«Torniamo a chiedere un Piano Nazionale per l’occupazione delle persone con disabilità, fatto di incentivi mirati, di fondi per l’accessibilità, di una profonda riforma dei servizi per l’impiego, di orientamento e formazione di qualità»: lo dicono dalla Federazione FISH in questo 20 maggio che coincide con il 55° anniversario dall’emanazione dello Statuto dei Lavoratori
«Non è solo una questione di quantità, ma è una questione di qualità del lavoro: serve cioè un cambio di paradigma che metta fine all’assistenzialismo e riconosca finalmente il valore delle persone con disabilità come lavoratrici e lavoratori, portatrici di competenze, talenti, esperienze»: lo dichiara Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), oltreché consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), in una nota diffusa dalla stessa FISH in occasione del 55° anniversario dello Statuto dei Lavoratori, fissato dalla Legge 20 maggio 1970, n. 300, ovvero, appunto, esattamente 55 anni fa. «In un Paese che invecchia – aggiunge Falabella – non possiamo più permetterci di lasciare indietro nessuno. L’inclusione lavorativa non è una gentile concessione, ma una necessità economica, e soprattutto una sfida di civiltà. Finché non si vedranno risultati concreti, ogni statistica continuerà pertanto a raccontare una sconfitta collettiva».
Che a 55 anni dallo Statuto dei Lavoratori il diritto al lavoro per le persone con disabilità sia ancora largamente disatteso, lo dimostrano chiaramente i dati ricordati ancora una volta dalla FISH: «Solo il 18,3% delle persone con disabilità – affermano dalla Federazione – è occupato, contro il 63% della popolazione generale. Un divario del 44,7% che racconta una realtà di esclusione strutturale, ben lontana dalla narrazione di un’Italia inclusiva. E il quadro è ancora più allarmante se si guarda ai giovani con disabilità: il 66,7%, infatti, è fuori sia dal mondo del lavoro che della formazione. Per le donne, inoltre, il tasso di occupazione è fermo al 17,8% e al Mezzogiorno la percentuale precipita al 14%.».
«Anche poi chi lavora – proseguono dalla Federazione -, spesso lo fa in condizioni penalizzanti, se è vero che il 40,5% è impiegato in mansioni non qualificate, che il 34% è costretto a un part-time involontario, e che solo il 12% accede a ruoli specializzati. Un sistema, dunque, che quando non esclude, ghettizza».
«Le cause sono profonde – concludono dalla FISH -: dai pregiudizi culturali a percorsi formativi non accessibili, dai servizi per l’impiego inadeguati alla Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.] che mostra a propria volta i segni del tempo. Non mancano tuttavia le buone pratiche, dimostrando che le imprese inclusive sono più produttive, più innovative, più capaci di attrarre e trattenere talenti. In altre parole, l’inclusione funziona, quando è sostenuta ed è per questo che torniamo a chiedere un Piano Nazionale per l’occupazione delle persone con disabilità, fatto di incentivi mirati, di fondi per l’accessibilità, di una profonda riforma dei servizi per l’impiego, di orientamento e formazione di qualità. Il costo dell’esclusione, oltre 15 miliardi di euro all’anno, è insostenibile, ma ancor più, è incalcolabile il prezzo umano, fatto di vite negate». (S.B.)
Per ulteriori informazioni: uufficiostampa@fishonlus.it.
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