Realizzato dall’UICI di Torino, il progetto “Creatività inclusiva” ha fatto incontrare un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e alcune donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. I capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti, sia le detenute stesse

Carcere e disabilità sono mondi solo in apparenza lontani: in realtà hanno molto da dirsi. Ed entrambi, seppure con le ovvie differenze, sperimentano stereotipi, isolamento, difficoltà nell’essere visti e riconosciuti. È nato da questa consapevolezza il progetto Creatività inclusiva, realizzato dall’UICI di Torino (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), con il contributo della Fondazione CRT, iniziativa che ha reso possibile l’incontro tra un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e un gruppo di donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. Questi capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda molto particolare, che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti (la passerella è stata adattata con accorgimenti tattili per facilitare la mobilità autonoma), sia le detenute stesse. Le protagoniste, dunque, hanno seguito il lavoro per intero, dalla sartoria alla passerella. Gli abiti saranno poi venduti in un’asta benefica, il cui ricavato andrà a sostegno degli Enti coinvolti (tutte realtà del Terzo Settore).
Un progetto di tale complessità è stato possibile solo grazie a un grande lavoro di rete. Oltre infatti all’UICI di Torino, alla casa circondariale Lorusso e Cutugno e alla Fondazione CRT, che ha sostenuto l’iniziativa nell’àmbito del bando Tempo per una vita migliore, tante altre sono state le realtà coinvolte: la Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri, che coordina il progetto LEI (Lavoro, Emancipazione Inclusione), volto a favorire la crescita sociale e lavorativa fuori e dentro il carcere (un progetto cui afferiscono anche molte altre delle realtà coinvolte); l’Associazione EssereUmani, che all’interno del carcere organizza il laboratorio sociale e professionale Arione; la Cooperativa Patchanka, che gestisce la sartoria Il Gelso, con due unità di produzione, una all’esterno e una all’interno del carcere; il laboratorio orafo Forma e materia della Città di Torino, dove lavorano persone con disabilità psicofisiche e i cui monili sono stati indossati durante la sfilata; l’Associazione Mana che, attraverso il progetto Riflessi. Percorsi per rifiorire, propone laboratori di make up therapy rivolti a donne con disabilità vittime di violenza e che, per la sfilata, si è occupata del trucco degli indossatori e delle indossatrici.

Prezioso anche il coinvolgimento dell’Università di Torino, i cui allievi dei corsi in Servizio Sociale ed Educazione Professionale sono stati parte integrante dell’iniziativa.
Un ruolo insostituibile, infine, spetta alla stilista Aythya, progettista di moda che fonde pittura su seta e design, trasformando i capi in dipinti indossabili, cui si aggiungono – per questa esperienza – sensazioni tattili e profumi.
Altrettanto complessa è stata l’organizzazione del progetto. I mesi di marzo, aprile e maggio sono stati dedicati al lavoro sartoriale. Alcuni elementi degli abiti sono stati realizzati all’interno del carcere, dalle detenute che frequentano il citato laboratorio Arione e dalle donne con disabilità visiva, a loro volta portatrici di un’esperienza maturata in un progetto di cucito. Per gli elementi che invece hanno richiesto attrezzature e professionalità più specifiche, è entrata in gioco la sartoria Il Gelso.
Il 5 giugno, quindi, in occasione della sfilata conclusiva nel teatro della casa circondariale, dopo che detenute e persone con disabilità visiva hanno mostrato gli abiti in passerella, si è tenuto un talk, coordinato dal professor Paolo Bianchini dell’Università di Torino, con tutti i diretti protagonisti (indossatrici, indossatori e sarte), insieme a esponenti delle Istituzioni, sostenitori e attori coinvolti.
«I detenuti e le detenute vivono una separazione fisica, spesso lacerante, dal resto del mondo. Nel caso delle persone con disabilità, l’isolamento è meno marcato e forse meno evidente, ma permangono barriere e pregiudizi difficili da sradicare. Ecco perché questi due mondi, in apparenza lontani, hanno in realtà alcuni aspetti in comune – fanno notare, per l’UICI di Torino il presidente Gianni Laiolo e l’ideatrice del progetto Alessia Dall’Antonia –. Ma, al di là dei ruoli e delle categorie, esistono solo le persone. È stato bello e, per certi versi, commovente, notare come, fin dall’inizio del progetto, le donne detenute e le donne con disabilità visiva siano riuscite a interagire, con grande naturalezza, condividendo non solo il lavoro manuale, ma anche domande, riflessioni e aspetti delle loro vite. Facciamo tesoro di questa esperienza, per molti versi inedita, perché è un seme da custodire e far crescere». (L.M.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa UICI di Torino (Lorenzo Montanaro), ufficio.stampa@uictorino.it.
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