La testimonianza di Victoria, una giovane psicologa ucraina, raccolta da Vittorio, un paziente dell’Istituto Riabilitativo Montecatone di Imola: «Un progetto di cooperazione internazionale che unisce competenze riabilitative e supporto psicologico»
Vittorio, 27 anni, è uno dei pazienti dell’Istituto Riabilitativo Montecatone, la nota struttura di Imola (Bologna) impegnata nella riabilitazione di persone mielolese o con grave cerebrolesione acquisita: durante il suo ricovero, ha raccolto una testimonianza particolare, quella di Victoria, una giovane psicologa ucraina in visita a Montecatone.
Alcune settimane fa, quest’ultimo ha portato a termine un’importante collaborazione con la Fondazione Soleterre di Milano, l’Ospedale Clinico Cittadino n. 4 del Consiglio Comunale di Dnipro in Ucraina, e la Prima Unione Medica Territoriale di Lviv (Leopoli), sempre in Ucraina, al fine di «rafforzare la capacità degli ospedali ucraini di rispondere alle emergenze legate al conflitto in corso». Questo accordo, sancito da un memorandum d’intesa, come avevamo riferito anche sulle nostre pagine qualche mese fa, si inserisce nell’ambito del progetto di Rafforzamento della capacità degli ospedali di Lviv, Kyiv e Dnipro di rispondere, gestire e trattare le emergenze complesse legate alle vittime di ordigni esplosivi, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).
In questo contesto, dunque, uno dei pazienti di Montecatone, Vittorio Da Mosto, 27 anni, ricoverato a seguito di un incidente occorsogli lo scorso anno, ha conosciuto, come detto, Victoria, il cui percorso, dice, è tanto straordinario quanto toccante. Vi proponiamo in sintesi la testimonianza.
«La storia di Victoria – spiega Vittorio -, segnata dalla guerra e dalla volontà di dare un senso e una seconda vita alla sofferenza altrui, si intreccia con quella di chi, come me, sta dando un nuovo significato alla propria esistenza, dopo avere subìto una mielolesione. La guerra, mi ha detto, aveva già iniziato a devastare il suo Paese nel 2014, ma essendo troppo giovane, non era riuscita a capire le dimensioni di quell’evento fino a otto anni dopo, quando il mondo cambiò. A un certo punto i telegiornali cominciarono a parlare di numerose vittime e “noi non sapevamo più se avremmo avuto ancora un Paese”. Mi ha raccontato ancora Victoria che, insieme a molte altre persone nel suo Paese, si è trovata nella necessità di riconfigurare un’esistenza, per offrire il suo contributo a chi, come i soldati, lottano ogni giorno per affrontare i traumi della guerra. Un’impresa non facile a prescindere ma resa ancor più impegnativa, se possibile, dal fatto che l’ospedale di riferimento cura e tratta, essendo uno dei nosocomi più vicini alla linea del fronte, anche i civili che arrivano dalle zone più calde».
«Prima – le parole di Victoria – immaginavo di diventare una business woman, poi ho deciso di studiare psicologia… Una persona che conoscevo mi ha parlato di un corso sul PTSD (Post Trauma Stress Disorders) e ho capito che avrei dovuto farlo, volevo essere utile».
Fondamentale, nella vita di Victoria, è stato l’incontro con un soldato di ritorno dal fronte. Un uomo che, come molti altri, portava con sé non solo le cicatrici fisiche della guerra, ma anche quelle invisibili. «Era arrabbiato, depresso… In quell’incontro ho capito che era quello il mio posto. Non potevo dare supporto al fronte, ma volevo comunque dare una mano a chi stava lottando per il mio paese». Da qui l’ispirazione a costruire interventi e attività per stabilizzare le persone della guerra dopo i traumi cui erano stati esposti, per aiutarli a ritrovare un po’ di serenità.
A Montecatone Victoria ha potuto constatare l’importanza non solo della riabilitazione fisica, ma anche delle relazioni, delle attività ricreative e del supporto psicologico. «Qui – ha sottolineato – mi sono accorta di come l’aspetto umano faccia la differenza. Non è solo una questione di fisioterapia, è un luogo dove c’è amore, c’è ascolto, c’è il desiderio di rinascita».
Victoria ha anche detto a Vittorio di come durante la propria permanenza abbia potuto vedere come gli operatori e i pazienti si sostengono a vicenda, di come l’atmosfera a Montecatone vada oltre la semplice cura fisica. «Le psicologhe – ha concluso – insieme alle attività culturali ricreative, in particolare, hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare le persone a vivere una seconda vita che non si riduce più alla sopravvivenza, ma che permette di guardare al futuro con nuove prospettive». (C.C. e S.B.)
Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa dell’Istituto Riabilitativo Montecatone (Massimo Boni), massimo.boni@montecatone.com.
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