Fisioterapista, donna espansiva, con una vivacità “effervescente naturale” e una mente libera e aperta, Mara Violani ha avuto alcuni anni fa una diagnosi di sclerosi multipla. «Dopo la scoperta della malattia – racconta – mi è cambiato “l’occhio”, cioè lo sguardo sulle cose, sugli altri, su me stessa». Andiamo a conoscerla meglio
Oggi mi accingo a presentarvi Mara Violani, fisioterapista di Bergamo, donna espansiva, con una vivacità all’ennesima potenza, con una mente libera e aperta, affetta da sclerosi multipla.
Ho avuto modo di ascoltarla in un’intervista fattale dall’amico Marco Farina, all’interno del suo canale YouTube, e subito l’ho sentita familiare, come se ci conoscessimo da tempo, perché Mara ha una comunicabilità coinvolgente e avvolgente. Decido così di proporle un’intervista telefonica, una bella chiacchierata disinvolta, com’è lei, perché sono convinta che la sua testimonianza di vita possa veramente essere un “balsamo” per molti di noi.
Cara Mara, grazie per avere accolto la mia proposta di farti intervistare senza avermi mai conosciuta, quindi grazie anche per la fiducia.
Come ti descriveresti, Mara? Fammi un tuo profilo.
«Mi definisco fondamentalmente come una persona frizzante, una persona quindi che non passa inosservata, proprio come energia. Poi a partire dal 2024, da quando ho voluto iniziare a diffondere il mio messaggio di speranza, di fiducia nella medicina, nella ricerca, mi sento ancora più energica di quanto non fossi in precedenza.
Per assurdo il modo in cui io racconto me stessa con l’obiettivo chiaro e definito di volere arrivare a portare un po’ di luce, speranza, positività, mi ricarica di energia. Poiché più mi racconto, più condivido, più mi ricarico.
Sono una donna molto amante dello sport, del padel in modo particolare, sono appassionata di mostre, di eventi artistici, concerti, sono una persona sanamente curiosa e soprattutto amante della propria libertà. Dal punto di vista professionale sono un’operatrice sanitaria, svolgo la mia attività come fisioterapista dal 1995 all’interno di una struttura convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale».
Quando è arrivata la diagnosi di sclerosi multipla?
«Nel 2018. Mi è stata diagnosticata nella struttura in cui io lavoro, grazie ad una risonanza magnetica. Chiaramente è qualcosa che non mi aspettavo, perché io avevo altri progetti, altri sogni… Oggi posso dire, paradossalmente, che quella diagnosi è stata in un certo senso la mia “fortuna”».
Quali erano i tuoi desideri, i tuoi sogni, fino al momento della diagnosi?
«A me interessava fare bene il mio lavoro, il mio sport, niente di particolare. I miei interessi per l’arte, la cultura, li ho sempre avuti. Posso dire che dopo la scoperta della malattia mi è cambiato “l’occhio”, cioè lo sguardo sulle cose, sugli altri, su me stessa. Oggi, rispetto a sette anni fa, sono più incline ad ascoltarmi e ad ascoltare gli altri. Dovendo poi passare dall’altra parte della barricata, come paziente, è cambiato parecchio il mio punto di vista, ma soprattutto è cambiata la mia qualità di vita».
In che modo, esattamente, è cambiata la tua qualità di vita?
«Beh, prima ero molto presa dal lavoro, sempre di corsa, tentando di fare e dare il massimo. Adesso la prospettiva è cambiata, sono più attenta a me stessa, al mio benessere e anche alle modalità di trascorrere il tempo libero, come serate e aperitivi… Ho smesso di fumare, oltreché di correre freneticamente…».
Ma qual è stato il tuo primo pensiero dopo avere ricevuto la diagnosi?
«Nel periodo precedente alla diagnosi facevo pole dance (“ginnastica sul palo”), che è proprio una disciplina sportiva, e in questa c’è una figura che si chiama butterfly, in cui si sta a testa in giù. Ecco, nel momento in cui mi è stata restituita la diagnosi di sclerosi multipla, è come se mi avessero ribaltato a testa in giù. Una metafora forte, efficace e immediata nel descrivere quel che si prova. Se in quel momento avessi trovato qualcuno che mi avesse parlato come io ora parlo a me stessa, cioè con pacatezza, contenimento, con parole semplici e non tecniche, dicendomi che avrei potuto andare avanti nella vita, che non mi era precluso nulla e che avrei dovuto semplicemente seguire le direttive dei medici, beh, forse sarebbe stato meno difficile digerire quel boccone. Io sto bene, va tutto bene, ma non nego che in quel momento l’idea della carrozzina mi ha preoccupata.
Ringraziando Dio, mi muovo bene, faccio tutti i giorni attività sportiva, fra palestra e padel, e più faccio attività, più sento di star bene. Per me non è solo un discorso di allenamento fisico e della coordinazione, ma è proprio uno spazio di tempo che dedico a me, stando anche con persone con cui mi sento a mio agio. Io mi sento felice quando gioco e soprattutto quando posso fare ciò che desidero».
L’essere una fisioterapista che ricaduta ha avuto sulla tua malattia, sul tuo stato di preoccupazione e su quello di reattività?
«Mi piace questa domanda perché nessuno me l’ha mai fatta ed è un importante spunto di riflessione. Io non mi sono mai fatta prendere dal panico, ma da uno stato un po’ di confusione, sì. Conoscevo la sclerosi multipla, proprio per gli studi che avevo effettuato, quando era vista come un limite e richiedeva tanto riposo. Nella settimana in cui sono stata ricoverata, prima della diagnosi definitiva, nella mia testa è passato di tutto. La possibile perdita di libertà, di non poter fare ciò che volevo, mi ha molto turbata. Si tratta di una malattia molto imprevedibile e nel momento in cui te la senti dire, come operatore sanitaria, è veramente dura.
Poi, quando sono stata dimessa mi sentivo più serena perché in qualche modo mi ero tolta un peso: mi era stata data una diagnosi. I neurologi, però, mi hanno confermato che la medicina aveva fatto progressi, che il farmaco che mi stavano dando era di ultima generazione e che, cosa più bella e importante, avrei potuto fare tutto quello che avessi voluto. Certamente erano previsti controlli, all’inizio ogni tre mesi, poi a cadenza semestrale, e così, pian piano, mi si è aperto un mondo di positività. Ma già dopo avere parlato con il neurologo, prima della dimissione, ero serena.
Il giorno dopo essere uscita dall’ospedale ero a fare spinning e mentre pedalavo mi dicevo: “Ce la posso fare, la vita va avanti! Penso a quel che mi è rimasto e non a ciò che mi è stato tolto, perché in realtà non mi è stato tolto nulla”».
Quindi questa diagnosi non ti ha sottratto quel che era la tua indole, il tuo modo di affrontare la vita?
«Per assurdo, e lo sottolineo, mi ha liberata. Cioè ancora di più mi godo quello che la vita mi dà tutti i giorni. Precedentemente le cose belle che avevo intorno, presa com’ero dal correre, non ero in grado di assaporarle. Adesso riesco a percepire e a vivere la vita come un dono proprio giorno per giorno, momento per momento. E a mio parere, se non avessi passato il percorso della diagnosi, del dover star ferma a riflettere, non sarei riuscita a maturare questa visione della vita che ora mi accompagna.
Medici validi ce ne sono, io li ho trovati, questo è molto importante per tranquillizzarsi e vivere la quotidianità sentendosi accompagnati. Quando vado ai controlli mi porto la lista delle domande, così sono sicura che se ho dubbi posso subito togliermeli e non resto con ansie e ruminazioni. I medici sono super pazienti e rispondono alle mie domande, anche questa è terapia, in un certo senso.
Una cosa assai bella e importante è che in seguito a questa diagnosi ho ritrovato tre amiche che lavorano con me e che ci tengo moltissimo a ringraziare, che io ho ribattezzato come le “tre grazie”, Paola, Carla e Daniela».
Pensi che dovrai rinunciare a qualcosa a causa di questa malattia?
«Grazie anche per questa domanda che mi dà lo spunto per raccontarti dell’incontro con una dottoressa non proprio positiva, diciamo. Questa persona mi disse se io fossi consapevole che non esistevano cure per guarire da questa malattia, e che nel tempo avrei potuto anche peggiorare. Io so che per ora non esiste una cura per guarire, ma so anche che la ricerca va avanti e poi pensare di poter peggiorare non può essere un pensiero idoneo con cui convivere e precludermi le possibilità di vita che ora ho davanti. Non voglio pormi limiti: se mi sento di poter fare qualcosa, voglio farlo. Tutto può succedere, ma perché pormi in modo negativo? Non mi aiuta».
Il rapporto con la tua famiglia è cambiato dopo la diagnosi?
«Sì, in meglio. Con i miei genitori e mio fratello eravamo già in buoni rapporti, ma le cose sono andate migliorando, siamo ancora più uniti, il legame fra noi è ancora più forte e solido. All’inizio loro si sono spaventati, molto più di me. La conoscevano pochissimo questa malattia, solo per sentito dire. Io invece, che l’avevo studiata, avevo una prospettiva diversa. Comunque molte persone ancora ignorano cosa sia la sclerosi multipla».
Dicci qualcosa tu…
«È una patologia autoimmune che colpisce il sistema nervoso centrale e di cui ancora sono sconosciute le cause. È un’infiammazione e ancora non si sa da cosa possa essere scatenata. Si sa che è una malattia genetica, che non è ereditaria, che non è assolutamente contagiosa e che la qualità di vita, rispetto a una volta, è decisamente migliorata, grazie all’utilizzo di questi farmaci di nuova generazione. Io assumo una terapia orale e mi trovo bene con questo farmaco. Qualcuno ha avuto disturbi gastroenterici, rossori, vampate, ma la medicina è così progredita che esistono tante altre forme di possibilità di somministrazione della terapia, per cui, anche se dovessi avere problemi in merito, mi sento serena».
Cosa vorresti comunicare, Mara, con queste tue parole?
«Da quando ho iniziato questa mia “campagna divulgativa” fatta di interviste varie, articoli ecc., ossia dal mese di maggio dello scorso anno, ho come obiettivo quello di portare luce in un momento buio, di parlare di speranza a chi può non averne più e di fiducia nel presente, nel futuro e nella medicina, ma in generale nella vita.
Sento in giro tanta energia negativa e, a mio parere, il mio può essere un esempio di persona normalissima che vive la quotidianità con positività. Una serie di circostanze mi hanno portata a reagire costruttivamente nei confronti di una diagnosi che avrebbe potuto gettarmi in un baratro, farmi cadere in depressione, farmi perdere quella luce e quella positività che io ho di natura».
Tu hai fede, coltivi la fede?
«Credo a modo mio, non sono praticante. Io amo la vita e la vita a volte mi sottopone a delle prove, perché comunque c’è un segno, c’è un messaggio che qualcuno mi vuole mandare, per aiutarmi a riflettere. Questa diagnosi è un po’ uno stop che – sia il mio organismo che qualcuno dall’aldilà che mi vuol bene – mi ha mandato per farmi riflettere su ciò che poteva veramente essere importante per me e sul valore profondo della vita, che va goduta e non sprecata, nel quotidiano delle piccole cose. Prima me la prendevo per sciocchezze, ora sto imparando a lasciar correre, a dare il giusto valore alle cose che meritano. Ho imparato la resilienza, cioè a guardare qualcosa che inizialmente è negativo, ma poi, se mi fermo e lo osservo bene, può avere risvolti positivi».
Progetti per il futuro?
«Dal punto di vista professionale, continuare la mia attività che mi porta a stare in contatto con le persone, mi piace e mi stimola. Dal punto di vista personale, coltivare i miei interessi, sport, eventi culturali, concerti, mostre. E poi mi piacerebbe continuare a divulgare il mio messaggio. È una cosa che mi sta molto a cuore e mi sto organizzando in merito. Ci tengo molto a condividere la mia esperienza, perché penso possa servire a dare coraggio nel momento in cui ti senti disperato. È un coraggio, una forza che nasce da dentro di noi. Il mio può essere uno spunto, la prima nota di una composizione meravigliosa che però sta alla singola persona realizzare. A volte dobbiamo solo spostarci e cambiare punto di vista.
La sclerosi multipla non l’ho voluta io, non me la sono andata a cercare, ma visto che ci dovremo “portare per mano” sino alla fine, allora cerchiamo un compromesso per sopportarci a vicenda. Con me la sclerosi multipla non si annoia ma… e allora forse ha deciso di stare un po’ quieta!».
Come vorresti concludere questa intervista?
«Sicuramente ringraziando te, che hai avuto il tempo e la pazienza di ascoltarmi. Ma vorrei ringraziare anche me, per come ho reagito, vorrei ringraziare le persone che mi sono state vicino e vorrei ringraziare la vita che mi ha messo di fronte a una prova che mi ha fatto maturare e che mi ha fatto scoprire una Mara migliore di quella che ho lasciato andare. Spero di potere andare avanti nel fare tutto ciò che mi emoziona il più a lungo possibile, recuperando, in questo modo, la bambina che è in me e che è la sorgente della mia energia».
*Laura Bonanni è psicologa psicoterapeuta specialista in Analisi Transazionale; Mara Violani è presente in Instagram (marviolani@libero.it).
Articoli Correlati
- Un uomo inclusivo che sa cogliere lo splendore del sole in ogni persona «Intrecci di relazioni, sintonia di anime, autenticità, immediatezza, generosità: tutto “normale” - scrive Laura Bonanni - per persone come noi che del limite hanno fatto una risorsa e che provano…
- Pian piano, Comune per Comune, Provincia per Provincia... Oltre cinquanta associazioni bergamasche che si occupano di disabilità o che agiscono nell'ambito socio-sanitario hanno aderito alla campagna "Vota la Convenzione!", lanciata nei mesi scorsi dalla LEDHA di Milano (Lega…
- Didattica a distanza: ma quale farina stiamo mettendo nel sacco? «Cosa fare in quest’epoca di didattica a distanza? - si chiede l’insegnante Francesco Pettinari -: arrenderci al mare magnum della fantasmagorica conoscenza in rete, a portata di click? Soccombere alla…