“Zio Leo” se n’è andato con la stessa delicatezza con cui aveva vissuto

Stefania Delendati ricorda Leonardo Cardo (“Zio Leo”), attivista per i diritti, anima del blog “Vitainclusiva” e anche “firma” di Superando, scomparso ieri a 66 anni. «Sono contenta – scrive tra l’altro Delendati – di avere recensito il suo libro per dargli la visibilità che merita e mi auguro che tanti lo leggano, anche quelli che sanno di lui soltanto ora che non c’è più. O meglio, non è più qui materialmente e certo lascia un vuoto incolmabile, ma rimane un luminoso ricordo in coloro che hanno incrociato il suo cammino e l’impegno di trasmettere gli ideali in cui credeva»

Leonardo Cardo

Leonardo Cardo (“Zio Leo”)

Leonardo Cardo non c’è più. Se n’è andato all’improvviso, senza fare rumore, con quella delicatezza che caratterizzava il suo rapporto con gli altri, il suo guardare costantemente ai problemi intorno a lui mettendo da parte i propri. “Zio Leo”, così era conosciuto e gli piaceva farsi chiamare, un appellativo familiare che gli aveva dato un bambino, lui che i bambini li amava molto e adorava circondarsi della loro spontanea allegria.
Attivista per i diritti e anima del blog Vitainclusiva, Zio Leo aveva l’acondroplasia, la forma più comune di nanismo. Un paio di anni fa ho scritto su queste stesse pagine un articolo dedicato alle persone con nanismo nella storia, e dopo averlo letto, Zio Leo mi ringraziò per quel pezzo nel quale avevo parlato anche di lui, perché documentandomi mi ero imbattuta nella sua storia e mi avevano colpito la passione e l’entusiasmo con cui spiegava la sua idea di vita.
Avrebbe potuto essere un contatto “mordi e fuggi”, come spesso avviene in questi casi, ma con Leonardo, merito suo, è andata diversamente. Abbiamo cominciato a sentirci, a scambiarci opinioni ed esperienze, da quelle telefonate è nata l’idea di un’intervista proprio per Superando, dove entrambi ci siamo raccontati. Volevo che i Lettori e le Lettrici avessero la possibilità di ascoltare la sua voce, lui ha voluto che quel “monologo” diventasse un dialogo dove anch’io dovevo rispondere alle mie stesse domande. Ne è nato un bel lavoro che mi ha arricchita dal punto di vista professionale e umano.
Già da questo episodio si intuisce l’altruismo di Leonardo, una persona con una rara capacità di mettersi in relazione con chi lo circondava e di voler far emergere il meglio di ognuno. “Umanità”, una parola che usava spesso, è stato questo il filo rosso della sua vita e dell’impronta che lascia in tutti coloro che gli hanno voluto bene. Diceva che l’indifferenza, la “cattiveria” a volte, che le persone con disabilità devono subire, è dovuta alla “disabilità intellettuale” della società. Sapeva essere indulgente, pronto a creare un ponte di dialogo anche con chi discrimina. «Io non posso cambiare il mio aspetto, ma voi potete cambiare il vostro modo di pensare», era il suo motto, lo portava nelle aziende, nelle scuole, in ogni luogo dove lo chiamavano per testimoniare la sua esperienza di uomo che ha dovuto abbattere dure barriere culturali fin dalla più tenera età.

Leonardo Cardo, "Nella nebbia delle emozioni"

La copertina del libro di Leonardo Cardo “Nella nebbia delle emozioni. Vivere nel mondo”

Parlava di sé con ironia, dote rara, già questo fa di lui un grande uomo. Da pochi mesi aveva realizzato il suo sogno, quello di cui parlava da anni, ovvero la pubblicazione di un libro. Non una biografia, un modo per mettersi “in cattedra”, ma una raccolta di spunti di riflessione utili a tutti per superare le proprie fragilità, lui che ha attraversato la sofferenza e le difficoltà, uscendone con una rinnovata consapevolezza.
Il suo libro, Nella nebbia delle emozioni. Vivere nel mondo, sulla cui copertina c’è lui che percorre un viale alberato, è l’eredità preziosa che ci lascia e che oggi assume un significato ancora più importante. Rileggendo quelle pagine, ora che non c’è più, comprendiamo la sua capacità di raccontare storie mettendoci il cuore, emozionare e costruire connessioni autentiche.
Zio Leo non guardava soltanto alla disabilità, si batteva contro il bullismo e contro i cosiddetti “leoni da tastiera” che nell’anonimato lanciano invettive che colpiscono fino alle estreme conseguenze le persone più vulnerabili.
Una delle ultime volte che ci siamo sentiti mi ha parlato di una nuova idea a cui stava lavorando, una app dedicata a ragazzi e ragazze bullizzati, un luogo di incontro che avrebbe parlato il loro linguaggio e dove avrebbero potuto trovare conforto insieme al coraggio di denunciare le violenze.
Era un creativo, travolgeva con le sue parole. Non l’ho mai incontrato di persona, purtroppo, ma l’ho visto in una registrazione del Festival delle Abilità, mai fermo, lo sguardo attento e la mano posata su quella di Antonio Giuseppe Malafarina, suo grande amico.
Ho salvato il suo ultimo messaggio, dove mi incoraggia per il difficile momento che sto attraversando, sono contenta di avere recensito il suo libro per dargli la visibilità che merita e mi auguro che tanti lo leggano, anche quelli che sanno di lui soltanto ora che non c’è più. O meglio, non è più qui materialmente e certo lascia un vuoto incolmabile, ma rimane un luminoso ricordo in coloro che hanno incrociato il suo cammino e l’impegno di trasmettere gli ideali in cui credeva.

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