Storia di un pellegrinaggio a Lourdes… che non c’è stato. «Perché – racconta Angela Trevisan – non farmi male e svolgere le cose in sicurezza ha la priorità su tutto e soprattutto farci salire e scendere dal pullman come se fossimo dei “sacchi pesanti” e non degli esseri umani con una nostra dignità proprio non era cosa»
Vorrei richiamare l’attenzione su un episodio vissuto nei giorni scorsi. Non vedo e non cammino dalla nascita, ma ciò nonostante, come amo sempre dire, “cammino con altre gambe” e “vedo con altri occhi”, la Fede, infatti, mi ha sempre accompagnata e illuminata in tutti i momenti della vita.
Mi è stato dunque proposto da un amico di prendere parte ad un pellegrinaggio a Lourdes, esperienza che avremmo vissuto insieme, anche per tendere ad un maggiore livello di autonomia fra di noi, giacché anche lui ha problemi di vista e cammina con difficoltà. Ho accettato con entusiasmo, sia per trascorrere del tempo in sua compagnia, sia per conoscere nuove persone, ma soprattutto in quanto giorni prima avevo sentito un richiamo dalla nostra “Madre Celeste” che mi invitava ad andare a farle visita.
Siamo pertanto andati ad iscriverci presso una realtà associativa che si occupa proprio di organizzare questo genere di pellegrinaggi, dando assistenza alle persone in difficoltà o, per usare il termine che utilizzano loro, «Ai signori malati», espressione che a mio modo di vedere è davvero triste e mi mette sconforto. Per di più non mi sento certo né signora, né malata, ma sono semplicemente Angela. Tuttavia tendo sempre ad andare al di là delle definizioni e a guardare il concreto.
Ci era stata quindi assicurata tutta l’assistenza necessaria e che avremmo viaggiato con un pullman dotato di pedana per farci salire con le carrozzine, anche perché non eravamo i soli in tale situazione; era quindi impensabile farci salire sul pullman in altro modo.
Il mio entusiasmo era tanto, anche perché avrei vissuto questa esperienza senza i miei genitori, in compagnia di un amico e per di più mi sarei recata in un luogo così carico di suggestione e di spiritualità. Saremmo stati via qualche giorno ai primi di maggio. Non vedevo l’ora di partire.
Io, però, sono sempre estremamente attenta al problema delle barriere architettoniche e soprattutto a quelle culturali, verso le quali c’è ancora tanto da fare in questa nostra società. Continuavo pertanto a chiedere rassicurazioni sul fatto che avrei ricevuto l’opportuna assistenza e che tutto sarebbe stato accessibile per me.
So che può sembrare assurdo in una società come la nostra, in cui le parole “integrazione”, “inclusione”, “accessibilità”, sono sulla bocca di tutti. Ma posso assicurare, per esperienza personale, che sono solo parole, concetti astratti che spesso non vengono messi in pratica, anche se siamo nel 2025.
Intendiamoci bene, sapevo per certo che a Lourdes è tutto accessibile per chi si trova in una condizione come la mia, ma continuavo ad essere preoccupata per il viaggio in pullman. Forse ciò è dovuto al fatto che non sono molto abituata a muovermi senza i miei genitori e che quindi senza di loro tutto mi spaventa e mi sembra più difficile. In ogni caso, dopo alcune sollecitazioni, sono venuta a conoscenza del fatto che non ci sarebbe stata nessuna pedana per salire sul pullman. Ci avrebbero fatto salire degli uomini forti e robusti prendendoci in braccio. Per di più era prevista una sosta nel cuore della notte per riposarci un momento e per fare i nostri bisogni, per cui avremmo nuovamente dovuto scendere dal pullman allo stesso modo, come se fossimo dei “sacchi pesanti” e non degli esseri umani con una nostra dignità.
Ho quindi deciso di rinunciare a prendere parte al pellegrinaggio, pur se con profonda amarezza e dolore nel cuore. A mio parere, infatti il non farmi male e svolgere le cose in sicurezza hanno la priorità su tutto. E il modo con cui loro intendevano aiutarci, era rischioso sia per noi che per loro.
Questo episodio mi spinge a pormi delle domande: «Dov’è l’inclusione di cui tanto si parla?». «Se ci sono problemi persino ad andare a Lourdes con un’associazione che dovrebbe prendersi cura di noi con amore, come può pensare l’essere umano di andare sull’Everest, sulla Luna o addirittura su altri pianeti?»…
A mio parere occorrerebbe una maggior sensibilizzazione delle persone verso i nostri problemi, al fine di eliminare ogni barriera culturale; soprattutto così le persone ci considererebbero come parte integrante della società, come persone con pregi e difetti, proprio come tutti in questo mondo, degne di rispetto e con una nostra dignità umana.
Tengo inoltre ad evidenziare a coloro che avrebbero dovuto aiutarci, che già non è facile il dover dipendere dagli altri e quindi, chi ci dà una mano, dovrebbe cercare il più possibile di metterci a nostro agio. La vita non si sa mai cosa ci riserverà e la disabilità “non è un mondo a parte, ma parte del mondo”.
*Donna con disabilità visiva e motoria, autrice del libro “Io non mi schiodo. Diario di una donna determinata” (angelatre73@gmail.com).
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