«È di queste ore – scrive Gianfranco Vitale – l’ennesima drammatica notizia di violenze commesse a danno di persone con disabilità in una comunità del Piemonte, che ha portato all’arresto di sette operatori sociosanitari e di uno psicoterapeuta. A questo punto è naturalmente fondamentale che ai responsabili di questi abusi siano comminate pene esemplari, ma è altrettanto urgente promuovere e allargare la riflessione, per indagare sulle cause strutturali che rendono possibili gli abusi stessi»

È di queste ore l’ennesima drammatica notizia di violenze commesse a danno di persone con disabilità in una comunità del Pinerolese (Luserna San Giovanni), a due passi da Torino. Qui si sono consumati atteggiamenti vessatori, intimidatori e di scherno sia a livello fisico che psichico. Tra le accuse, emerge anche quella di violenza sessuale nei confronti di uno degli ospiti.
Sette operatori socio sanitari e uno psicoterapeuta sono stati arrestati con l’accusa di maltrattamenti su persone con gravi disabilità intellettive e cognitive. Le indagini, iniziate lo scorso aprile, hanno permesso di portare alla luce episodi quotidiani di maltrattamenti, tra cui ingiurie, strattoni, schiaffi, percosse. Gli arrestati sono stati tutti sottoposti agli arresti domiciliari.
L’azione è stata condotta dai carabinieri del NAS: gli otto indagati lavoravano tutti in una comunità facente capo ad una cooperativa che gestisce molteplici strutture in Piemonte e in Lombardia. A carico di uno di loro, in particolare, pesa l’accusa – come detto – di violenza sessuale nei confronti di un ospite con disabilità, che sarebbe stato vittima di toccamenti e palpeggiamenti delle parti intime.
Nel corso dell’operazione, coordinata dalla procura di Torino, sono state eseguite anche sei perquisizioni. Il blitz è scattato in provincia di Torino e Cuneo. I Carabinieri del NAS di Torino (aiutati dai colleghi di Alessandria e dai militari dei Comandi Provinciali di Torino e Cuneo, coordinati dalla Procura della Repubblica di Torino) hanno mostrato agli indagati gli ordini di custodia cautelare e hanno proceduto a sei perquisizioni domiciliari.
Già il 17 aprile i Varabinieri avevano tratto in arresto 3 operatori. Le indagini avrebbero consentito di svelare le condotte abituali tenute nei confronti degli ospiti con disabilità, sottoposti a gravi umiliazioni e violenze fisiche, psicologiche e verbali.
La vicenda riaccende i riflettori sulla necessità improrogabile di un’intensificazione dei controlli e di una vigilanza costante all’interno delle strutture che accolgono persone vulnerabili. Ne ha consapevolezza la ministra Locatelli, che bene farebbe a promuovere periodicamente ispezioni a campione, anziché vivere solo di passerelle mediatiche? Ne hanno consapevolezza le Associazioni, soprattutto quelle che si autodefiniscono “rappresentative”, che rimangono silenti trecentosessantaquattro giorni all’anno, e silenti resteranno, se ne può essere certi, anche in questa occasione, senza assumere alcuna iniziativa?
A questo punto è naturalmente fondamentale che ai responsabili di questi abusi siano comminate pene esemplari, senza sconti, ma sarebbe altrettanto urgente promuovere e allargare la riflessione, per indagare sulle cause strutturali che le rendono possibili.
Da tempo si parla di un sistema basato su personale non sufficientemente formato, mal pagato, spesso troppo scarso rispetto al numero di ospiti, costretto a turni massacranti e a condizioni di lavoro logoranti che portano all’esaurimento fisico e mentale. Tutto questo mentre le famiglie, o lo Stato, pagano cifre elevatissime: tra i 5.000 e 10.000 euro al mese per ogni ospite, a seconda delle necessità assistenziali. Ma chi controlla davvero come vengono spesi questi soldi? Chi verifica concretamente la qualità della vita all’interno delle strutture? Come operano in concreto i Servizi presenti sul territorio? Che ruolo hanno le Associazioni di familiari? Chi ascolta le famiglie quando denunciano situazioni di abuso o maltrattamento?
È giusto e necessario che i responsabili vengano puniti, su questo non ci sono dubbi. Tuttavia, se non cambiamo in modo profondo il sistema di gestione e controllo, tra qualche tempo ci troveremo a leggere notizie simili in un’altra comunità. E, come sempre, a subirne le conseguenze saranno i più fragili. Le è chiaro tutto ciò, signora Locatelli?
Oltre ai problemi strutturali già citati, va considerato anche un altro aspetto inquietante, che vede protagoniste in negativo tante famiglie le quali, soprattutto per paura di essere ricattate, non denunciano in modo deciso gli abusi, nonostante i segni di maltrattamenti siano spesso visibili sul corpo dei loro figli. C’è in queste famiglie un atteggiamento di passività, che a volte rasenta la complicità. Alcuni familiari, addirittura, arrivano a criticare chi trova il coraggio di parlare, salvo poi indignarsi pubblicamente sui social.
Torna d’attualità la richiesta di installare un idoneo sistema di telecamere all’interno delle strutture, ma ci si dimentica non solo che le telecamere non possono essere installate ovunque, ma che i malfattori troverebbero sicuramente i modi e gli spazi, sapendo della loro esistenza, per eludere la vigilanza. A mio parere il sistema di videocontrollo va installato all’insaputa di tutti (tra parentesi è quello che è avvenuto a Luserna San Giovanni!). Sembra un’affermazione scontata, ma probabilmente non lo è affatto.
Anni fa anche mio figlio Gabriele ha trascorso alcune settimane nella comunità di Luserna. Oggi vive in un’altra struttura, situata a Torino, ma anch’essa gestita dalla stessa cooperativa che ora è al centro delle indagini della magistratura.
La mia speranza è che finalmente vengano puniti i veri responsabili di questi atti vergognosi e crudeli. E sottolineo: i responsabili, perché non ho intenzione di generalizzare né di accusare indiscriminatamente tutti. Mi auguro che, una volta chiarite le responsabilità, non vengano colpiti solo i “pesci piccoli”, ma anche – e soprattutto – quelli che stanno più in alto, che troppo spesso riescono a farla franca grazie a protezioni e scorciatoie.
E voglio lanciare un ultimo forte appello alle famiglie: non lasciamoci intimidire! Come vedete a scrivere questo articolo è un padre come me, il cui figlio è ospite in una delle strutture gestite proprio dalla cooperativa finita sotto inchiesta. Ho 76 anni e non ho paura di esprimere il mio sdegno per questa orribile situazione. Continuerò a difendere i diritti di mio figlio – e di tutte le persone autistiche come lui – anche se in passato ho ricevuto più volte pressioni e ricatti da parte della cooperativa: mi è stato chiesto di ritirare Gabriele, e recentemente sono arrivate perfino minacce di portarlo in Pronto Soccorso per un TSO [Trattamento Sanitario Obbligatorio, N.d.R.], senza alcuna reale motivazione che giustificasse un intervento così grave e traumatico.
Non dobbiamo temere chi usa il ricatto e la minaccia come strumenti di controllo. Persone così, sul piano umano e morale – e non solo – sono, nel migliore dei casi, dei miserabili falliti.
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