«Com’è possibile – si chiedono dal Gruppo Solidarietà – che il Dipartimento di Salute Mentale di Jesi (Ancona), pur conoscendo molto bene il funzionamento di quell’appartamento della propria città, avesse parlato di “una coabitazione autogestita”, evidenziando anche la qualità del progetto, fino a scomodare la “vita indipendente”?». Quell’appartamento era stato sequestrato lo scorso anno, con l’arresto di due persone e su di esso si è pronunciato ora anche il Consiglio di Stato
Come aveva raccontato più o meno un anno fa il Gruppo Solidarietà sulle nostre pagine, in quei giorni era stato posto sotto sequestro a Jesi (Ancona) un appartamento in Via del Verziere, che ospitava sei persone con disturbi psichici; una coppia era stata arrestata, con l’accusa per lui di violenza sessuale aggravata, di maltrattamenti per la moglie.
Su tale vicenda lo stesso Gruppo Solidarietà aveva espresso una serie di riflessioni, a partire dai contenuti di una Sentenza del TAR delle Marche (559/2023) prodotta alcuni mesi prima e successiva al ricorso dei soggetti in seguito indagati, dopo un’Ordinanza del Comune di Jesi che, a seguito di un’ispezione, aveva stabilito la cessazione dell’attività, ritenendo che si trattasse, nei fatti, di un “servizio” che per essere erogato richiedesse autorizzazione.
A seguito dunque del ricorso, il TAR aveva ritenuto non trattarsi di una comunità che per operare avesse obbligo di autorizzazione, ai sensi delle norme regionali vigenti, ma di una “servizio” che trovava ispirazione e riferimento alla “Legge Regionale sulla Vita Indipendente” (Legge Regionale 21/18), ossia una sorta di appartamento autogestito e come tale, appunto, non soggetto ad autorizzazione. Aveva conseguentemente accolto il ricorso, annullando l’Ordinanza Comunale, con il supporto delle indicazioni date dal direttore del Dipartimento di Salute Mentale.
Ebbene, il 24 marzo scorso, come informa ora il Gruppo Solidarietà – che ha anche dedicato un approfondimento all’intera vicenda – il Consiglio di Stato, con la Sentenza 2407/25 (disponibile a questo link, insieme a un ulteriore commento), ha riformato il precedente pronunciamento del TAR, stabilendo che l’appartamento di Via del Verziere a Jesi, sequestrato, come detto, nell’aprile dello scorso anno, dopo le accuse di maltrattamenti e l’arresto di due persone, «non era un appartamento autogestito e tantomeno una coabitazione in un progetto di vita indipendente. In sostanza un “servizio residenziale” privo dell’obbligatoria autorizzazione».
«Accogliendo, dunque, la tesi del Comune di Jesi – scrivono dal Gruppo Solidarietà -, il Consiglio di Stato ha stabilito che l’appartamento risultava a tutti gli effetti un “servizio residenziale” privo di autorizzazione. E come tale, se ne deduce, abusivo. Come è stato ripetutamente fatto notare dall’Associazione Tutela Salute Mentale Vallesina, che, sola, ha tenacemente, in questi anni, denunciato e portato all’attenzione la vicenda dell’appartamento di Jesi, è necessario risalire alla filiera delle responsabilità. Si possono dunque riprendere alcune considerazioni la prima delle quali riguarda il Dipartimento di Salute Mentale di Jesi che, pur conoscendo molto bene il funzionamento dell’appartamento, come anche da relazione riportata nella Sentenza del TAR, ha affermato trattarsi di “una coabitazione autogestita”, evidenziandone anche la qualità del progetto (“molto più avanzato di altri”), fino a scomodare la “vita indipendente” e il fatto, ritenuto estremamente positivo, che i costi non gravassero sulle casse pubbliche (Azienda Sanitaria, Regione, Comuni)».
«La seconda considerazione – proseguono dall’organizzazione marchigiana – concerne il quesito su quale protezione giuridica venisse esercitata su quella struttura, evidenziando ancora di più la necessità di una revisione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno. E ancora, sarebbe oltremodo interessante capire dove vivano oggi le 5/6 persone che abitavano l’appartamento, se in comunità e in quale tipologia di comunità. E se, nel “livello assistenziale”, in “Comunità alloggio con lievi disturbi mentali”. Pare, infatti, ragionevole dubitare che quella tipologia di “servizio”, di tipo esclusivamente sociale rivolta a persone “con lievi disturbi mentali e con un alto livello di autosufficienza” che “necessitano di sostegno nel percorso di autonomia e inserimento o reinserimento sociale”, sia compatibile con le necessità delle persone che vivevano in quell’appartamento. Livelli di autonomia certificati dallo standard di personale previsto: un operatore per 6 ore alla settimana. Se oggi quelle o alcune di quelle persone vivono, invece, in servizi residenziali sociosanitari cui si accede tramite invio del Centro di Salute Mentale (CSM), occorrerebbe ancor di più chiedere al Dipartimento come le loro necessità potessero essere compatibili con quell’appartamento autogestito».
«C’è dunque da augurarsi – concludono dal Gruppo Solidarietà – che nel processo iniziato a febbraio nei confronti dei due coniugi accusati di violenza sessuale e maltrattamento, si faccia piena luce su nascita, sviluppo ed evoluzione dell’appartamento e sul rapporto, dal 2018, delle persone che lo gestivano con le Istituzioni e in particolare con il Dipartimento di Salute Mentale di Jesi». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: grusol@grusol.it.
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