Il tirocinio come buona pratica

di Marino Bottà*
Nonostante tutte le contraddizioni che porta in sé, quella del tirocinio resta comunque la migliore buona prassi a favore delle persone con disabilità, soprattutto per chi presenta problematicità di accesso al mondo del lavoro. Se è mirato e ben condotto, infatti, il tirocinio porta sempre al successo, a prescindere dal tipo di disabilità. Se ne occupa Marino Bottà, nel presente approfondimento

Persona con disabilità al lavoroNelle ultime settimane le Commissioni competenti del Parlamento Europeo hanno iniziato una discussione sul tema dei tirocini, strumento ampiamente utilizzato in Italia come rapporto di lavoro regolare a basso costo. Si tratta di un tema particolarmente interessante per il nostro Paese, in quanto viviamo in un parziale vuoto normativo, perché riguarda circa 300.000 giovani e anche perché, nonostante tutte le contraddizioni che porta in sé, resta comunque la migliore buona prassi a favore delle persone con disabilità, soprattutto per chi presenta problematicità di accesso al mondo del lavoro. Il tirocinio extracurricolare, infatti, è un indiscutibile ed efficace strumento di formazione al lavoro, e spesso è un’indispensabile premessa per un rapporto di lavoro regolare.

Esistono due tipologie di tirocini: il tirocinio curriculare e quello extracurriculare. Il primo consiste in un’attività formativa integrata nel percorso di studi (scuola superiore, università, master ecc.) e ha lo scopo di offrire un’esperienza di lavoro in un contesto coerente con il corso di studi. In sostanza, un’esperienza di alternanza tra la formazione teorica scolastica e quella pratica delle imprese.
Il tirocinio extracurriculare, invece, consiste in un’attività formativa/lavorativa rivolta ai giovani che hanno terminato il percorso scolastico e agli adulti che sono alla ricerca di una occupazione. Ha quindi lo scopo di favorire l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro, attraverso l’acquisizione di nuove competenze. Le norme di riferimento sono nazionali (Linee Guida definite dalla Conferenza Stato-Regioni con l’Accordo del 25 maggio 2017 e il Decreto Legislativo 81/15) e regionali. Ogni Regione ha leggi proprie e regolamenti che disciplinano l’attivazione, la durata, l’indennità minima obbligatoria, i soggetti promotori, i soggetti ospitanti ecc.
L’attivazione di un tirocinio extracurriculare presuppone una convenzione e un progetto personalizzato. Deve poi essere inviata una comunicazione obbligatoria al Centro per l’Impiego competente per territorio.
La convenzione dev’essere sottoscritta dal soggetto ospitante, dall’ente accreditato promotore, e dalla persona interessata. In essa vengono inoltre declinati: i nominativi dei tutor dell’ente promotore e dell’azienda ospitante, i riferimenti delle assicurazioni INAIL e RC (Responsabilità Civile), il compenso economico (borsa lavoro) e la durata del tirocinio.
Di norma l’esperienza non può durare oltre i 24 mesi. Fanno eccezione quei tirocini che hanno finalità risocializzanti occupazionali ecc. Il tirocinio prevede, come detto, un compenso economico (borsa lavoro), di norma finanziato da un servizio pubblico, da una fondazione o altro, erogato dall’ente promotore. Nulla vieta all’azienda di farsene carico.

Vista la finalità formativa, l’inserimento deve essere mirato. È pertanto necessario procedere attraverso una valutazione attenta del potenziale lavorativo della persona, e tramite una corretta analisi del contesto lavorativo e della mansione. In caso contrario, il tirocinio, non solo si rivelerà inutile, ma potrà causare ulteriori difficoltà per un successivo inserimento. Non dimentichiamo mai il concetto: «La persona giusta al posto giusto», base su cui fondare qualsiasi esperienza lavorativa.
I tirocini possono avere differenti finalità: formative, lavorative, occupazionali, riabilitative. Vediamole di seguito.
° Il tirocinio formativo è rivolto alle persone che necessitano di una formazione al lavoro finalizzata all’orientamento, per ampliare le abilità e approfondire le competenze acquisite o per apprendere nuove professionalità.
° Il tirocinio lavorativo è da considerarsi come un’iniziale esperienza presso l’azienda interessata ad una successiva assunzione.
° Il tirocinio occupazionale si rivolge alle persone che, pur esprimendo un bisogno lavorativo, non possono aspirare a breve ad un rapporto contrattuale regolare, nemmeno in àmbiti protetti (Cooperative Sociali di tipo B).
° Il tirocinio riabilitativo serve a sostenere il recupero psichico e/o fisico dopo un evento invalidante. Un’esperienza lavorativa positiva è sempre un’efficace terapia di sostegno!
° Il tirocinio di adozione lavorativa è uno strumento alternativo all’esonero o all’impossibilità dell’azienda di trovare un lavoratore idoneo. L’azienda, anziché ricorrere all’esonero (articolo 5 della Legge 68/99), sostiene l’inserimento lavorativo di una persona particolarmente fragile, erogando circa 10.000 euro ad un servizio accreditato al lavoro, che la prenderà in carico.
È bene precisare che le norme vigenti non prevedono l’obbligatorietà dell’assunzione al termine del tirocinio, e tuttavia alcune Province stabiliscono che si debba concludere con un contratto a termine. Questo non sarebbe in sé negativo, ma di fatto spinge le aziende a scegliere candidati “abili” anche per i tirocini, precludendo così la possibilità a chi è in attesa da anni di avere un’opportunità lavorativa. Al contrario, il tirocinio dovrebbe essere utilizzato solo da chi presenta particolari complessità di inserimento.

Se ben condotto, il tirocinio porta sempre al successo, a prescindere dal tipo di disabilità (cognitiva, mentale, sensoriale ecc.): se è mirato e ben monitorato da un tutor competente avrà sicuramente un esito positivo. Purtroppo, il monitoraggio “in dissolvenza” del tutor, l’affiancamento sulla postazione di lavoro, e il monitoraggio post-assunzione, sono stati sostanzialmente “dimenticati”, se è vero che oggi nessun ente se ne fa carico, cosicché sin troppo spesso, dopo la presentazione iniziale, il tirocinante e l’azienda ospitante vengono dimenticati a se stessi, causando il più delle volte un fallimento programmato.

È anche importante chiarire che il tirocinio in sé non preclude la possibilità di continuare a percepire le pensioni di invalidità. Bisogna però avere la cura di non superare il limite di reddito, stabilito e aggiornato annualmente dall’INPS (per l’invalidità totale il limite è di 19,461 euro, per l’invalidità parziale 5.725 euro, mentre l’indennità di accompagnamento – è sempre bene ribadirlo – non è soggetta ad alcun limite). Si ricorda inoltre che ogni compenso economico viene calcolato sul lordo e non sul netto percepito, e nel caso di superamento dei limiti stabiliti, l’interessato deve dare immediata comunicazione all’INPS.

A volte le famiglie non sono disponibili ad accettare una proposta di tirocinio; personalmente non concordo, in quanto è sempre meglio che restare in casa ed è utile per acquisire un’identità personale e un ruolo sociale, consentendo alla persona di sentirsi uguale agli altri, nonché di contribuire all’economia familiare. Il lavoro, infatti, offre opportunità di socializzazione ed è soprattutto una buona ragione per alzarsi l’indomani!

*Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco, oggi direttore generale dell’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) (marino.botta@andelagenzia.it).

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