Trentacinque anni, due lauree, una grave compromissione visiva dalla nascita e una passione sconfinata per l’opera lirica: la musicologa Paola Labarile è la prova concreta che, se accompagnata da strumenti adeguati e da un contesto culturale disponibile a valorizzare le differenze, la disabilità visiva può convivere con l’eccellenza. Anzi, può diventare parte integrante di un sapere e di una sensibilità unici, in grado di restituire alla musica – e a chi la racconta – tutta la sua forza evocativa

Trentacinque anni, due lauree e una passione sconfinata per l’opera lirica: Paola Labarile è una musicologa originaria di Matera che ha saputo trasformare il suo amore per la musica in una vocazione, e la sua condizione visiva in un punto di partenza per un percorso culturale e professionale di rara intensità. A ispirarla sin dall’infanzia è stato il professor Francesco Niglio, il suo “padrino di battesimo”, che a due anni e mezzo le fece ascoltare le parafrasi lisztiane dal Rigoletto, spiegandole che il quartetto verdiano era costituito da quattro voci distinte. Da quel momento, l’opera diventò una presenza costante nella sua vita, così come l’amore per la Grecia classica e la letteratura.
Nonostante una grave compromissione visiva dalla nascita – causata da un distacco retinico dovuto all’ossigenazione in incubatrice –, Paola non ha mai voluto percorsi scolastici differenziati. Dopo il liceo classico, affrontato con insegnanti di sostegno preparate in latino e greco, si è laureata prima in Lettere Classiche a Bari, e poi in Musicologia a Cremona, con una tesi sul Macbeth di Verdi. Studiare testi in latino e greco senza poterli leggere in autonomia l’ha costretta ad affinare un metodo di studio rigoroso, basato sull’ascolto e sulla memoria. All’università ha sostenuto gli esami orali con grande preparazione, sorprendendo persino i docenti con la sua capacità di tradurre al volo interi brani letti a voce.
A Cremona, dove ha potuto frequentare la Facoltà di Musicologia solo in forma parziale a causa della mancanza di corsi di autonomia per ciechi in Basilicata, Paola ha trovato insegnanti disponibili e attenti, capaci di individuare soluzioni inclusive. Esami complessi come Armonia e Analisi Musicale sono stati adattati alla forma orale, e le lezioni le sono state registrate direttamente dai docenti.
Per compensare l’assenza di tutor, poi, Paola ha studiato via Skype con colleghe che le leggevano libri, spartiti, appunti. Le sue competenze le ha conquistate “con le unghie”, come ama dire, superando pregiudizi e diffidenze. Anche quando il suo relatore, il professor Fabrizio Della Seta, le spiegò con sincerità che, non potendo leggere spartiti manoscritti, non avrebbe potuto curare un’edizione critica, Paola accolse quella verità con realismo, senza vittimismi. «Non mi sono sentita esclusa – racconta – perché non sarebbe stato onesto farlo al posto di qualcun altro».
Dopo la laurea, ha cominciato a collaborare con l’Associazione Opera Mundus e con la testata musicale «Opera Libera», recensendo opere e intervistando cantanti lirici. Un ringraziamento particolare lo rivolge al Teatro Petruzzelli di Bari, presso cui ha anche frequentato un tirocinio curricolare universitario, che le ha sempre fornito le note di regia per permetterle di scrivere recensioni complete. Non meno significativa è la sua esperienza con Slash Radio, la web radio dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), dove con grande professionalità e competenza conduce la rubrica mensile Ti porto all’opera, in cui racconta le trame delle grandi opere liriche e ne propone l’ascolto guidato.
Lavorare al microfono, dice, è una delle sue aspirazioni: «Se non vedo, va bene. Ma la mia voce può essere un punto di forza».
La radio non è solo un mezzo tecnico, ma una forma di espressione che Paola coltiva con rigore e passione. Ogni puntata è preparata con scrupolo, tra ascolti, letture, consultazioni di testi in formato audio realizzati dal Centro del Libro Parlato.
La trasmissione che più l’ha segnata, tuttavia, è stata La Barcaccia di Enrico Stinchelli e Michele Suozzo su Rai Radio 3, che le ha fatto conoscere l’opera in maniera analitica e appassionata. «La Barcaccia per me non è stata una semplice trasmissione – racconta – ma una fonte di studio e nutrimento. È grazie ad essa se ho deciso di iscrivermi a musicologia. Il maestro Stinchelli, al quale mi lega una profonda amicizia, oltre ad essere stato un mentore. mi ha anche seguita nel lavoro di tesi».
Al suo attivo Paola ha anche un secondo posto al Premio Letterario Internazionale Thrinakìa, collaborazioni con festival e istituzioni culturali, e il desiderio mai sopito di continuare a raccontare l’opera, magari un giorno proprio dalla radio. Il suo approccio non è mai stato quello della rivendicazione sterile, ma della competenza conquistata. Non ha mai imparato il Braille musicale – giudicato troppo macchinoso rispetto alla possibilità, anche minima, di leggere lo spartito con un residuo visivo – e sogna oggi progetti alternativi che sfruttino l’intelligenza artificiale per rendere la notazione musicale accessibile in altri modi. Nel 2016 ha anche iniziato lo studio della lingua tedesca.
Dietro la sua determinazione non c’è solo passione, ma anche una riflessione più ampia sul tempo, la lentezza, il valore dell’ascolto e della scrittura. Paola ama le lettere, anche digitali, e usa ancora la mail con cura e attenzione. Si definisce una “grafomane” che preferisce la parola scritta ai messaggi vocali, se non per veri momenti di dialogo. In un mondo afflitto dalla fretta, rivendica l’importanza della profondità: «Il vocale lungo è come una lettera. Non piace più per lo stesso motivo per cui non si scrive più».
Paola Labarile non è un’eccezione. È la prova concreta che, se accompagnata da strumenti adeguati e da un contesto culturale disponibile a valorizzare le differenze, la disabilità visiva può convivere con l’eccellenza. Anzi, può diventare parte integrante di un sapere e di una sensibilità unici, in grado di restituire alla musica – e a chi la racconta – tutta la sua forza evocativa.
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