La situazione di dipendenza aumenta infatti la difficoltà di sfuggire agli abusi e il rischio che la violenza resti sotto traccia.

Uno dei problemi più gravi legati alla violenza contro le donne con disabilità è l’alto tasso di sottodenuncia. Le vittime troppe volte non denunciano gli abusi subiti per paura di non essere credute, per vergogna o per il timore di ritorsioni. Questa condizione di under reporting viene ulteriormente aggravata da pregiudizi socioculturali, che tendono a considerare le donne con disabilità come una sorta di “creature asessuate”, infantili o, peggio, incapaci di comprendere quanto accade loro. Questi stereotipi creano una barriera psicologica che rende ancora più difficile per le vittime cercare aiuto. Secondo i dati raccolti dalla FISH, solo una percentuale esigua delle vittime si rivolge agli operatori dei Centri Antiviolenza, tra l’altro non sempre formati adeguatamente e che finiscono talvolta per offrire un supporto non rispondente alle loro esigenze specifiche di persone con disabilità.

Anche se molte forme di violenza restano sommerse, esistono segnali fisici e psicologici che possono rivelare situazioni di abuso. Lividi inspiegabili, frequenti ospedalizzazioni, eccessiva sedazione o isolamento sono solo alcuni indicatori. A questi si aggiungono sintomi psicologici come la depressione, l’ansia o la paura di interagire. È cruciale che chi si occupa delle vittime e gli operatori di polizia siano formati a riconoscere questi segnali, per intervenire in modo tempestivo e appropriato. La formazione rivolta al personale sanitario, agli operatori sociali e alle forze dell’ordine dovrebbe includere una preparazione specifica sulle diverse tipologie di abuso, per una risposta più efficace e sensibile alle loro esigenze.

La violenza contro le donne con disabilità è una realtà complessa che richiede un intervento congiunto e specifico da parte delle Istituzioni, delle organizzazioni di tutela e della società civile. Solo attraverso una maggiore sensibilizzazione, una legislazione mirata e un’educazione capillare possiamo sperare di abbattere quelle barriere fisiche, psicologiche, ma soprattutto culturali, che troppe volte imprigionano queste donne, impedendo loro di vivere quella che invece dovrebbe essere un’esistenza di possibilità, ma soprattutto libera dalla violenza.

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