Doppiaggio e audiodescrizione: arti imparentate “oltre il buio”

di Savio Tanzi
Savio Tanzi parla oggi di audiodescrizione e doppiaggio con Angelo Maggi, attore-doppiatore – o, come si definisce a teatro, “doppiattore” – che ha dato la voce italiana ad attori statunitensi quali Bruce Willis, Tom Hanks o Robert Downey Jr. Una testimonianza, quella di Maggi, che conferma la stretta parentela tra l’adattamento dialoghi per il doppiaggio e la scrittura per l’audiodescrizione, specialmente nel nostro Paese

Non è che per caso hai un fiammifero, vero?
(Chuck Noland al pallone Wilson, nel film Cast Away, 2000).

Tom Hanks e Angelo Maggi
Una foto di qualche anno fa di Angelo Maggi con l’attore americano Tom Hanks, che ha doppiato, tra l’altro, nel film “Cast Away”

Con la mia ormai consueta serie di interviste a tema audiodescrizione, cerco di portare ai Lettori e alle Lettrici di Superando, assetati di arte come tutti, contributi interessanti che possano svelino cosa ci sia davvero dietro il lavoro di audiodescrizione di un’opera audiovisiva per i fruitori con disabilità visiva.
Con lo speaker cieco Mario Loreti abbiamo affrontato il sentito tema dell’importanza di una voce calda e umana a speakerare i copioni di audiodescrizione, anziché quella fredda e sintetica di molti prodotti. Con l’audiodescrittrice e dialoghista Laura Giordani si è parlato dell’importanza di scovare i dettagli, quelli che contano. Con un’altra grande Laura, la presidente Raffaeli, fondatrice dell’Associazione Blindsight Project, ho potuto scoprire di più su un’importante associazione a tutto tondo dedicata alle disabilità sensoriali – e tutti i bisogni che ne conseguono nella vita di tutti i giorni. Per l’articolo di oggi, ho avuto l’onore di conoscere un’eccellenza italiana del doppiaggio, arte particolarmente apprezzata dai fruitori ciechi e ipovedenti italiani. Ho avuto infatti la fortuna di parlare di audiodescrizione e doppiaggio con Angelo Maggi, attore-doppiatore – o, come giustamente si definisce a teatro, “doppiattore” – che dà la voce italiana a importantissimi interpreti statunitensi quali Bruce Willis (come nel film Il sesto senso) o Tom Hanks (come negli indimenticabili capolavori Cast Away e Cloud Atlas), ma anche Robert Downey Jr nelle sue numerose opere Marvel o a simpatici e celeberrimi personaggi di animazione, come il commissario Winchester dei Simpson o Woody in Toy Story 4. E si potrebbe andare avanti a nominare altre indimenticabili lavorazioni per ancora tante altre pagine.
Se è vero com’è vero che una buona audiodescrizione ha l’onore e l’onere di fondersi ai dialoghi (i quali sono doppiati ogni qual volta si stia godendo di un prodotto audiovisivo di provenienza straniera), allora anche chi lavora nel mondo del doppiaggio può dirci qualcosa di vero, importante e necessario su un tema spesso giudicato ingiustamente “di nicchia” o “minoritario” come l’audiodescrizione. A continuazione, il nostro scambio.

Conosce l’audiodescrizione? Finora ne ha mai fatto esperienza?
«La conosco, non ne ho mai usufruito né mai prestato la voce, ma decisamente mi piacerebbe farlo: è un ausilio che mi affascina ed è una professione che apprezzo e stimo molto. Lo definirei come il racconto per persone cieche o ipovedenti di quanto accade sullo schermo. Didascalie che raccontano il susseguirsi delle azioni».

Come accade nel doppiaggio, anche l’audiodescrizione spesso si serve di figure improvvisate per il risparmio dei costi, danneggiando i fruitori. Che cosa ne pensa?
«Sicuramente anche nel doppiaggio c’è stata una maggiore attenzione negli ultimi vent’anni a costi e tempi delle lavorazioni, cosa che nei primi Anni Ottanta – quando ho iniziato io – era profondamente diversa. Probabilmente si aveva più attenzione per la qualità, non si pensava tanto alle tempistiche, ma a fare tutto per bene. Oggi, invece, soprattutto con l’avvento dell’era digitale, si tende più a pensare ai costi e la qualità ne risente. Si cerca di risparmiare tempo e denaro. Lo stesso sicuramente avverrà nell’audiodescrizione, è una tendenza globale. Se per il semplice obiettivo di risparmiare si ricorre a gente inesperta, non formata, senza alcuno studio alle spalle, il risultato e la qualità finale ne risentono».

Che cosa auspica per il doppiaggio, per il cinema e per l’accessibilità cinetelevisiva?
«Auspico, per esempio, la possibilità di dare cuffiette a persone non vedenti, potendo così ascoltare le voci del doppiaggio – un’eccellenza tutta italiana, invidiataci dal mondo intero – ascoltando un film e “vedendo” le voci con l’aiuto della cuffietta per l’audiodescrizione. E sottolineo il verbo “vedere”, perché una voce può essere vista, soprattutto quando l’attenzione è tutta rivolta all’udito, come succede per i fruitori di audiodescrizioni».

Anche nel doppiaggio si lavora nel buio: gli stessi doppiatori vengono spesso definiti delle “voci nel buio”. Dalla sua esperienza, quali analogie riesce a trovare tra doppiaggio e audiodescrizione in tal senso?
“Il mio ultimo spettacolo, Il camaleonte. La voce oltre il buio è incentrato proprio su questo tema. Già nel titolo mi sono trovato a operare un superamento da “voce nel buio” a “voce oltre il buio”. In questo mio show, in cui il protagonista è il doppiaggio, racconto quella che è stata la mia esperienza, l’inizio della mia carriera. Ricordo vividamente il momento in cui mi sono affacciato a questa professione e sono entrato per la prima volta in sala doppiaggio. La prima cosa che mi colpì fu questo buio pesto. Lì ho potuto subire il fascino di quelle voci che mi emozionarono. Vedere come combaciassero a sync con le immagini fu una magia, me ne innamorai perdutamente.
Sicuramente con l’audiodescrizione è la stessa cosa: un attore-doppiatore spera che le stesse emozioni che prova nel buio della sala al leggio possano arrivare agli spettatori. Lo stesso auspicio animerà un buon audiodescrittore che lavora a un prodotto: al di là di tutti gli aspetti tecnici della professione, l’audiodescrittore lavora per permettere ad altre persone nel “buio” di provare delle emozioni. Si può senz’altro fare questo parallelismo ed è un lavoro molto importante che credo non morirà mai, neanche con l’intelligenza artificiale. Per raccontare – o in questo caso descrivere – un prodotto audiovisivo serve infatti l’anima, un valore aggiunto di cui l’intelligenza artificiale non potrà mai dotarsi. Un esempio in tal senso lo può fornire il mio contributo nel film del 2000 Cast Away, nel quale ho doppiato Tom Hanks. Nella scena in cui il suo personaggio, il naufrago Chuck Noland, perde il suo amato pallone Wilson e urla per cercare di recuperarlo mentre si allontana, galleggiando in mare aperto, io pensavo a mio padre che era venuto a mancare da poco tempo. In quel caso, ebbi la possibilità di recitare facendo leva su un mio dolore, mettendoci l’anima, cosa che non potrà mai avvenire con l’intelligenza artificiale».

Testimonianze come questa, dunque, ribadiscono la stretta parentela che intercorre tra l’adattamento dialoghi per il doppiaggio e la scrittura per l’audiodescrizione, specialmente in Italia. Nel “bel Paese”, infatti, la pregiata tradizione del doppiaggio ha decisamente impresso come la cera di un francobollo le sue consuetudini e il suo modus operandi nella stesura dei testi descrittivi dell’audiodescrizione. A ogni buon audiodescrittore che si rispetti, inoltre, vengono richieste nozioni di linguaggio filmico e conoscenza dell’industria cinematografica: pertanto, è bene che se ne intenda anche di doppiaggio.
Le due arti – doppiaggio e audiodescrizione – sono cugine, anzi sorelle! Prova ne sia uno dei tratti “genetici” che più di altri spicca nel loro legame di parentela: il buio. Quello fisico che governa nella sala di doppiaggio, laddove attori, direttori, assistenti, fonici e talvolta dialoghisti si riuniscono per lavorare all’edizione italiana di un prodotto. Quello metaforico nel quale esistono le voci di questa particolare categoria di attori, che per definizione rimangono “all’ombra” degli interpreti stranieri doppiati. E, infine, quello totale o parziale che può caratterizzare la vista di un fruitore: un limite sensoriale che – quantomeno da un punto di vista artistico, culturale e in parte sociale – può essere superato o colmato da parole. Queste stuzzicano la mente, proiettando il film nella sala cinematografica più umana che ci sia: l’immaginazione.

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