«Ci sono almeno cinque direttrici di diversità che sono state a lungo escluse dal mondo della moda e che, anche per effetto di azioni di attivismo crescente, hanno cominciato a farsi strada, chiedendo di essere considerate, a tutti i livelli: età, etnia, forma (taglia), genere e infine disabilità»: lo si legge nel testo “Tu es canon. Pour une manifeste de la mode inclusive” (“Oltre il canone. Manifesto della moda inclusiva”). Entriamo dunque ad esplorare il mondo della moda adattiva
Il primo germoglio della moda adattiva si trova alla metà del secolo scorso negli Stati Uniti, con i capi studiati per i reduci di guerra che per le sopraggiunte necessità dovute ai traumi subiti nel conflitto, avevano bisogno di un abbigliamento più pratico. Pratico e basta, non conforme ai gusti personali, non un vestito, ma un’“uniforme” che doveva assolvere soltanto al compito di essere comoda da indossare e togliere, senza concessioni alla bellezza.
Negli Anni Cinquanta, sempre negli USA, arrivò il primo marchio, Functional Fashions, impegnato specificatamente nell’ideazione di capi inclusivi. Bisogna aspettare quarant’anni per la scossa che accese i riflettori sul diritto di ogni uomo e ogni donna di sentirsi a proprio agio indossando un abbigliamento sia confortevole che bello, con il quale esprimere la propria personalità. Nel 1998, infatti, Alexander McQueen fece sfilare in passerella l’atleta paralimpica Aimée Mullins con indosso protesi in legno da lui intagliate, la prima top model con disabilità.
Lo stesso anno sempre McQueen sfidò di nuovo le convenzioni sul magazine «Dazed and Confused», con un numero speciale intitolato Fashion Able?, dove i soggetti presentati erano persone con disabilità, tra cui di nuovo Aimée Mullins e il ballerino David Toole al quale erano state amputate le gambe a causa di una malformazione. Nelle parole che accompagnavano il servizio fotografico si sottolineava come l’ambiente della moda tramandasse un ideale di bellezza irrealistico, mentre avrebbe dovuto essere uno spazio e un veicolo di inclusione, una rappresentazione delle “diversità”.
Il “manifesto” dell’Adaptive Fashion, anglicismo che sta appunto per “moda adattiva”, era scritto. Non si parlava ancora apertamente di coniugare nel concreto lo stile alla vestibilità, ma queste iniziative misero in luce le esigenze delle persone con disabilità, una “fetta di mercato” fino ad allora non considerata.
Sono passati più di due decenni e questo comparto della moda è cresciuto, arrivando ad un volume d’affari globale di 350 miliardi di dollari nel 2023. Una cifra che non deve stupire, visto che solo in Italia 3 milioni di persone hanno una disabilità e se ci allarghiamo ai cinque continenti arriviamo al 16% della popolazione mondiale.
Dietro l’abbigliamento adattivo c’è ricerca estetica che segue le tendenze della moda e ricerca funzionale per trovare accorgimenti in grado di agevolare la vestizione di persone con disabilità diverse, permanenti o temporanee. Per questo troviamo scarpe che calzano senza bisogno di stringhe da allacciare, capi senza cuciture o con etichette semplici da rimuovere, pantaloni con passanti in vita, maniche che si infilano con facilità, bottoni a pressione o magnetici, vestiti “accorciati” per chi si muove in sedia a rotelle e rischia di impigliare l’abito nelle ruote, cerniere magnetiche o apribili con una sola mano e dotate di grandi linguette per essere facilmente afferrabili, ampie aperture del collo, ma anche tasche nascoste per i tubi dell’alimentazione, le stomie o i cateteri.
Appurato che anche l’abbigliamento può essere una barriera da superare, quanto è diffusa questa consapevolezza tra le persone con e senza disabilità? Se lo è chiesto Zalando, noto sito di vendita online di moda, che ha lanciato l’anno scorso la sua prima collezione di abbigliamento sportivo adattivo, sviluppata per e con il contributo diretto di persone con disabilità che praticano sport, avvalendosi anche della collaborazione di Ottobock, leader nel settore delle protesi e degli ausili. Un impegno iniziato nel 2022 con una selezione di abbigliamento, calzature e accessori prodotti con attenzione alla funzionalità e al design, divenuto concreto con speciali filtri che consentono una migliore scelta degli articoli online, grazie a immagini dettagliate e chiare descrizioni che oggi prosegue con una ricerca condotta dall’istituto di ricerca YouGov su 1.500 italiani, tra cui oltre 200 con disabilità, per capire quale sia il grado di conoscenza della moda adattiva.
Primo dato: l’81% degli intervistati non sa cosa sia. Un po’ meglio tra le nuove generazioni che mostrano una maggiore sensibilità verso l’argomento. A sorprendere è il fatto che il 70% delle persone con disabilità non abbia mai sentito parlare di moda adattiva, il che sottolinea le sfide che dovranno affrontare l’industria e il commercio del settore. Soltanto il 21%, infatti, è stato in grado di menzionare esempi di aziende che già offrono articoli di abbigliamento e accessori accessibili.
La moda è considerata il terzo campo meno inclusivo per le persone con disabilità (24%), dietro a trasporti (50%) e urbanistica (44%). Alla domanda su quali caratteristiche dovrebbe avere una collezione di moda adattiva, il 36% ritiene importante la descrizione dei prodotti che metta in evidenza le caratteristiche “speciali” dei capi, il 20% desidera una selezione ampia e variegata, il 19% prezzi abbordabili e testimonial con esperienza diretta della disabilità (15%). Di contro, i principali limiti evidenziati sono la poca consapevolezza dei brand (41%) e i costi elevati (38%). Il 60% ritiene che la moda adattiva non sia esclusiva delle persone con disabilità, ma che lo sviluppo di essa potrebbe essere utile per tutte le fasce di età, pensando ad esempio alle persone anziane che hanno difficoltà di movimento.
Come canali di acquisto di abbigliamento adattivo, il digitale è scelto dal 35% dei rispondenti, particolarmente apprezzato per la possibilità di evitare negozi affollati e non sempre accessibili. Per le persone con disabilità gli eventi e le sfilate rappresentano il canale più adatto per conoscere la moda adattiva (37%), a cui seguono i social media (32%), i testimonial (31%) e i media tradizionali (28%).
La ricerca evidenzia inoltre una fiducia diffusa in merito al futuro, tanto che il 58% ritiene che sempre più aziende negli anni a venire proporranno capi di questa tipologia, un dato che aumenta al 67% tra i più giovani e arriva al 69% per le persone con disabilità intervistate.
Tra le strategie che potrebbero rendere la moda adattiva più visibile, al primo posto vi sono le recensioni online di persone con disabilità che mostrano l’uso dei capi (30%), seguono comunicazioni mirate da parte delle aziende (26%) e la creazione di un’area dedicata sui siti dei brand e della vendita online (18%).
Il potere della moda al servizio della disabilità, ovvero una domanda centrale: perché si crede che le persone con disabilità non siano interessate alla moda? Il punto chiave è che se si vuole che il fashion sia inclusivo bisogna dare la parola ai diretti interessati.
È quello che hanno fatto Elisa Fulco, storica dell’arte contemporanea che si occupa di responsabilità sociale d’impresa e di inclusione sociale attraverso la cultura, Teresa Maranzano, che dal 1999 al 2008 ha diretto l’Atelier di pittura del Centro di riabilitazione psichiatrica Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro (Milano) e che attualmente lavora per l’Associazione ASA-Handicap Mental di Ginevra, e Roberta Paltrinieri, professoressa ordinaria di Sociologia dei Processi Culturali e Creativi presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, di cui è anche vicedirettrice.
Insieme hanno redatto Tu es canon. Pour une manifeste de la mode inclusive (“Oltre il canone. Manifesto della moda inclusiva”), un testo che è un lavoro collettivo portato avanti da venti persone di ASA-Handicap Mental, provenienti da luoghi diversi, con differenti disabilità o senza disabilità, che si sono interrogate su una pluralità di temi, mettendo al centro i bisogni e i desideri degli individui. Il manifesto, disponibile in formato ebook, edito da FrancoAngeli e scaricabile gratuitamente a questo link, ricostruisce la storia e le origini della moda adattiva, confrontandosi con i meccanismi di inclusione e di esclusione portati avanti con l’imposizione di canoni estetici costrittivi. In esso si racconta come rappresentazione delle differenze, attivismo, equità, partecipazione e co-progettazione siano alla base di un processo di revisione in corso anche all’interno delle scuole di moda.
Grazie alle testimonianze delle persone con disabilità, Tu es canon trasmette con chiarezza perché il diritto allo stile sia da considerarsi un diritto primario e universale che accomuna tutti e tutte. «Le persone con disabilità affrontano molte barriere nella loro vita e l’abbigliamento non dovrebbe essere una di queste. Non vogliamo vivere in un’uniforme di pantaloni da jogging e magliette, ma spesso non abbiamo scelta», parola di Victoria Jenkins, fondatrice nel 2016 del marchio Unhidden, il primo brand di moda adattiva a far parte del British Fashion Council.
Victoria, ambasciatrice di Models of Diversity e co-fondatrice di No Comment Required, una linea di abbigliamento incentrata sulla rappresentazione positiva delle persone con problemi di salute mentale e disabilità, ha di recente collaborato alla creazione di 49 capi inclusivi a un prezzo accessibile, disponibili da gennaio di quest’anno presso 31 negozi Primark, azienda irlandese con punti vendita di abbigliamento in numerosi Paesi europei, tra cui l’Italia, e negli Stati Uniti. Questa collezione si basa sul successo della biancheria intima adattiva Primark, lanciata nel 2024, e la campagna promozionale presenta modelle con disabilità.
In conclusione, la moda fornisce un punto di vista privilegiato per parlare di inclusività a tutto tondo e non a caso è stato uno dei primi àmbiti in cui si sono viste persone di diverse etnie, e aspettative rispetto al corpo che si sono evolute, accogliendo ad esempio modelle dalle forme morbide. Come si evidenzia nella prefazione di Tu es canon, «ci sono effettivamente almeno cinque direttrici di diversità che sono state a lungo escluse dal mondo […] della moda e che, anche per effetto di azioni di attivismo crescente, hanno cominciato a farsi strada, chiedendo di essere considerate, a tutti i livelli: età, etnia, forma (taglia), genere e infine disabilità. Parlare di inclusione e di diritti della moda […] significa appunto considerarla come un fenomeno in cui i bisogni, le aspirazioni, il desiderio di riconoscimento che devono potersi esprimere non sono solo quelli del canone dominante, ma che anzi quest’ultimo va ridefinito in modo inclusivo».
*Direttrice responsabile di Superando.
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