“L’Accuditrice”: un corto per dare voce a chi vive per prendersi cura degli altri

Carmela ha sessant’anni e si prende cura dell’anziana madre Virginia, non più autosufficiente. La quotidianità di Carmela è scandita da responsabilità sempre più gravose, che ne minano l’identità e la salute. Questa storia non è solo un racconto di finzione, ossia ciò che dovrà diventare il cortometraggio “L’Accuditrice”, per il quale è stata avviata una campagna di raccolta fondi nel web, ma una realtà condivisa da milioni di persone, i caregiver (e soprattutto le caregiver)

La locandina "L'accuditrice" mostra l'occhio di una donna di mezza etàL’obiettivo è realizzare un corto «per dare voce a chi, ogni giorno, si prende cura degli altri, senza che nessuno si prenda cura di lui/lei»: è stata lanciata pochi giorni fa una campagna di crowdfunding (raccolta fondi nel web) su Produzioni dal Basso, per il cortometraggio L’Accuditrice, che affronta una delle più gravi lacune del sistema di welfare italiano, più volte denunciata su queste pagine, ossia l’assenza di riconoscimento per i caregiver familiari.
Diretto da Martina Monaco e prodotto da BeDi Produzioni, il film ha già ottenuto il sostegno della Calabria Film Commission e il patrocinio dell’Associazione CARER.
L’Accuditrice racconta una realtà che coinvolge milioni di persone in Italia, persone che, spesso senza avere avuto la possibilità di scegliere, si trovano a prendersi cura di un familiare non autosufficiente, senza supporto istituzionale né garanzie di tutela lavorativa e previdenziale.

Carmela ha sessant’anni e si prende cura dell’anziana madre Virginia, non più autosufficiente. La quotidianità di Carmela è scandita da responsabilità sempre più gravose, che ne minano l’identità e la salute. Virginia, non accettando la sua condizione, riversa sulla figlia rabbia e frustrazione, trasformando ogni gesto di cura in un peso insopportabile. Quando un incidente la mette di fronte a una verità impossibile da ignorare, Carmela si trova costretta a prendere una decisione dolorosa che la lascerà con interrogativi irrisolti sulla natura dell’amore e dell’accudimento.

«In meno di una settimana, quasi d’istinto, avevo buttato giù una prima, caotica versione della sceneggiatura. Non era perfetta, ma sentivo l’urgenza bruciante di mettere su carta alcune immagini strazianti che non riuscivo a togliermi dalla mente. Era come se avessi bisogno di liberarmene, di dar loro un senso», racconta Martina Monaco.
«Dopo avere scritto, mi sono fermata a riflettere su ciò che avevo visto e vissuto. Quelle immagini non rappresentavano solo un dolore personale: erano la testimonianza di una realtà più grande, più complessa. Ho capito che avevo raccontato uno spaccato di società dimenticata, una realtà inerme e invisibile che gridava di essere riconosciuta. Quello che mia zia aveva vissuto con mia nonna per anni, nel silenzio e nella solitudine, aveva finalmente un nome, un volto, una voce», continua la regista.

Secondo stime attendibili, in Italia oltre 8 milioni e mezzo di individui si prendono cura di un familiare malato o con disabilità, di cui la maggioranza sono donne che spesso sacrificano carriera, vita sociale e salute mentale senza alcuna tutela. L’Italia resta uno dei pochi Paesi in Europa a non avere una legislazione dedicata a questa figura indispensabile, che ha un carico di lavoro invisibile enorme, spesso ignorato anche dai sistemi istituzionali, e che porta molti a soffrire di stress cronico, ansia e depressione senza che ci siano tutele o aiuti adeguati. (C.C.)

Per ulteriori informazioni: accuditrice@gmail.com.
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