«Sono una donna anziana – scrive Marina Cometto – che ha assistito per 50 anni, 24 ore su 24, una figlia con una disabilità devastante che due anni ci ha lasciato. Dovendo compilare dei moduli, mi è stato chiesto quale fosse la mia professione e ho pensato: non ho potuto tornare a lavorare, perché la malattia di mia figlia si è mostrata subita con la sua gravità e non ho diritto a nessuna pensione, quindi non posso scrivere “pensionata”. E quindi, in quale categoria posso essere inserita?»
Sono una donna anziana che ha assistito per 50 anni, ventiquattr’ore su ventiquattro, una figlia con una disabilità devastante; due anni fa il suo fisico ha detto basta e ci ha lasciato. Probabilmente, se non fosse stato per la mia assidua e amorevole assistenza, nell’aiutarla a superare ogni ostacolo che la malattia, la sindrome di Rett, ci presentava ogni giorno, mia figlia avrebbe ceduto molto prima.
Oggi, dovendo compilare per alcune pratiche dei moduli, mi è stato chiesto quale fosse la mia professione e sono rimasta per un attimo a pensare: non ho potuto tornare a lavorare, perché la malattia di mia figlia si è mostrata subita con la sua gravità e non ho diritto a nessuna pensione, quindi non posso scrivere “pensionata”, perché dichiarerei il falso.
Ho 75 anni e molte limitazioni fisiche dovute alla totale devozione verso mia figlia, ciò che non mi ha permesso di curarmi adeguatamente negli anni passati. Solo chi vive questa realtà capisce bene di cosa parlo, notti insonni, ore scandite nella giornata per somministrare medicinali, sostituire gli specialisti della riabilitazione per le giornate in cui non sono presenti, somministrare pasti con molta attenzione per evitare complicazioni polmonari da inalazione di cibo, assistenza notturna per controllare i vari ausili, supporto alla respirazione CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), ossigeno, tracheo… insomma, occhi sempre aperti, mai un attimo di cedimento nonostante la stanchezza. E quindi, in quale categoria posso essere inserita?
Siamo invisibili due volte, una a causa dell’indifferenza verso la disabilità, la seconda a causa dell’età.
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