«Esprimo la mia vicinanza a Stefania Stellino, mamma di due persone autistiche con bisogni estremamente differenti – scrive Vincenzo Falabella, presidente della Federazione FISH -, per la sua testimonianza cruda e autentica di cosa significhi vivere quotidianamente accanto a una disabilità complessa. Le sue parole raccontano la realtà di tante famiglie lasciate sole, senza risposte adeguate, senza un sostegno reale, con un carico fisico, emotivo e psicologico immenso»

In qualità di presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), non posso che esprimere la mia più profonda e sincera vicinanza a Stefania Stellino, mamma di due persone autistiche con bisogni estremamente differenti, e figura attiva nella rappresentanza delle famiglie all’interno dell’ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Genitori di perSone Autistiche).
Le parole che Stefania ha scelto di condividere pubblicamente su queste stesse pagine di Superando [“Le sofferenze delle famiglie raccontate senza tabù, al di là degli articoli e dei commi”, N.d.R.] non sono solo uno sfogo, ma una testimonianza cruda e autentica di cosa significhi vivere quotidianamente accanto a una disabilità complessa. Sono parole difficili da leggere, a tratti dolorose, ma assolutamente necessarie. Perché raccontano quella realtà che troppo spesso viene ignorata o silenziata: la realtà di tante famiglie lasciate sole, senza risposte adeguate, senza un sostegno reale, con sulle spalle un carico fisico, emotivo e psicologico immenso.
Chi vive l’autismo – e in particolare l’autismo più severo, profondo, complesso – sa bene quanto sia distante la narrazione edulcorata, spesso spettacolarizzata, che vede protagonisti esempi di “autismo performante”. Eppure quella narrazione tende ad oscurare tutte le altre, rischiando di fare apparire inopportune o “scomode” le richieste di aiuto delle famiglie che non ce la fanno più. Quelle che ogni giorno affrontano aggressività, ossessioni, crisi, mancanza di sonno, isolamento sociale, rinunce quotidiane, compromissioni profonde del proprio equilibrio familiare e personale.
A queste famiglie, come quella di Stefania, va il nostro sostegno più totale. E con loro condividiamo la richiesta di attenzione, ascolto e cambiamento.
Spesso si parla di deistituzionalizzazione come di un obiettivo assoluto e non negoziabile, dimenticando che ogni principio, anche il più giusto e fondato, ha bisogno di confrontarsi con la complessità delle situazioni reali. Quando si afferma in modo perentorio che «le strutture non devono esistere», si rischia di trasformare un’istanza etica in un dogma ideologico che non tiene conto delle condizioni di vita al limite della sopportazione che molte famiglie affrontano ogni giorno. La verità è che non ci può essere una soluzione unica per tutte le situazioni: ogni percorso deve essere costruito ascoltando i diretti interessati, a partire da chi vive sulla propria pelle la fatica quotidiana della disabilità. Forse dovremmo tutti fermarci un momento prima di giudicare, prima di sentenziare cosa sia giusto o sbagliato, e provare a metterci nei panni – spesso logori e senza ricambio – di chi non ha alternative, se non quelle che qualcuno ha deciso di non considerare nemmeno ammissibili. L’ideale, quando non è accompagnato da risposte concrete, rischia di diventare una condanna per chi non può scegliere.
Concordo pienamente con quanto affermato da Stefania Stellino: è troppo semplice parlare dall’esterno, citare leggi e commi senza mai avere vissuto, nemmeno per un giorno, la fatica e la paura che accompagna la disabilità complessa. La normativa – che pure conosciamo bene e difendiamo con forza – resta lettera morta se non si accompagna a un cambiamento culturale profondo, a una reale capacità di “metterla a terra”, come giustamente dice Stefania. Non basta più l’enunciazione dei diritti, serve renderli esigibili.
Le famiglie non chiedono pietà né scorciatoie: chiedono soluzioni. E soluzioni che siano flessibili, personalizzate, sostenibili e realmente costruite con loro, non per loro. Chiedono che il Progetto di Vita, così come delineato dalla Legge 328/00 e ora ulteriormente specificato dal Decreto Legislativo 62/24, non sia solo un documento burocratico, ma un percorso condiviso, costruito nel tempo, che non lasci nessuno indietro. Che non costringa a scegliere chi “sacrificare di più”, ma che metta ogni individuo, ogni famiglia, nella condizione di vivere con dignità.
Come Federazione continueremo a farci portavoce di queste istanze, e saremo al fianco di tutte le famiglie che, come quella di Stefania Stellino, vivono sulla propria pelle una condizione di solitudine, incertezza, spesso anche paura. Continueremo a chiedere una riforma vera dei servizi, che metta al centro non solo la persona con disabilità, ma l’intero nucleo familiare, riconoscendone il ruolo, i bisogni e il diritto a una qualità di vita dignitosa.
Alle Istituzioni chiediamo coerenza tra le dichiarazioni e le azioni, tra i diritti sanciti e i servizi offerti. E chiediamo soprattutto di ascoltare di più chi vive la disabilità tutti i giorni. Non con commiserazione, ma con il rispetto che si deve a chi ha competenze maturate nel fuoco dell’esperienza. Perché, come ha scritto Stefania, e come condividiamo profondamente: non si può comprendere davvero l’autismo complesso senza viverlo. Ma si può, e si deve, scegliere di ascoltare con il cuore chi lo racconta.
E allora, davvero, fermiamoci un momento a leggere queste testimonianze non solo con gli occhi, ma con l’anima. Perché solo così potremo iniziare a costruire un sistema più giusto, più umano, più vicino alla realtà.
*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
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