Gli albini non sono più fenomeni da baraccone, ma quali sono le nuove sfide?

di Roberta Terra*
«Tanti passi sono stati fatti in termini di inclusione delle persone albine in Italia – scrive Roberta Terra, promotrice del blog “Nero su Bianco” -, ma altri se ne possono fare per rendere il mondo un posto migliore. Ricordando che le mobilitazioni più efficaci sul tema della disabilità sono state fatte grazie alla popolazione che vive una determinata condizione in prima persona, in quanto conosce le proprie esigenze e limitazioni quotidiane»
Roberta Terra
Roberta Terra

In occasione dell’ormai prossima Giornata Internazionale dell’Albinismo, che cade ogni anno il 13 giugno, è importante a porre l’attenzione sui numerosi passi avanti che sono stati fatti negli anni (e nei secoli) in termini di “normalizzazione” di questa condizione, ma anche sulle rimanenti lacune da colmare e su quelli che possiamo definire come i nuovi “circhi” di oggi, in riferimento alla triste spettacolarizzazione delle persone albine all’interno dei tendoni tra fine Ottocento e fino alla metà del secolo scorso.
Sono convinta che dal passato, soprattutto se difficile, possiamo fare solo una cosa giusta e cioè imparare. Non è necessario dimenticarlo né negarlo, ma piuttosto tenere a mente gli errori commessi per non ripeterli, anzi, utilizzare quella sofferenza per porci in una condizione migliore.

A partire dalla seconda metà del XIV secolo e fino agli Anni Cinquanta del secolo scorso si diffuse una macabra moda, il fenomeno dei cosiddetti freak show, spettacoli circensi che radunavano diversi personaggi con caratteristiche anomale (spesso dovute a disabilità), per fare divertire il pubblico con la loro sola presenza e con i classici numeri da circo.
Una sorta di “fiera del bizzarro”, dove ovviamente erano presenti anche gli albini, merce più che rara da trovare. Oltre alla ridicolizzazione del diverso, già di per sé biasimevole, aggiungiamo le condizioni di lavoro disagiate e la poca attenzione alle esigenze di queste persone.
Ne parlo approfonditamente nel mio blog (Nero su Bianco), nato proprio per diffondere la consapevolezza sulla condizione genetica rara dell’albinismo, dal momento che anch’io sono albina.

I tempi dei circhi e dei freak show ce li siamo fortunatamente lasciati alle spalle, ma cosa rimane oggi di quella mentalità, che sbarra gli occhi di fronte al diverso e non riesce ad accoglierlo dentro di sé?
Parlando di spettacolo e di spettacolarizzazione, il fascino estetico dell’albinismo continua a persistere e da una parte lusinga chi riceve attenzioni e complimenti per i suoi capelli candidi e la sua pelle diafana, incantando dall’altrafotografi, parrucchieri, make up artist e anche pittori e registi che vorrebbero plasmare la nostra immagine a loro piacimento.
Ma quale tipo di immagine? Che tipo di rappresentazione ne esce? La moda, il cinema, così come tutte le forme d’arte, contribuiscono in maniera silente ma potentissima a formare e ad influenzare l’opinione pubblica (molto più di queste mie parole e di quelle che porto sul blog o sui miei canali social). Se la gente continua a vedere immagini di albini che impersonificano o angeli o diavoli, come potrà mai pensare che siamo persone normali? Inconsciamente si instilla l’idea che l’albino è “freak”. Inoltre, se restiamo ancora un attimo nel mondo dello spettacolo, è necessario tenere conto del fatto che esiste un backstage prima di vedere il personaggio in scena. Questo backstage dovrebbe includere una grande attenzione a quelle che sono le esigenze delle persone albine.
La dico in modo più semplice e diretto: se vuoi una modella o un modello albini o la comparsa albina, non puoi buttare questa persona sotto il sole per un’ora impedendogli di mettere la crema solare perché “se no poi si rovina il trucco”, e non puoi chiedergli di leggere a distanza senza studiare un metodo alternativo per fargli pronunciare quella frase. Né puoi dargli indicazioni per raggiungere un posto solo in auto…
Questi sono solo alcuni dei pochi esempi che si possono fare riguardo alle esigenze degli albini, a maggior ragione quando si trovano su un set o in uno studio fotografico: il trucco e le luci possono causare fastidio alla persona albina, e non si possono ignorare nemmeno le sue problematiche visive importanti.

Gli albini oggi fanno rete ed è proprio ad una community, quella di Albini in Italia, che mi sono rivolta per raccogliere le sensazioni che provano oggi le persone albine, nel nostro Paese.
Il quadro che ne emerge è quello di una ancora presente insistenza (e altrettanta maleducazione) delle persone nel porre domande invadenti alle persone albine: «Ma signora, come mai tinge i capelli a suo figlio così piccolo?», oppure «Piccolo, hai paura? Perché ti tremano gli occhi?».
A volte la curiosità dei passanti si manifesta con sguardi fissi e frasi bisbigliate all’orecchio del vicino, con tanto di mano semichiusa a conca davanti alla bocca, altre volte le persone esprimono il loro disagio di fronte ad una persona albina, conversando ad alta voce sull’albinismo (o sulle sue caratteristiche) davanti all’interessato, ma senza rivolgergli la minima parola.
È una situazione che, per usare un termine della generazione Z, definirei cringe, termine che rende molto l’idea del mix di stranezza e imbarazzo.
Dall’altro lato sia genitori di bambini albini che albini adulti lamentano difficoltà di tipo burocratico-amministrativo, in tutta quella serie di fasi e passaggi in cui il fenomeno dello scaricabarile è ampiamente, seppure inconsciamente, praticato, e chi ne paga le conseguenze è appunto il soggetto albino. Se negli Anni Cinquanta e Sessanta alcuni albini frequentavano gli istituti per ciechi o imparavano ad utilizzare il Braille, oggi i tempi sono cambiati. Gli studenti con albinismo si avvalgono dell’aiuto dell’insegnante di sostegno e di diversi ausili informatici digitali per studiare con maggiore facilità, ma dall’altra parte permangono altri problemi, forse un tempo ritenuti collaterali, ma che in realtà sono di primaria importanza. Non dimentichiamoci, infatti, che gli albini non sono solo ipovedenti, ma i loro occhi hanno anche una scarsa tolleranza alla luce, e spesso le aule delle scuole o dei luoghi di lavoro non sono adeguate ad accogliere richieste di questo tipo, come quella di poter oscurare i vetri con delle tende, in modo che non ci sia un’illuminazione eccessiva per gli occhi dell’alunno albino, ma che allo stesso tempo non ostacoli la visione al resto della classe.
Un’altra questione è quella della consapevolezza del concetto di “ipovisione” anche nei luoghi pubblici, negli studi medici, negli ospedali, nelle sedi comunali ecc., che sono magari sufficientemente adeguati per i ciechi, ma non per gli ipovedenti; in questi casi basterebbero informazioni più chiare e con scritte più grandi.
Una cosa che però noto tristemente è la disparità sul territorio nazionale, per quanto riguarda le procedure di richiesta e alcune agevolazioni per chi parte da una condizione di svantaggio: ci sono infatti notevoli differenze non solo da una Regione all’altra (a volte mancano degli standard o non vengono sempre rispettati), ma anche da un Comune all’altro. Parlo ad esempio dell’annosa questione delle creme solari (alcuni albini le ricevono gratuitamente, altri no), ma anche delle disponibilità di figure e fondi per i percorsi di psicomotricità per bambini piccoli e di terapia visiva.
Se vogliamo fornire ancora un esempio, anche i mezzi pubblici (indispensabili per chi la patente non la prende per disabilità e non per scelta) non sono gratuiti per tutti, ci sono delle differenze a livello regionale che pongono il paziente nella condizione di chiedersi «Perché lui sì e io no?».

Per concludere, tanti passi sono stati fatti in termini di inclusione (che è sinonimo di accettazione, comprensione, aiuto e attuazione di nuove norme) delle persone albine in Italia, ma altri se ne possono fare per rendere il mondo un posto migliore. Ricordando che le mobilitazioni più efficaci sul tema della disabilità sono state fatte grazie alla popolazione che vive una determinata condizione in prima persona, in quanto conosce le proprie esigenze e limitazioni quotidiane.

*Promotrice del blog “Nero su Bianco”.

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