“E posso ancora parlare di noi”, storia di Me e di Ivo, il suo fratello “sibling”

di Stefania Delendati*
A cercare di fare uscire dal “cono d’ombra” i “siblings”, ossia i fratelli e le sorelle di persone con disabilità, vi è anche “E posso ancora parlare di noi”, libro di “Luce Blu” (Lucia Bossi) sulla relazione tra due fratelli nati in un piccolo paese di montagna, uno dei due con una disabilità psicofisica, l’altro in lotta e in fuga per affermare la propria individualità. Un romanzo intenso, commovente e coinvolgente, duro come sa essere dura la vita, che ha già ottenuto diversi riconoscimenti

Li chiamano siblings, “fratelli”, un termine generico che viene utilizzato per definire i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità. Un legame unico nel quale la condizione di fragilità di un membro della famiglia è al centro dei pensieri dell’intero nucleo e fa sì che la crescita di chi non presenta evidenti difficoltà venga condizionata da molteplici stati d’animo, interrogativi, sentimenti contrastanti di amore-odio e sensi di colpa. Pochi ci pensano, pochi sostengono e ascoltano la voce dei siblings, alla fine diventano più “invisibili” dei fratelli e delle sorelle con disabilità verso cui si dirigono le maggiori attenzioni.
A cercare di farli uscire dal “cono d’ombra” vi è anche un libro, E posso ancora parlare di noi (editore Be Strong), un romanzo sulla relazione tra due fratelli nati in un piccolo paese di montagna, uno dei due con una disabilità psicofisica, l’altro in lotta e in fuga per affermare la propria individualità.
A scriverlo è stata “Luce Blu”, pseudonimo di Lucia Bossi, insegnante di scuola primaria, il cui vissutro personale è stato rielaborato, diventando la storia di Me e Ivo, i protagonisti di E posso ancora parlare di noi, un emozionante viaggio che racconta la convivenza con la “diversità” dal punto di vista di un fratello che per anni si sente “diverso” perché non ha un fratello “normale”, la storia di un amore fraterno che si fa strada nonostante tutto, più forte dell’indifferenza e della inevitabile lontananza quando si diventa adulti.

Luce Blu, "E posso ancora parlare di noi"Me è Ernesto, è lui a “battezzarsi” con questo pronome personale quando gli chiedono come si chiama. È nato cinque anni prima di Silvio, per tutti Ivo, e Me, il nomignolo del fratello riesce a pronunciarlo senza le esitazioni con le quali abitualmente si esprime.
Sono sempre insieme, Me e Ivo, il primo con un perenne sorriso in volto, l’animo allegro, il passo incerto e strascicato che segue il fratello più giovane. Un’infanzia in simbiosi, tra boschi, prati, marmotte e cerbiatti, a sentirsi al sicuro soltanto insieme.
Ivo non vede il fratello “diverso”. Con la saggezza che soltanto i bambini hanno lo considera diverso da lui come ogni persona è differente dalle altre. Però è raro che qualcuno si avvicini a Ivo quando è insieme a Me, perché? Probabilmente è lo stesso motivo per cui in casa, quella casa di montagna che avrebbe dovuto essere il rifugio di una giovane coppia innamorata, ci sono pochissime foto di Ernesto. La nascita del figlio con disabilità segna l’inizio delle incomprensioni tra i genitori e la mamma si trasferisce in Liguria con il primogenito, dai nonni, perché si pensa che il mare possa far diventare “normale” Me; lo dicono proprio in questo modo brusco: «diventare normale».

Con il tempo la coppia sembra rinsaldarsi, ed è a questo punto che nasce Silvio. Me diventa la proiezione delle emozioni di Ivo, se quest’ultimo è felice Me ride a crepapelle, se Ivo è silenzioso Me si fa cupo. È sempre Ivo che Me interroga con lo sguardo, per decifrare poche indimenticabili parole uscite un giorno dalla bocca di papà: «La mamma non ci vuole più bene. Ci ha lasciati soli». Troppo pesante il fardello psicologico di quel figlio “handicappato”, non serve a nulla vestirlo in modo da mascherare le gambe con gli stivaletti ortopedici, il marito è troppo debole per starle accanto.

La vita continua, i fratelli sono insieme anche a scuola, nella stessa classe, Me non ha iniziato le elementari quando aveva l’età giusta, tanto da lui non ci si aspettava che imparasse. Per il fratello minore, obbligato ad essere anche genitore, è un continuo confronto con gli altri che possono essere spensierati, mentre ai siblings viene in parte sottratta la leggerezza della gioventù.
Ivo accudisce il fratello, la gente li percepisce come una cosa sola, «ero come se io mi sdoppiassi in due, nel normale e nel disabile, nell’autonomo e nel dipendente, nel genitore e nel figlio». A un certo punto sente il bisogno di fuggire e lo fa seminando il fratello sulle piste da sci, sordo ai suoi richiami, passa un’estate in alpeggio con la sola compagnia delle mucche. Alla fine Me lo riaccoglie a braccia aperte, senza rancore.

La narrazione prosegue più intima e introspettiva, esplora i confini dell’animo umano. Il linguaggio si fa dapprima inquieto, seguendo i tumulti dell’adolescenza, poi adulto, man mano che Ivo cresce e si pone domande: che diritto ho di progettarmi un avvenire quando mio fratello ne avrà uno incerto? Chi penserà a lui se io mi farò una vita lontano dal paese per realizzare i miei sogni? È mio dovere prendermi cura di Me per sempre, annullandomi?
L’affetto che il papà non è in grado di dare arriva, inaspettato, dalla vicina di casa, una donna rude che odora di formaggio e animali. È a lei e a suo marito che Ivo si rivolge per dare a Me un futuro il più possibile autonomo, nel quale guadagnarsi di che vivere e che possa scongiurare il ricovero in una struttura. Me inizia a lavorare nella stalla e nell’azienda agricola dei vicini, Ivo parte per Milano, destinazione università. Gli piace scrivere, riempire quaderni con emozioni e fantasie. Anche di Me scrive, «a volte mi sfogavo perché non ti sopportavo più, a volte perché senza di te non avrei potuto vivere, a volte perché ti avrei voluto diverso».
Ivo non parla di suo fratello con gli amici di città, è difficile per altro fare amicizia, non sa come comportarsi con le ragazze, è in imbarazzo quando lo invitano a prendere un aperitivo. Vede tutti disinvolti, felici, mentre lui è a disagio nei pantaloni troppo grandi e con le camicie a scacchi di ruvida stoffa. A Milano Ivo vuole essere Silvio, ma nella metropoli si sente fuori posto, porta dentro il silenzio della montagna e la nostalgia per il fratello lontano. Lo chiama di rado, fantastica su come sarebbe stata la sua vita e quella della sua famiglia con un fratello “normale”, a volte vorrebbe perfino dimenticarlo, però è pensando a lui che trova attimi di autentica serenità: «Per te ero sempre importante, ma tu non potevi immaginare, perché non te lo dimostravo, che tu lo eri molto più per me».

Non voglio spoilerare l’epilogo della storia, voglio che leggiate E posso ancora parlare di noi, che assaporiate ogni riga, ogni malinconia, ogni caduta e ogni conquista, che sentiate infine il richiamo delle alte vette come i protagonisti del racconto. Vi basti sapere che ora la loro abitazione si chiama CASA ME, che le erbacce saranno tolte e l’altalena sistemata; che adesso Ivo non ha più paura di parlare di loro.
Questo romanzo intenso, commovente e coinvolgente, duro come sa essere dura la vita, ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il secondo posto al Premio Zingarelli 2024. I siblings non sono destinati al disagio e alla sofferenza, questo libro ce lo insegna e ci fa capire che attraverso il tortuoso cammino della vita possono trovare la loro dimensione, aiutati anche dal fratello o dalla sorella “fragile”.
E posso ancora parlare di noi si inserisce in un filone letterario ancora poco esplorato, mi viene in mente Mio fratello rincorre i dinosauri, romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol, dove l’autore parla della relazione con il fratello con la sindrome di Down, portato sul grande schermo nel 2019.
Ivo e Me mi hanno ricordato anche Ovosodo, il film del 1997 diretto da Paolo Virzì, dove il protagonista ha un fratello con disabilità e per un tratto dell’esistenza sono l’uno la spalla dell’altro.
«E posso ancora parlare di noi, di quello che siamo diventati, di quello che ci hanno tolto, di quello che volevamo ancora vivere ma non abbiamo potuto, di quel bello che, nonostante tutto, spero sempre possa succedere», dice Ivo, e si comprende così che la disabilità non è stata il “terzo incomodo” nel rapporto con Me, ma un valore aggiunto nel quale hanno trovato la forza di lottare per entrambi.

*Direttrice responsabile di Superando. Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “‘E posso ancora parlare di noi’, un romanzo che dà voce ai sentimenti dei siblings”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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