«Ricordare il 29 aprile 1977 non è solo un esercizio di memoria: è un monito su ciò che è possibile, quando la determinazione collettiva incontra l’ingiustizia e decide di trasformarla», lo afferma Marta Migliosi, attivista con disabilità, ricordando la più lunga occupazione non violenta che cambiò la storia dei diritti civili delle persone con disabilità negli Stati Uniti. «Le conquiste di ieri – aggiunge – sono il terreno su cui possiamo camminare oggi, ma anche un invito a non smettere di lottare»

Nella primavera del 1977 un gruppo di attivisti e attiviste con disabilità occupò per 28 giorni un edificio del Dipartimento Federale della Salute, Istruzione e Welfare a San Francisco. Fu la più lunga occupazione non violenta nella storia dei diritti civili negli Stati Uniti.
Non era una protesta improvvisata, ma il culmine di anni di proteste e della mancata firma, da parte di Joseph Califano, direttore del menzionato Dipartimento Federale, di una disposizione a tutela delle persone con disabilità.
In effetti la legge c’era già: la Sezione 504 del Rehabilitation Act, approvata nel 1973, aveva stabilito infatti che nessuna persona con disabilità potesse essere esclusa da programmi o attività finanziate dal governo federale. Ma nel 1977 quella norma esisteva solo sulla carta. L’attuazione di essa continuava ad essere rinviata dal governo, e la commissione incaricata di definirne l’applicazione era priva di rappresentanti con disabilità.
La riforma citava: «Nessun individuo altrimenti qualificato con disabilità negli Stati Uniti, come definito nella sezione 705 (20) del presente titolo, potrà, esclusivamente a causa della sua disabilità, essere escluso dalla partecipazione, vedersi negare i benefici o essere soggetto a discriminazione nell’ambito di qualsiasi programma o attività che riceve assistenza finanziaria federale o nell’ambito di qualsiasi programma o attività condotta da qualsiasi agenzia esecutiva o dal servizio postale degli Stati Uniti».
Il 5 aprile le proteste scoppiarono in tutto il Paese: Atlanta, Boston, Chicago, Denver, Los Angeles, New York, Philadelphia, Seattle. Ma fu a San Francisco che la lotta prese una forma più ampia e lunga.
A San Francisco, dunque, l’edificio del Dipartimento Federale della Salute, Istruzione e Welfare fu occupato da oltre 120 attivisti. La differenza la fecero le alleanze: accanto alle persone con disabilità, infatti, c’erano i Black Panthers, la comunità LGBTQ+, attivisti contro la guerra in Vietnam, movimenti per la pace, contro la povertà e le diseguaglianze. Tra le organizzazioni coinvolte: la Glide Memorial Church, la Gay Men’s Butterfly Brigade, Delancey Street, gli United Farm Workers, le Grey Panthers, i sindacati e delle organizzazioni contro la guerra del Vietnam. Senza queste presenze alleate, non sarebbe stato possibile resistere così a lungo.
All’interno dell’edificio si organizzò una vera e propria comunità autogestita. Cinque gruppi di coordinamento – che si occupavano di cura, cibo, pulizia, sicurezza, comunicazione – erano guidati interamente da persone con disabilità. Le decisioni venivano prese collegialmente, con votazioni e assemblee. Si improvvisarono infermieri, assistenti personali, si costruirono reti di aiuto reciproco.

Quando l’FBI tagliò l’elettricità, lasciando senza ventilatori e frigoriferi per i farmaci chi ne aveva bisogno, furono il sindacato degli operai e i Black Panthers a intervenire per ripristinare la corrente e portare pasti caldi.
Le forze dell’ordine bloccarono l’edificio, impedendo ogni accesso. Solo dopo uno sciopero della fame collettivo fu concesso l’ingresso a interpreti LIS (Lingua dei Segni), personale medico e assistenti. Le comunicazioni con l’esterno continuarono grazie alla Lingua dei Segni, con messaggi inviati da un edificio all’altro. I media nazionali non parlarono di altro, ma ancora i rappresentanti istituzionali non si fecero sentire.
Mary Jane Owen, una delle donne con disabilità che partecipò all’occupazione, affermò: «Questo è stato il nostro forte. Non dobbiamo abbandonare questa roccaforte finché non sapremo di aver vinto».
Il 29 aprile 1977 Califano firmò finalmente i regolamenti attuativi della Sezione 504 del Rehabilitation Act. Il documento non rappresentava solo una vittoria politica, ma l’esito finale di un’azione collettiva che cambiò la storia delle persone con disabilità.
Da quella lotta emersero alcune tra le figure più importanti nella storia dei diritti delle persone con disabilità – tra cui Judith Heumann, Kitty Cone, la già menzionata Mary Jane Owen e Frank Bowe –, che, anni dopo, diverranno protagoniste nella redazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
«Ci sentivamo come se stessimo agendo per conto di centinaia di migliaia di persone che non potevano essere lì con noi – ricorda Kitty Cone –. Persone istituzionalizzate o bloccate in situazioni di dipendenza».
Ricordare questa storia oggi è fondamentale. Perché dimostra che il cambiamento è possibile, le alleanze possono fare la differenza. Dobbiamo avere chiaro cosa non è più accettabile per noi e su quello fissare una linea sul quale non si torna indietro, così è stato fatto, così si farà. Le conquiste di ieri sono il terreno su cui possiamo camminare oggi. Ma sono anche un invito a non smettere di lottare.
*Attivista con disabilità.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minime modifiche dovute al diverso contenitore, insieme alle immagini utilizzate, per gentile concessione.
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