«Negli ultimi anni – scrive Salvatore Nocera – abbiamo dovuto purtroppo notare gravi incongruenze nell’utilizzo di titoli culturali, i cui punteggi vanno ad alterare notevolmente le graduatorie scolastiche. E penso, ad esempio, al Decreto secondo il quale i docenti che abbiano svolto supplenze in attività di sostegno didattico all’inclusione scolastica senza il relativo titolo di specializzazione, potranno conseguirlo con un corso della durata pari alla metà dei contenuti culturali previsti per legge dai normali corsi di specializzazione
Negli ultimi anni abbiamo dovuto purtroppo notare gravi incongruenze nell’utilizzo di titoli culturali, i cui punteggi vanno ad alterare notevolmente le graduatorie scolastiche, siano esse ai fini delle supplenze o dei concorsi per le immissioni in ruolo o ancora ai fini dei trasferimenti di sede per i docenti di ruolo. Si nota infatti un continuo e crescente pullulare di rilascio di titoli per una seconda abilitazione affine a una principale (ad esempio per le classi umanistiche come A013 di latino e greco, A012 di discipline letterarie o A011 di italiano e latino), oppure di certificazioni linguistiche, ivi comprese quelle dell’insegnamento dell’italiano agli stranieri.
A queste “stranezze”, inoltre, se ne aggiungono altre, quali:
° Questi titoli valgono un punteggio spesso anche doppio rispetto a un anno di insegnamento.
° I corsi per il rilascio di questi titoli normalmente non vengono effettuati da università statali, ma da libere università;
° Questi corsi solitamente non vengono effettuati in presenza ma online;
° Tali corsi, per la loro durata rispetto ad altri, costano moltissimo, eppure sono fortemente richiesti.
L’orientamento politico nell’avere sempre più favorito negli anni il rilascio di questi titoli che hanno un alto valore di punteggio contrasta, invece, con un altro orientamento politico che, sia pur altrettanto discutibile, è però opposto; mi riferisco a tutta la normativa di favore data al valore giuridico degli anni di insegnamento rispetto a quello dei titoli culturali. Penso, tra gli ultimi esempi, a quello del Decreto Legge 71/24 (convertito nella Legge 106/24), il cui articolo 7 stabilisce che i docenti che hanno svolto supplenze in attività di sostegno didattico all’inclusione scolastica senza avere il relativo titolo di specializzazione potranno conseguirlo con un corso della durata pari alla metà (30 Crediti Formativi Universitari) dei contenuti culturali che invece per legge sono previsti per i normali corsi di specializzazione (60 Credito Formativi Universitari). Anzi, addirittura da più parti si ritiene che gli attuali corsi normali di specializzazione di 60 Crediti siano insufficienti, e ade esempio la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) auspica con una sua Proposta di Legge il raddoppio a due anni, per garantire una seria preparazione professionale.
Questa crescente “quotazione in borsa” dei cosiddetti titoli culturali è spiegabile ovviamente con il fatto che il mercato ha compreso come essi siano molto appetibili, e quindi si è messo a “fabbricarli” a iosa con la legittimazione ufficiale dei vari Governi. La conseguenza di tutto ciò è che i giovani, seriamente preparati nelle varie graduatorie di cui sopra, sono superati sia da quanti hanno una grande anzianità di servizio, sia da quanti hanno fatto incetta dei cosiddetti titoli culturali.
Credo che sarebbe dunque il caso che il mondo della scuola facesse una seria riflessione su quanto sta avvenendo, e che a seguito di essa anche il mondo politico ponesse rimedio a questa insostenibile situazione.
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