Mettere insieme saperi e teste diverse, per rispondere ai reali bisogni degli attori della vita di cura: forse è stata proprio questa la principale valenza del convegno di Roma “Cecità e Sordità tra ricerca, educazione, tecnologia”, rivolto a oculisti, audiologi, educatori e, in generale, a chi fosse interessato a comprendere le disabilità sensoriali, per rendere efficace la comunicazione e personalizzata la cura delle persone sorde e cieche

Come segnalato anche su queste pagine, si è tenuto il 20 e 21 giugno a Roma, presso il Dipartimento Organi di Senso del Policlinico Umberto I-Università La Sapienza, il convegno Cecità e Sordità tra ricerca, educazione, tecnologia, rivolto a oculisti, audiologi, educatori e, in generale, a chi fosse interessato a comprendere le disabilità sensoriali, per rendere efficace la comunicazione e personalizzata la cura delle persone sorde e cieche.
Il programma delle due giornate si presentava intensissimo, con relatori appartenenti a campi diversi, dall’area clinica di numerosi Atenei italiani a quella filosofica, dalla pedagogia alle neuroscienze, dagli specialisti della riabilitazione agli esperti delle tecnologie assistive, dai responsabili dei progetti sociali a liberi professionisti, da icone della tiflologia a giovani pedagogisti impegnati nella ricerca o sul piano concreto delle attività sportive. E forse è stata proprio questa la principale valenza dell’incontro, caratteristica ormai rara in questi eventi: mettere insieme saperi e teste diverse, per rispondere ai reali bisogni degli attori della vita di cura.
Il convegno è stato organizzato dall’Associazione Suoni e Immagini per vivere la cui presidente è l’instancabile Ersilia Bosco, psicologa clinica e psicoterapeuta. Il clima sereno, i linguaggi “piani” dei relatori hanno offerto i percorsi che la ricerca, la medicina, la psicologia e la pedagogia hanno fatto nell’àmbito di due settori estremamente complessi, quali la cecità e la sordità, portati su un binario che attraversando mondi diversi, ha permesso di evidenziare la necessità di conoscerli e approfondirli entrambi, senza dare nulla per scontato né sul piano clinico né su quello pedagogico educativo.
Spesso, troppo spesso, infatti, e anche in àmbiti istituzionali, si dà per scontato che chi ne sa di disabilità sensoriale sia esperto in tutti i campi in cui questa si presenta, e che chi ha fatto un “buon corso di formazione”, magari biennale o con numerosi Crediti Formativi Universitari (CFU) specifici, sappia tutto ciò che è necessario sapere. Non è così. La formazione, soprattutto per ciò che concerne tutti i “mestieri” di cura, non può e non deve essere una tantum, magari a monte, valida per tutta la vita.
Questa full immersion, dunque, è riuscita a dare risposte molteplici, spunti di riflessione, indicazioni di percorsi possibili ad una platea molto variegata: studenti, dottorandi, esperti, assistenti, docenti specializzati e non. Un plauso va a tutti, alla dottoressa Bosco, che ha immaginato il percorso e individuato “gli esperti”, ai relatori perché, consapevoli che l’ampia platea era caratterizzata da bisogni di apprendimento molto diversi, hanno adottato snellezza e accessibilità nel linguaggio, utilizzando tuttavia scientificità e divulgabilità delle “informazioni”, nonché a tutti i presenti che, nonostante i tempi di marcia “teutonici”, hanno prestato orecchie attente a soddisfare un proprio bisogno.
Un grazie va anche allo scultore Felice Tagliaferri, che ci ha offerto la possibilità di “toccare dal vero” alcune sue opere e a Francesco Paparozzi e ai suoi raffinati acquarelli.
Lo stare in presenza, il vivere insieme questo tipo di esperienze formative non è sostituibile, a mio parere, da nessuna videoconferenza. Fa parte di quell’aspetto emotivo profondamente umano che, nonostante gli individualismi sempre più diffusi, connota ogni progresso umano.
Mi auguro, in conclusione, che gli atti del convegno siano pubblicati a breve e possano suggerire ulteriori iniziative.
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