La speranza delle persone con lesione midollare e in generale con disabilità non può stare nell’annuncio “miracoloso” di turno, da parte degli organi d’informazione, ma nella capacità di costruire un percorso condiviso in cui la comunità scientifica, i media, le istituzioni e le associazioni lavorino insieme con obiettivi chiari: avanzare nella ricerca, comunicare con responsabilità, migliorare concretamente la vita delle persone: solo così, infatti, potranno diventare realtà accessibili a tutti quelle che oggi sono ancora speranze

L’ennesima notizia di un possibile avanzamento nella cura delle lesioni midollari ha fortemente riacceso in questi giorni i riflettori mediatici su una delle sfide più complesse della medicina contemporanea. Mentre i titoli dei giornali annunciano con enfasi “svolte epocali” e “miracoli scientifici”, chi vive quotidianamente con una paralisi spinale si trova ancora una volta a fare i conti con il divario tra l’entusiasmo mediatico e la realtà della ricerca scientifica.
La tecnica al centro del recente dibattito – una combinazione di stimolazione elettrica e riabilitazione intensiva – rappresenta senza dubbio un passo avanti nella comprensione dei meccanismi di recupero neurologico e i risultati pubblicati, frutto del lavoro di team di ricerca seri e competenti [se ne legga in calce, N.d.R.], meritano attenzione e approfondimento. Eppure, la distanza tra un protocollo sperimentale e una terapia accessibile a tutti rimane enorme, un dettaglio troppo spesso sacrificato sull’altare della notizia sensazionale.
Se da una parte, quindi, guardiamo ovviamente con grande interesse a ogni progresso scientifico, dall’altra, però, chiediamo che se ne parli con il necessario rigore. Quando infatti trasformiamo ipotesi di ricerca in certezze mediatiche, facciamo un torto sia alla scienza che alle persone che attendono risposte concrete. E la storia recente, purtroppo, offre numerosi esempi di questo fenomeno: dagli esoscheletri, presentati anni fa come soluzione imminente, e oggi ancora confinati in centri specializzati, alle terapie cellulari, che hanno suscitato speranze poi ridimensionate dalla complessità della ricerca clinica.
Il problema, dunque, non è nell’importanza delle scoperte scientifiche, ma nel modo in cui vengono comunicate. Titoli trionfalistici come Addio alla sedia a rotelle o La paralisi è sconfitta rischiano di creare aspettative irrealistiche in chi convive con una lesione midollare, per poi lasciare spazio a comprensibili delusioni, quando si scopre che i tempi della medicina sono ben diversi da quelli della cronaca. Ogni annuncio prematuro finisce per alimentare la cosiddetta “sindrome della speranza tradita” che tante persone con disabilità hanno già sperimentato sulla propria pelle.
Ma c’è poi un aspetto ancora più profondo che merita certamente attenzione ed è che la qualità della vita delle persone con lesioni midollari non dipende esclusivamente dai progressi della ricerca biomedica: accessibilità, inclusione lavorativa, assistenza adeguata, sostegno psicologico sono tutti elementi altrettanto cruciali che rischiano di passare in secondo piano, quando il dibattito si concentra esclusivamente sulla “cura miracolosa”.
In altre parole, non accettiamo che si parli delle persone con disabilità solo in termini di attesa di una soluzione medica: la nostra battaglia, infatti, è per una società che sappia includere tutti e tutte, qui e ora, indipendentemente dai progressi della ricerca.
La strada maestra, allora, sembra essere quella di un approccio equilibrato che sappia coniugare diversi elementi: l’entusiasmo per i progressi scientifici, che devono essere sostenuti e incoraggiati; la responsabilità nella comunicazione, che deve evitare facili trionfalismi; l’attenzione alle esigenze concrete delle persone con disabilità, che vanno ben oltre la sola dimensione medica. Perché se è vero che la scienza procede per piccoli passi, è altrettanto vero che ogni passo – purché comunicato con onestà e rigore – rappresenta un tassello importante nel lungo cammino verso soluzioni sempre più efficaci.
In questo senso, il ruolo dei media è cruciale: serve cioè un giornalismo scientifico capace di spiegare la complessità senza banalizzarla, di raccontare le speranze senza trasformarle in illusioni, di mantenere viva l’attenzione su una tematica che merita un dibattito serio e continuativo, non solo qualche titolo a caratteri cubitali in occasione dell’ultima pubblicazione.
Allo stesso tempo, le Istituzioni hanno il dovere di garantire risorse costanti alla ricerca e di lavorare parallelamente all’abbattimento di tutte quelle barriere fisiche, culturali e sociali che ancora limitano la piena partecipazione delle persone con disabilità.
La speranza, in fondo, non sta nell’annuncio “miracoloso” di turno, ma nella capacità di costruire un percorso condiviso in cui la comunità scientifica, i media, le istituzioni e le associazioni lavorino insieme con obiettivi chiari: avanzare nella ricerca, comunicare con responsabilità, migliorare concretamente la vita delle persone. Solo così potremo rendere realtà accessibili a tutti quelle che oggi sono ancora speranze.
*Presidente della FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Persone con Lesione al Midollo Spinale), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), nel quale coordina l’Osservatorio Inclusione e Accessibilità.
Il caso clinico cui si fa riferimentro nel presente contributo è stato pubblicato dalla rivista scientifica «Med – Cell Press», frutto di un lavoro condotto dal team multidisciplinare di MINELab, che vede coinvolti i medici, fisioterapisti e ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e dell’Università Vita-Salute San Raffaele, insieme ai bioingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
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