«La morte di Papa Francesco – scrive Vincenzo Falabella – lascia un vuoto profondo, ma anche un’eredità incancellabile. Ci lascia una Chiesa più consapevole, più aperta, più vicina alle fragilità. E ci affida una responsabilità: non lasciare cadere il suo insegnamento, non smettere di costruire un mondo dove davvero nessuno sia escluso. È un’eredità non solo spirituale, ma un programma di umanità che ora è nelle nostre mani»

Papa Francesco ha rappresentato, per milioni di persone, una voce limpida e coraggiosa a favore della dignità umana e tra i tanti temi che ha affrontato con determinazione e sensibilità, il suo rapporto con le persone con disabilità ha segnato una svolta profonda nella visione della Chiesa, e non solo. Infatti, non ha mai considerato le persone con disabilità come destinatarie passive di attenzione o assistenza, ma le ha riconosciute come persone pienamente partecipi, con un ruolo attivo nella società e nella comunità ecclesiale.
«Ogni persona, con le sue fragilità, è un dono. Non esistono vite meno degne di essere vissute», diceva con forza. Per Papa Francesco la disabilità non è mai stata un “limite”, ma una forma concreta della diversità umana, che chiede di essere accolta con rispetto e non compatita.
Ha parlato spesso di barriere: non solo architettoniche, ma soprattutto culturali, spirituali e psicologiche. Barriere che isolano, che impediscono l’accesso alla piena partecipazione alla vita, alla fede, all’educazione. In ogni suo gesto, in ogni parola, ha cercato di ricucire relazioni, di abbattere distanze, di restituire voce a chi per troppo tempo era rimasto invisibile.
Nel suo magistero, Papa Francesco ha messo in evidenza come le fragilità umane siano un terreno fertile per esprimere il vero carisma della Chiesa. Non ha semplicemente affrontato la disabilità come un tema tecnico, ma ha trasformato questo argomento in una metafora potente di giustizia ed equità, in grado di arricchire profondamente la cultura ecclesiale. Le fragilità, per lui, non sono da evitare o da nascondere, ma da riconoscere come una dimensione imprescindibile della condizione umana, che rende ogni persona unica e degna di rispetto. Ha messo in discussione il modello sociale che misura il valore di un individuo solo sulla base della produttività, invitando la Chiesa a diventare il luogo in cui l’inclusione non è solo un principio astratto, ma una pratica quotidiana che riflette l’amore di Dio per ogni essere umano.
Questa visione non solo ha cambiato l’approccio della Chiesa verso le persone con disabilità, ma ha anche offerto alla società un nuovo paradigma, più giusto e più umano, in cui le barriere, siano esse fisiche, sociali o culturali, vanno abbattute in nome della dignità di ciascuna persona. In altre parole, tutto ciò che è costruito, sia che si tratti di uno spazio urbano, sia che si tratti di una comunità, deve essere pensato per tutti, non adattato dopo. E Papa Francesco ha ricordato che l’inclusione non è un favore, non è una semplice concessione, ma un diritto che deve essere rispettato e garantito.
La sua morte lascia un vuoto profondo, ma anche un’eredità incancellabile. Le sue parole, i suoi abbracci, il suo sguardo capace di incontrare senza giudicare, continueranno a vivere in ognuno di noi. Ci lascia una Chiesa più consapevole, più aperta, più vicina alle fragilità. E ci affida una responsabilità: non lasciare cadere il suo insegnamento, non smettere di costruire un mondo dove davvero nessuno sia escluso.
Ricordo i miei personali incontri, ricordo alcune sue parole su tutte: «La carrozzina che utilizzi non è ciò che ti definisce ma è uno strumento che, insieme a te, diventa veicolo di libertà».
L’eredità di Papa Francesco non è solo spirituale. È un programma di umanità. Ed è ora nelle nostre mani.
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
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