Degli attori e delle attrici del Teatro Patologico – perché questo sono, attori e attrici – sul palco di Sanremo si è detto che «soffrono di disabilità, che la vita senza di loro sarebbe una noia pazzesca» e via di questo passo. Si è persa quindi ancora una volta un’occasione, pur in buona fede e con le migliori intenzioni, di usare le parole giuste. Ma cerchiamo di rimediare con il racconto di Maria Rosaria Ricci su cosa fa il Teatro Patologico le cui attività meritano visibilità senza stereotipi

“Sono solo canzonette”, l’ha cantato Edoardo Bennato, ospite in una delle serate dell’ultima edizione del Festival di Sanremo. Ed è vero, la manifestazione, che dovrebbe avere come punto nevralgico la musica, i cantanti e le canzoni, in realtà è uno specchio del Paese e anche veicolo di messaggi che plasmano punti di vista.
Tra i protagonisti extra musica di quest’anno, la disabilità, sottolineata in diversi passaggi, dal ricordo di Sammy Basso alla presenza della top model Bianca Balti, che si sta curando per un tumore, fino all’ospitata dei ragazzi e delle ragazze del Teatro Patologico. Del primo si è detto che «pesava come una mela», la seconda aveva messo in chiaro di non essere su quel palco in veste di malata, ma di donna, però è stata presentata come un’eroina, sottolineando il suo coraggio e non il suo lavoro, ovvero indossare abiti con eleganza. Degli attori e delle attrici, perché questo sono, attori e attrici, del Teatro Patologico si è detto che «soffrono di disabilità, la vita senza di loro sarebbe una noia pazzesca» e via di questo passo.
Ancora una volta, dunque, la disabilità sinonimo di malattia, ancora l’infantilizzazione delle persone adulte con disabilità mentale, ancora pietismo e non persone e basta che fanno cose, lavorano, si divertono e hanno molteplici caratteristiche tra cui la disabilità, ma non sono la loro disabilità. Si è persa quindi un’occasione, ancora una volta, in perfetta buona fede e con le migliori intenzioni, ci mancherebbe, però anche se si potrebbe obiettare che il festival di Sanremo non è la vetrina per parlare di questi argomenti, in ogni caso quando si fa, bisogna farlo con il linguaggio giusto.
Cerchiamo in parte di rimediare raccontando cosa fa il Teatro Patologico le cui attività meritano di essere conosciute senza stereotipi. Lo facciamo con questo testo di Maria Rosaria Ricci. (Stefania Delendati)
Il Teatro Patologico sul Palco dell’Ariston
di Maria Rosaria Ricci
Il Festival di Sanremo 2025, sotto la guida esperta di Carlo Conti, ha confermato ancora una volta il suo status di evento musicale più atteso dell’anno, registrando ascolti da record. Ogni serata si è trasformata in una celebrazione della musica e dello spettacolo, regalando al pubblico momenti di grande intensità emotiva.
Oltre alle esibizioni di artisti di fama nazionale e internazionale, il palco dell’Ariston ha ospitato personaggi di rilievo e approfondito tematiche di forte impatto sociale.
Tra queste, la disabilità è stata protagonista di un dibattito che ha suscitato opinioni contrastanti: se da un lato la visibilità garantita da un evento così seguito rappresenta un’importante occasione di sensibilizzazione, dall’altro emerge la necessità di una narrazione più accurata e rispettosa, affinché l’inclusione non diventi solo uno slogan, ma una realtà concreta.
In questo scenario, la partecipazione del Teatro Patologico ha segnato un momento di straordinaria rilevanza artistica e sociale.
Si parla di una realtà romana che prende vita nel 1992 grazie a Dario D’Ambrosi, attore e regista visionario e che rappresenta un’esperienza teatrale innovativa, coniugando espressione artistica e terapia per le persone con disabilità, in particolare con disturbi psichici.
Negli anni, questa esperienza ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali, culminando nella creazione del primo corso universitario al mondo di Teatro Integrato dell’Emozione, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata.
Il fondatore ha dedicato la propria carriera alla fusione tra teatro e psicologia, studiando negli Stati Uniti il rapporto tra arte e disagio psichico e portando in Italia un approccio innovativo, che ha trasformato il modo stesso di intendere il teatro come strumento terapeutico. Le sue produzioni teatrali, realizzate in collaborazione con attori professionisti e persone con disabilità, sono state rappresentate nei più prestigiosi teatri del mondo, tra cui il leggendario La MaMa Experimental Theatre Club di New York.
Grazie dunque alla sensibilità del direttore artistico Carlo Conti, per la prima volta il Teatro Patologico è salito sul prestigioso palco dell’Ariston, scelta che ha permesso di portare sotto i riflettori il valore dell’arte come strumento di inclusione, dimostrando che la cultura e lo spettacolo possono essere realmente accessibili a tutti e tutte.
Per il Teatro Patologico non è stato solo un riconoscimento artistico, ma un importante traguardo sociale, un segnale forte che conferma come il teatro possa essere un luogo di libertà, crescita e riscatto per tutti.
Un messaggio chiaro, dunque, ovvero che l’arte non ha confini, e che includere tutti significa arricchire la società intera.
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