«Il Primo Maggio – scrive tra l’altro Vincenzo Falabella – ci ricorda che il lavoro non è solo un diritto, ma il fondamento di una piena cittadinanza e i dati costantemente allarmanti sul lavoro (o sul non lavoro) delle persone con disabilità, e in particolare per i giovani con disabilità, mostrano quanto cammino resti da fare per tradurre questo principio in realtà per le stesse persone con disabilità»
La ricorrenza del Primo Maggio, Festa dei Lavoratori, invita segnatamente a una riflessione profonda sul diritto al lavoro, principio che interroga non solo l’efficienza del sistema produttivo, ma la stessa tenuta democratica del Paese.
Com’è ben noto, il primo articolo della nostra Costituzione, nel dichiarare che «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», non si limita a una proclamazione simbolica: sancisce infatti un patto sociale in cui il lavoro diventa presupposto irrinunciabile di dignità, autonomia e piena partecipazione alla vita collettiva. Eppure, a decenni di distanza, questo patto non è compiuto per intere categorie di cittadini, e nello specifico parliamo delle persone con disabilità, il cui accesso al mercato del lavoro continua a essere ostacolato da barriere culturali, normative e organizzative.
Come evidenziato con nettezza nel recente XXVI Rapporto del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità rappresenta ancora oggi una sfida irrisolta. I dati mostrano infatti un divario preoccupante, se è vero che solo il 33% delle persone con disabilità grave e il 57% di quelle con disabilità non grave risultano occupate, a fronte del 62% della popolazione senza disabilità. Il rapporto sottolinea come i tassi di disoccupazione raggiungano il 16,6% per chi ha gravi limitazioni e il 14,4% per le altre, contro una media nazionale del 12%.
Particolarmente allarmanti, poi, risultano i dati sui giovani con disabilità: secondo il CNEL, due terzi di loro non lavorano né studiano, una percentuale di gran lunga superiore a quella dei coetanei senza disabilità.
Il rapporto, infine, mette in luce anche il fenomeno dei ritiri precoci dal mercato del lavoro, che colpiscono in misura quasi tripla le persone con disabilità grave rispetto ai lavoratori senza limitazioni.
Questi numeri raccontano una realtà in cui le politiche di inclusione mostrano evidenti criticità. La Legge 68 del 1999 sul collocamento mirato, pur avendo rappresentato un importante punto di partenza, appare oggi inadeguata a rispondere alle trasformazioni del mercato del lavoro. Inoltre, il citato Rapporto del CNEL evidenzia come persistano barriere fisiche e organizzative, con molti ambienti di lavoro ancora inaccessibili, e come siano insufficienti gli investimenti in accomodamenti ragionevoli e tecnologie abilitanti.
Per superare queste criticità, servono dunque interventi strutturali, suggeriti da quello stesso rapporto del CNEL, vale a dire una revisione della normativa vigente, per adeguarla alle nuove forme di lavoro, maggiori investimenti nella formazione professionalizzante, e politiche attive del lavoro più efficaci. Ma soprattutto è necessario un cambiamento culturale che riconosca nella diversità un valore aggiunto per le imprese e per l’intera società.
Il Primo Maggio, dunque, ci ricorda che il lavoro non è solo un diritto, ma il fondamento di una piena cittadinanza e i menzionati dati, prodotti dal CNEL, mostrano quanto cammino resti da fare per tradurre questo principio in realtà per tutte le persone con disabilità.
Onorare lo spirito della Costituzione significa impegnarsi ogni giorno per costruire un mercato del lavoro realmente inclusivo, dove nessuno sia lasciato indietro. Solo così potremo dire di aver fatto del lavoro non una semplice celebrazione retorica, ma il motore di una società più giusta e solidale.
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
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