Non solo “matrimoni da favola”!

Di Amazon, in queste settimane, non si sono occupate solo le cronache dedicate alle nozze “da favola” di Jeff Bezos, fondatore, proprietario e presidente della più grande società di commercio elettronico al mondo, ma è stata anche la testata «The Guardian», che ha pubblicato un ampio servizio dal significativo titolo “I lavoratori con disabilità di Amazon in posizioni aziendali denunciano una ‘discriminazione sistemica’”. Accuse tutte seccamente respinte da Amazon. Vediamo di cosa si parla

Ad occuparsi nelle scorse settimane di Amazon non sono state solo le cronache “ipertrofiche” dedicate alle nozze “da favola” di Jeff Bezos, fondatore, proprietario e presidente della più grande società di commercio elettronico al mondo, ma è stata anche la nota testata «The Guardian», che ha pubblicato un ampio servizio dal significativo titolo Disabled Amazon workers in corporate jobs allege ‘systemic discrimination’ ossia “I lavoratori con disabilità di Amazon in posizioni aziendali denunciano una ‘discriminazione sistemica’”. Vediamone in sintesi i contenuti.

Elaborazione grafica realizzata da Amazon dedicata ai propri dipendenti con disabilità
Un’elaborazione grafica realizzata da Amazon dedicata ai propri dipendenti con disabilità

In sostanza, i lavoratori con disabilità di Amazon hanno accusato l’azienda di reprimere in modo aggressivo i loro tentativi di organizzarsi, oltreché di utilizzare sistemi di intelligenza artificiale che non sarebbero conformi alle leggi statunitensi sulla disabilità. In particolare, l’azienda stessa avrebbe respinto le richieste di agevolazioni per il personale con disabilità in modo “automatico” o “semi-automatico”, oltre a rimuovere ripetutamente messaggi e anche una petizione da una chat di gruppo (canale Slack) dei dipendenti. In tal senso, il 31 maggio scorso una lettera di ben 33 pagine era stata inviata a nome di un gruppo di oltre 200 lavoratori con disabilità ai dirigenti, tra cui l’amministratore delegato di Amazon, Andy Jassy, sostenendo che il gruppo fosse sostanzialmente fuori linea con i requisiti federali previsti dall’ADA (Americans with Disabilities Act), la nota Legge statunitense del 1990 sui diritti civili, che tutela le persone dalla discriminazione basata sulla disabilità.
In particolare, nella lettera venivano citate le imposizioni di rientro sul luogo di lavoro per persone con disabilità alle quali in precedenza era stato consentito di lavorare da casa, in base a raccomandazioni mediche, oltre al fatto che gli adattamenti sugli stessi luoghi di lavoro fossero guidati da processi di intelligenza artificiale non in linea con la citata Legge ADA.

«La discriminazione sistemica, le ritorsioni e le carenze politiche qui documentate – concludeva la lettera – non solo violano l’ADA, ma erodono anche la fiducia, danneggiano la salute individuale e compromettono l’integrità dell’azienda. Abbiamo anche condotto sondaggi interni, dai quali è emerso che il 93% degli intervistati con disabilità ha affermato che le politiche attuali li hanno danneggiati, mentre un altro 71% ha affermato che più della metà delle loro richieste di adattamento del posto di lavoro era stata respinta o non era stata soddisfatta, e il 92% ha segnalato la mancanza di una procedura di adattamento del posto di lavoro accessibile. Chiediamo dunque un’azione immediata per riformare queste politiche, promuovere un ambiente di lavoro realmente inclusivo e tutelare i diritti di tutti i dipendenti». E quest’ultima richiesta è stata anche la sostanza di una petizione pubblica presentata successivamente ai dirigenti di Amazon.
«The Guardian», infine, riferisce dettagliatamente anche di quello che sarebbe stato il licenziamento immediato di un dipendente con disabilità leader di una campagna per i diritti dei lavoratori con disabilità, riportando inoltre altre storie di quelle che sarebbero comprovate discriminazioni.

Ma come ha replicato Amazon? Non ha negato la rimozione dei messaggi dalla chat di gruppo dei lavoratori, affermando che «quei messaggi violavano la politica aziendale sull’utilizzo dei sistemi elettronici di Amazon a fini di sollecitazione». Ha tuttavia «contestato le affermazioni secondo cui avrebbe attuato ritorsioni nei confronti dei dipendenti che avevano cercato di organizzarsi su questioni sindacali», affermando seccamente, tramite un portavoce, che «Amazon rispetta il diritto dei dipendenti a organizzarsi e non interferisce con tali diritti. Non discriminiamo né adottiamo ritorsioni nei confronti dei dipendenti che partecipano ad attività sindacali».
Commentando poi i sondaggi interni sui lavoratori con disabilità, citati in precedenza, l’azienda ha parlato di «un numero limitato di dipendenti non verificati», che non avrebbero quindi rispecchiato l’opinione di tutte le persone con disabilità. Ha affermato inoltre che il proprio team dedicato ai servizi per la disabilità e ai congedi «garantisce che i dipendenti abbiano accesso ad agevolazioni e adattamenti e che le decisioni siano “guidate dall’empatia”», negando quindi che «l’intelligenza artificiale sia stata utilizzata per processi decisionale riguardanti le agevolazioni ai dipendenti con disabilità».

Versioni, quindi, praticamente opposte, di cui prendiamo atto, ma situazioni che richiedono certamente un alto livello di attenzione, specie in un momento come quello attuale, vissuto negli Stati Uniti, di oggettivo arretramento sul fronte dei diritti. (Stefano Borgato)

Ringraziamo Giovanni Merlo per la segnalazione.

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