Insieme a pochi altri organi d’informazione – purtroppo – siamo stati ben lieti, nei mesi scorsi, di dare visibilità alla battaglia delle persone con Long Covid, sindrome caratterizzata da sintomi che possono durare anche anni, con un generale peggioramento della qualità della vita, per quella che si caratterizza come una vera e propria nuova forma di disabilità. Oggi diamo spazio alla storia di Erika Olaya Andrade, riprendendo, per gentile concessione, quanto recentemente pubblicato da Mattia Abbate in «la Repubblica Milano online»
«Ciao, mi chiamo Erika, sono colombiana e voglio raccontarti la mia storia, quella di una battaglia continua contro il Covid-19 con tutto quello che ha portato con sé. Prima della pandemia lavoravo per una multinazionale tedesca che ha attivato lo smart working in ritardo e non c’erano misure di sicurezza adeguate. Così mi sono ammalata e il virus mi ha colpito duramente: sono stata positiva per quattro mesi. Durante quel periodo mi hanno licenziata. Ora mi ritrovo con problemi respiratori, neurologici, una memoria che non funziona più come prima e un sistema immunitario completamente a pezzi. Stare in isolamento per quattro mesi è stato come essere in prigione. Non solo mi ha distrutto mentalmente, ma ha anche lasciato segni sul mio corpo. Dolore cronico, fatica continua e nessuna possibilità di recuperare la forza nei muscoli. Non riesco a curarmi come dovrei e la burocrazia è un incubo, soprattutto senza soldi.
Ora dovrei fare causa all’INAIL perché l’ex datore di lavoro ha denunciato la mia situazione solo dopo 9 mesi e il sindacato che seguiva la pratica non ha mai fatto una perizia medico legale. Essere straniera peggiora tutto: vengo trattata come se stessi cercando di approfittarmi del sistema. Ho svolto un test ematico in una clinica francese con diagnosi di retro virus Herv (sequenze retrovirali lasciate da antiche infezioni nelle cellule). Sono riuscita a fare il test perché era all’interno di una sperimentazione. Ho svolto la cura al Gemelli di Roma in via sperimentale, ma mi ha provocato molti problemi, peggiorando la mia situazione. Ho ottenuto l’invalidità civile all’85%, ma senza riconoscimento dell’aggravamento, godere dell’accessibilità ai servizi tra medici reticenti e disinformazione, sembra una missione impossibile. L’ozonoterapia, l’unica terapia che mi ha davvero aiutato e alla quale ho potuto accedere grazie alla Fondazione A.M.O.R., è per me inaccessibile economicamente.
Riesco ad avere i farmaci grazie all’aiuto dell’Associazione Opera San Fedele. Purtroppo per andare dove svolgo le terapie dovrei utilizzare i mezzi pubblici, ma quando fa molto freddo non posso aspettare a lungo alla fermata. L’unico modo sarebbe prendere un taxi o altro, ma senza lavoro è complicatissimo. Nel frattempo cerco di aiutare gli altri. Mi sto impegnando per sensibilizzare sul Long Covid nei bambini e sogno di scrivere un libro, per questo il 3 dicembre ho partecipato a un evento a Milano per far conoscere questa realtà. Ringrazio il dottor Buonsenso per il suo sostegno alla mia causa in qualità di esperto di Long Covid. Il Covid non è solo una malattia respiratoria: gli effetti non se ne andranno tanto presto. Servono più attenzione e supporto per chi, come me, lotta ogni giorno.
Ericka Olaya Andrade».
A distanza di quasi cinque anni dall’inizio della pandemia, dunque, siamo ancora costretti a contare i danni: oltre alle numerose morti, coloro che sono sopravvissuti alla prima ondata talvolta manifestano pesanti ripercussioni sulla salute. Questa è la storia di Erika, diventata disabile a causa delle complicazioni del virus e per cui non ci sono cure al momento. Più precisamente ci sarebbero terapie efficaci che però funzionano bene per alcune persone, ma non per tutti e spesso hanno costi elevati. Inoltre il mancato riconoscimento della patologia e, quindi, dell’aggravamento dell’invalidità non consente ad Erika di avere accesso a servizi e contributi importanti, per esempio il contributo per la vita indipendente con cui poter assumere un assistente.
Come può fare una persona che non ha altre fonti di reddito a potersi garantire le cure di cui ha bisogno senza alcun contributo? Sarà costretta a restare in casa senza fare nulla e veder progredire la sua malattia.
Erika non è più in grado di utilizzare correttamente le mani e, nei momenti di grande affaticamento e di stress, la situazione peggiora e diventa complicato svolgere anche le azioni quotidiane più semplici. Il tema del mancato riconoscimento di patologie invalidanti perché meno frequenti di altre o perché meno studiate, è purtroppo all’ordine del giorno. Queste persone soffrono tanto e devono poter trovare almeno un valido supporto nel Servizio Sanitario Nazionale che, oltre ad avere tempi biblici, non sempre ha risposte adeguate.
La soluzione? Il privato, ma chiaramente non tutti hanno la disponibilità economica necessaria. Con patologie gravi la continuità del trattamento è fondamentale e posso assicurare che anche con la mia malattia, la distrofia muscolare di Duchenne, riconosciuta e conclamata, a volte ho incontrato resistenza da parte di alcuni medici nel somministrare alcuni trattamenti. Per esempio sostenevano che, crescendo, la fisioterapia non fosse più necessaria per me, ma dopo la richiesta perentoria di mettere per iscritto la loro affermazione, magicamente iniziavo la fisioterapia. Quando non la facevo, infatti, faticavo a guidare la carrozzina elettronica, perdevo quei piccolissimi movimenti che invece fanno una grande differenza per poter utilizzare la carrozzina e tutte le funzioni collegate e di conseguenza importanti autonomie.
Ogni patologia anche conosciuta ha le sue caratteristiche, ma l’esperienza personale della malattia varia da persona a persona, figuriamoci per le patologie rare dove non ci sono tanti dati oggettivi e il rischio è che il malato venga abbandonato al proprio destino finché non avrà più le forze per andare avanti. Il 3 dicembre sono stato presente al convegno Long Covid cos’è e cosa causa, alla Chiesa Rossa a Milano e vi ho raccontato le mie paure, le preoccupazioni durante la prima ondata del virus perché con la mia malattia dovevo stare molto attento alla situazione respiratoria.Non dobbiamo dimenticarci tutto quello che ha provocato il Covid perché purtroppo ci sono tante persone, anche dei bambini, nella stessa situazione di Erika.
Si deve lavorare ogni giorno per garantire il diritto alla cura per tutti, nessuno escluso, altrimenti staremo compiendo una discriminazione e staremo violando un diritto fondamentale dell’essere umano.
*Il presente contributo di Mattia Abbate è già apparso in «la Repubblica Milano online», nell’àmbito della sua rubrica “Ci vuole abilità” e viene qui ripreso, con diverso titolo e con minime modifiche al differente contenitore, per gentile concessione.
Mattia Abbate, che firma in «la Repubblica Milano online» la rubrica Ci vuole abilità, ha la distrofia muscolare di Duchenne. Per la rubrica stessa è stato nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
A questo link vi è il profilo Instagram di Erika Olaya Andrade che ha anche avviato una raccolta fondi per cure mediche tramite questo link.
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