Giuseppe D’Angelo dell’UTIM (Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva) risponde al contributo di Simona Lancioni, da noi pubblicato con il titolo “Quali fondamenti giuridici avrebbe l’istituzionalizzazione?”, scrivendo tra l’altro: «Condividiamo certamente l’obiettivo di garantire la massima autonomia possibile, ma occorre tenere presente anche le esigenze di chi non può autodeterminarsi, combinando “vita indipendente” e bisogni di protezione in forma ragionevole e proporzionata ai bisogni di ciascuno»
In riferimento al contributo di riflessione di Simona Lancioni da noi pubblicato con il titolo Quali fondamenti giuridici avrebbe l’istituzionalizzazione?, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo la seguente replica dell’UTIM (Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva), a firma di Giuseppe D’Angelo.
Gentile Simona Lancioni, abbiamo letto con interesse la sua sollecitazione Quali fondamenti giuridici avrebbe l’istituzionalizzazione? pubblicata da Superando.
La domanda del suo titolo, per certi versi provocatoria, ci consente di riportare al centro del dibattito la realtà – spesso semplificata – delle persone con disabilità intellettiva e/o autismo, in particolare di quelle in condizione di gravità (o con necessità di sostegno elevato o molto elevato, secondo le nuove disposizioni del Decreto Legislativo 62/24).
Innanzitutto, è indubbio che nell’ordinamento italiano la residenzialità sia prevista e normata. In primis i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ulteriormente declinati dalle Regioni, fissano prestazioni anche residenziali, garantite dal Servizio Sanitario Nazionale; per le persone con disabilità e autonomia nulla o limitata, le ASL coprono in genere il 70% della retta, con il resto a carico del Comune e/o dell’utente, in funzione dell’attestazione ISEE.
Ma questa prima risposta, seppure necessaria, non è sufficiente. Occorre considerare anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata con la Legge 18/09) che riconosce a tutti il diritto di «vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone», diritto fondato in particolare sui principi di “autodeterminazione” e “vita indipendente”.
Tuttavia, riteniamo necessario evidenziare che il testo della Convenzione appare orientato e pensato soprattutto per chi (e da chi) può esprimere una volontà, almeno in parte, autonoma (disabilità fisico-sensoriali o intellettive lievi). Quando però la capacità di agire (articolo 2 del Codice Civile) è compromessa in modo significativo, una lettura letterale del testo rischia di produrre l’effetto contrario: l’obbligatoria “libertà di scelta” diventa abbandono, se mancano sostegni qualificati.
In queste situazioni la vita indipendente andrebbe declinata diversamente, traducendosi in contesti residenziali protetti, certamente di piccole dimensioni e inseriti nel normale tessuto sociale, in grado di garantire oltre alla sicurezza, dignità e qualità di vita.
La struttura di Luserna San Giovanni (Torino), attenzionata nei giorni scorsi dalle cronache per le violenze nei confronti di persone con disabilità, prevede ad esempio 41 utenti e per quanto si evince dai mezzi di informazione, la metà di essi incapaci di provvedere a se stessi e di autodifendersi. Per loro l’“indipendenza” è un ossimoro senza un supporto continuativo: non si tratta di scegliere tra “istituto” e appartamento, bensì di garantire protezione continua in luoghi che siano vere case e non “istituti” mascherati.
La nostra “battaglia” mira dunque innanzitutto a superare i modelli segreganti che ledono la dignità della persona, inibiscono le normali relazioni e favoriscono abusi, chiedendo principalmente il superamento definitivo delle strutture istituzionalizzanti, promuovendo solo piccole comunità a carattere familiare (massimo 8 posti letto, più 1 o 2 di pronta accoglienza o tregua), integrate nel tessuto sociale e soprattutto non accorpate fra loro; tale richiesta va unita all’abrogazione delle norme che consentono l’accreditamento di strutture ghettizzanti di grandi dimensioni, nonché alle altre richieste richiamate nel nostro precedente contributo pubblicato da Superando [“Quegli episodi di violenza sono il risultato di un sistema che necessita di un intervento urgente e radicale”, N.d.R.].
Insomma, condividiamo certamente l’obiettivo di garantire la massima autonomia possibile, ma occorre tenere presente anche le esigenze di chi non può autodeterminarsi, combinando “vita indipendente” e bisogni di protezione in forma ragionevole e proporzionata ai bisogni di ciascuno.
A nostro avviso servono riforme pragmatiche nel rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone con disabilità, fondate su soluzioni di qualità, obbligatorie e uniformi sul territorio, evitando approcci ideologici che rischiano di penalizzare proprio le persone con disabilità più deboli.
*Per UTIM (Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva), info@utim-odv.it.
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